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Le indagini del capitano diamante

In questo “monumentale” libro di Antonio Venditti, appena pubblicato dalla Casa Editrice Aracne (collana Tarantole, pp. 424, 22,00 euro) le parole vibrano negli occhi facendo eco nell’anima del lettore. Si tratta infatti di un testo «sinfonico», profondo come un respiro, elaborato con un linguaggio inconfondibile che si inerpica per superare i pregiudizi e le barriere mentali, con espressioni che percorrono strade meno esoteriche di altri suoi scritti, senza tuttavia perdere di mistero e poesia. L’opera, dal titolo Le indagini del capitano Diamante, concepita come una trilogia (con il primo libro base dei seguenti), viene pubblicata dalla Aracne come un unicum, proprio in considerazione della stretta interdipendenza delle tre vicende narrate. Lo scrittore precedentemente ha composto e pubblicato numerosi romanzi e una raccolta di racconti, oltre ad opere di diverso genere, perché i suoi interessi sono sempre stati molteplici, fin dai primordi dell’attività letteraria. È stato definito «eclettico», proprio per la sua variegata ricerca, approfondita e intimistica, nel senso che è un esploratore dell’animo umano, sempre in relazione alla realtà e all’ambiente di vita. Egli, padroneggiando una limpida e rigorosa scrittura, ha sperimentato vari generi letterari, tra cui il giallo. È il coronamento di tale suo interesse, già manifestato in altre opere narrative, in particolare Gente di Piazza (Editrice dei Merangoli, 2015) e Mondo in soffitta (Editrice Aracne, 2019), nel centrale episodio del rapimento di un bambino. In entrambi i casi, lo scrittore sviluppa la trama narrativa, nel consueto stile, avendo cura di delineare i protagonisti e gli altri personaggi, aderenti al loro ambiente, costruito minuziosamente, facendo risaltare virtù e vizi, in immancabile contrasto, e indicando la via per l’affermazione del bene, animato com’è da incrollabile fiducia nel rinnovamento delle coscienze e nel conseguente miglioramento della società. Così avviene anche nell’opera presente, con la differenza che l’impostazione è tipica del genere, che egli intende sviluppare seguendone i canoni, ma non troppo, perché fin dall’inizio manifesta il suo spirito innovatore.

In Rosso di luna, infatti, troviamo una «scena del crimine» inconsueta: l’incendio notturno di un monte, dove non c’è la classica «vittima» umana, semmai subito in rilievo è la qualità della vita che soccombe, per colpa degli ignoti piromani. Si tratta di appartenenti al genere umano, che hanno assunto il ruolo di criminali e della peggiore specie, in odio verso la Terra e gli altri esseri viventi che la abitano. Le vittime sono innumerevoli nel mondo vegetale e animale: vite innocenti perdute, che meritano grande rispetto e compianto. S’impone subito la figura dell’integerrimo Capitano Attilio Diamante, comandante della Compagnia dei Carabinieri Forestali, che il Procuratore della Repubblica Valdimore incarica di condurre le difficili indagini, contrastate dai con solidati «poteri», per il perseguimento degli interessi materiali che sono sempre e dovunque gli stessi: l’arricchimento con le speculazioni d’ogni tipo, il controllo dei «centri» di spesa pubblica, con l’astuto e disinvolto accaparramento dei «posti di comando» politici e amministrativi, nello svilimento della democrazia, con l’autoritario controllo sul «popolo» quasi totalmente asservito al potentato locale. Appaiono dei visionari, i pochi spiriti liberi che vivono di verità e credono in un mondo a misura umana, che praticano l’onestà e la giustizia, che propugnano la difesa dell’ambiente, bene prezioso da difendere dagli scempi del passato e del presente e da risanare per il futuro delle nuove generazioni. Quindi non si tratta di una visione cupa e pessimistica del mondo, anche perché la vicenda è narrata con la levità dell’aria pura, metafora del genuino amore per le persone e per l’habitat naturale. Lo scrittore spera sempre nella liberazione dei singoli, soprattutto se sofferenti e vittime dei soprusi; forse a tal fine, nella drammaticità degli eventi, inserisce spunti umoristici di grande effetto, che alleggeriscono l’atmosfera, con il sorriso sulla vanità e sulla miseria delle negative condotte umane. Ma il lettore si starà domandando: si troveranno i colpevoli e ci sarà il rituale «cadavere»? Basta cominciare a leggere il romanzo, che lascia con il fiato sospeso fino all’ultimo, rientrando così pienamente nei canoni del giallo.

A. De Romanis, Guardiani, 2013

Nella seconda parte Al bar delle delizie l’ambiente resta lo stesso, come pure i principali personaggi cui si deve far riferimento, anche se si chiariscono ruoli e obiettivi, nella mutevolezza degli intrecci; e se ne aggiunge qualche altro di maggiore o minore rilievo, per la configurazione della nuova vicenda. Il fatto criminoso è l’«avvelenamento collettivo», durante una festa popolare. Il titolo fa risaltare la centralità del «bar» (della famiglia Delizioso), come luogo di ritrovo e centro di aggregazione della comunità; e nel caso specifico, direttamente implicato nell’indagine. Il capitano Diamante dei Carabinieri Forestali svolge con il consueto impegno le indagini, insieme ai suoi giovani e validi collaboratori (una vicebrigadiere e un appuntato), ma trova un muro di omertà e diffidenza che sembra invalicabile. Ciò nondimeno l’accorto investigatore tira dritto per la sua strada, senza farsi intimorire, né fuorviare dalle contrarietà. In sintonia con il Procuratore della Repubblica Valdimore, spirito schietto e indipendente come lui, valuta attentamente le modifiche del quadro politico e amministrativo locale, senza illudersi che siano cambiati l’assetto del potere e la catena degli interessi, nel persistente sistema di oligarchia «ereditaria», camuffata in vario modo, secondo le circostanze. Tuttavia particolare importanza, ai fini investigativi, assume un’improvvisa denuncia presentata contro l’azione umanitaria svolta da una dinamica e stravagante religiosa «di clausura» a favore di emarginati, soprattutto migranti, nello spirito evangelico ed ecumenico; la denuncia, però, si ritorce in calunnia per chi l’ha presentata ed è uno smacco per il rappresentante della famiglia egemone locale, già colpita dalle avversità e soggetta a controlli sulle molteplici attività, quanto meno ai margini della legalità. Risulta chiara la dinamica del crimine, che è l’avvelenamento del vino consumato durante la «sagra» popolare, senza effetti letali, ma con ripercussioni più o meno gravi sulla salute di un gran numero di partecipanti all’evento festoso trasformatosi in dramma. Emergono indizi e prove nei confronti di alcune persone note e meno note, ma sfuggono ancora le presumibili responsabilità a livello più elevato. Sono presenti ulteriori aspetti, non secondari per l’autore, che sempre analizza le pulsioni dell’animo umano. Innanzitutto, l’amore sincero e coinvolgente che non ha età, perché si manifesta prevalentemente tra i giovani, ma resta una fiamma vivificatrice per tutti ed è una ragione basilare di attaccamento alla vita, con una forte carica purificatrice. Le storie più significative, che continuano dalla prima parte, sono quelle tenerissime di due coppie di innamorati: Miranda e Ivan, Milena e Valerio. Altre ne nasceranno o si evidenzieranno e avranno uno sviluppo nella terza parte. Intricato è il «filo d’amore» rimasto vivo dai tempi lontani della giovinezza, che diventa motivo di indagine, contrastata dai due personaggi coinvolti, che fanno del tutto per mantenere nascosta la loro passione. La scoperta, proprio nelle ultime pagine, conclude imprevedibilmente la narrazione della vicenda.

A. De Romanis, Donna protetta dal fuoco, 2003

Nella terza parte L’imbrattaterra è subito evidente il legame strettissimo con le altre, perché i risultati delle precedenti indagini non sono stati esaustivi. Ne hanno piena consapevolezza il capitano Diamante e il procuratore Valdimore, che pure ha rinviato a giudizio alcuni indagati, forse colpevoli come esecutori o ad altro titolo, ma non come ispiratori e mandanti dei «crimini» già perpetrati. Il nuovo fatto criminoso è l’interruzione improvvisa della «raccolta dei rifiuti», lasciati a marcire per giorni, con le immaginabili conseguenze e reazioni, tra cui un grave «tumulto popolare» contro le autorità comunali. Non c’è alcun riferimento preciso ai continui episodi riportati dalla cronaca, ma resta una costante delle narrazioni del nostro autore l’ancoraggio alla vita reale del popolo in tal caso protagonista, ancor più dei singoli componenti. È insolito il risultato della sommossa popolare, che di fatto spinge l’amministrazione comunale a cambiare politica, non soltanto nelle ipocrite e vacue parole propagandistiche, ma in uno sforzo incredibile, prima per ripulire il paese, poi per impedire il ripresentarsi del grave problema, nocivo alla salute dei cittadini e al decoro, con tutte le misure necessarie, tra cui principalmente il ripristino e l’incremento della raccolta differenziata dei rifiuti. Le ingenti spese sono sostenute con prestiti garantiti personalmente dal maggiore esponente del potere locale, il quale gestisce i capitali non in proprio, ma per procura del noto «capo assoluto», emigrato all’estero. Reciso repentinamente il legame, crolla tutto e, dalle macerie, gli investigatori fanno emergere un’antica pista che porterà alla definitiva risoluzione dei casi collegati. Si capirà anche pienamente il significato del titolo L’imbrattaterra. L’ambiente non si inquina e si deturpa misteriosamente, né per imponderabili cause: ognuno, facendo un esame di coscienza, scoprirà facilmente di avere qualche responsabilità, sia pur minima e indiretta, per cui dovrà rieducare se stesso e le persone del suo piccolo spazio di vita. Ma, ovviamente, tale discorso non deve diventare un alibi per minimizzare o coprire le gravi responsabilità del potere politico ed economico, che non rinuncia a perseguire egoistici e loschi interessi. Nel caso specifico, le indagini si concludono con l’individuazione certa, con tanto di testimonianze e di inoppugnabili prove, dell’individuo che miseramente ha svolto sempre il ruolo immondo e funesto di imbrattatore della Terra.

A. De Romanis, Bar del Paradiso, 2004

Il libro, esaltato nella copertina e all’interno da dipinti di Agostino De Romanis, concepito come trilogia, risulta essere una collana con tre perle preziose incastonate, un’opera pregevole, enigmatica e struggente, con testi dal respiro arioso ma senza enfasi, nel rispetto dello spirito dello scrittore, un lavoro sulla conoscenza insondabile dell’uomo, nel tentativo di purificarlo e portarlo verso terre nuove e cieli nuovi, verso mondi che non conoscono confini, al di là di una terrena presenza, in cerca di una giusta esistenza. Una pubblicazione preziosa che scolpisce il nome di Antonio Venditti tra i grandi della letteratura moderna.


A. De Romanis, Oltre il palo, 1984
Copertina del libro di Antonio Venditti, Le indagini del Capitano Diamante, Aracne, 2020

  



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