È trascorso un secolo, esattamente cento anni, da quando il 26 agosto 1923 nasceva a Falvaterra, piccolo centro in provincia di Frosinone, Giuseppe Luciani. In quel momento nessuno avrebbe potuto immaginare che il neonato presto sarebbe diventato un combattente della seconda guerra mondiale nell’Aeronautica Militare e successivamente una eminente personalità del sindacato. La sua nascita coincide quindi con la nascita della stessa Aeronautica Militare, così come il Centenario, 1923-2023.
I primi ricordi che ho di mio padre Giuseppe risalgono alla metà degli anni Cinquanta quando, a 4-5 anni, posizionavo nel piatto del giradischi grandi dischi a 78 giri con canzoni di Claudio Villa che lui con piacere ascoltava insieme a mia madre.
Di quel lontano periodo ricordo ancora che la sera veniva nel mio letto per sistemare le coperte dandomi una carezza capace di tranquillizzarmi e farmi addormentare immediatamente.
Da adolescente ho iniziato a conoscerlo meglio apprezzando il suo stile particolare. Sempre riservato e rispettoso della famiglia e del prossimo, sia per discrezione che per un innato rispetto del pensiero altrui. Ho sempre visto mio padre curato, vestito elegantemente, tanto da andare persino al mare, nella spiaggia dello stabilimento Plinius di Ostia, in pantaloni lunghi e camicia.
Spesso la domenica mi portava a visitare Musei e siti archeologici, ai Capitolini, al Colosseo e al Foro Romano, a Castel Sant’Angelo dove il destino ha voluto riportarmi anni dopo da direttore degli Uffici tecnici.
Dovessi cercare un sinonimo di mio padre non andrei oltre il termine “delicatezza”; conosceva il rispetto dei tempi degli altri, taceva piuttosto che parlare a sproposito per il solo gusto di dire la propria. In una parola “discreto”, secondo la Regola benedettina di saper discernere il momento adatto o la giusta misura. Nella sua lunga vita mi ha sempre posto domande con rispetto, restando in attesa che gli facessi io il dono della risposta.
A me e mia sorella Marina ci parlava di valori e di etica, ma essendo estremamente insicuri e incerti, per darci coraggio ci parlava anche di araldica, di come il nome Luciani aveva origini nobiliari fin dal secolo XV, che il suo stemma annovera tre colli sormontati da una cometa d’oro capace di indicare il cammino anche ai bambini timidi. Nostra madre però raccontava un’altra versione, quella che il nome Luciani deriva da Luce, la luce divina che illumina il cammino dei bambini timorosi facendoli diventare disinvolti e disinibiti.
Giuseppe e la guerra
Il 1 settembre del 1939 inizia il secondo conflitto mondiale, in Italia inizialmente vengono arruolati soltanto uomini che abbiano compiuto almeno vent’anni anni; successivamente, per l’ampliarsi del fronte del conflitto, sono richiamati alle armi ragazzi sempre più giovani. Per questo motivo a soli 17 anni Giuseppe parte per la guerra.
Arruolato nell’Aeronautica Militare, di stanza all’aeroporto di Lecce, è un ragazzo timido e introverso. Fino a quel momento “coccolato” dalla mamma, completamente impreparato, si trova improvvisamente inserito in un contesto tragico di guerra, morte e distruzioni. Quasi tutti i ragazzi della sua classe moriranno nel corso del conflitto, gli aerei in cui Giuseppe si trovava a volare in qualità di motorista avevano spesso le coperture di solo tessuto e i proiettili antiaerei nemici le attraversano facilmente, uccidendo gli avieri all’interno. Numerosi furono i commilitoni che in aereo gli morirono accanto.
Tra le tante storie tragiche ce n’era però una positiva, più volte mi è stato raccontato l’aneddoto di mio padre e di due suoi amici in divisa che durante la notte, nel loro letto a castello a tre livelli, per dormire usano a turno l’unico cuscino disponibile. Si tratta di Alvaro e Remo, tutti e tre si sono ritrovati dopo il congedo e la loro profonda, fraterna, amicizia è stata un legame importante che li ha tenuti uniti fino alla morte.
Giovane marito
Congedato prima del termine della guerra perché arruolati anche altri due fratelli maggiori, Giuseppe torna a Roma impiegandosi presso la “Fiorentini”, storica fabbrica metalmeccanica attiva fin dal 1919 con sede in via Tiburtina, produttrice del primo escavatore italiano, ma anche di ruspe e autogrù. Nella stessa azienda, come addetta alla mensa, è occupata Verana, i giovani si conoscono, si frequentano e s’innamorano.
Il 4 marzo sarebbe stato il compleanno di mamma e il giorno precedente, quel maledetto 3 marzo 1944 i due giovani fidanzati, l’uno e l’altra dipendenti della stessa fabbrica, decidono di non recarsi al lavoro. Per destino, fortuna o miracolo i miei genitori scampano al bombardamento aereo più tragico subito dall’Italia per il numero di morti in un solo luogo. Alle ore 11 precise, gli aerei angloamericani, ancora una volta, tornano a colpire i quartieri Tiburtino, Prenestino e Ostiense, le zone industriali della città con le fabbriche impegnate nella produzione bellica. L’incursione aerea impegna 184 aerei alleati che in un’ora e mezza sganciano 1800 bombe. Una, di oltre due quintali, colpisce in pieno l’ingresso della fabbrica Fiorentini, al numero 364 di via Tiburtina adibito a ricovero dei dipendenti, priva di un vero e proprio rifugio antiaereo, provocando la morte di 117 dipendenti su 180 e molti feriti gravi, che moriranno nei giorni, mesi e anni successivi. Diversi rimasero mutilati a vita. Tra le vittime il genero del fondatore della fabbrica, Filippo Fiorentini, che poco più tardi morirà di crepacuore, seguito dopo qualche settimana dalla moglie.
Giuseppe e Verana si sposano l’8 dicembre 1945, quando la ragazza dai lunghi capelli neri non aveva ancora vent’anni. Un matrimonio attento alla tradizione di una coppia molto giovane, ma economicamente indipendente.
Si usciva dalla guerra, ma l’attenzione che i due giovani mettono nella cura dei particolari del loro matrimonio, la scelta della chiesa, i fiori, il servizio fotografico, l’auto per gli spostamenti, i paggetti, l’abito bianco col velo, dove, in mezzo a una cascata di capelli neri, spiccavano due grandi occhi verdi, testimonia della volontà, loro e di tanti altri giovani di allora, di uscire dalla precarietà e dall’incertezza per una vita nuova e migliore.
La coppia va ad abitare in un appartamento a via Carlo Cattaneo, a poca distanza dalla Stazione Termini e dall’Acquario Romano.
Alla notizia di aspettare un bambino, Verana si licenzia dal lavoro perché la legge prevista per la tutela della lavoratrice madre nelle diverse fasi della gravidanza risulta in quegli anni alquanto restrittiva.
Lo stipendio fisso di Giuseppe è piuttosto buono favorendo la rinuncia definitiva al lavoro della futura mamma.
Il primo giorno di ottobre del 1946 nasce mio fratello Nazzareno, per tutti Neno, che purtroppo morirà a soli cinque anni, soltanto due mesi dopo la mia nascita.
La militanza sindacale
La famiglia si trasferisce nel 1951 in via Tuscolana, in un quartiere nuovo in forte espansione. La via ha origini antiche e in epoca classica collegava Roma con l’antica città di Tusculum, oggi cuore archeologico e culturale dei Castelli Romani. Negli anni cinquanta l’unico mezzo pubblico per raggiungere questa zona che annoverava gli Stabilimenti cinematografici di Cinecittà costruiti nel biennio 1936-1937 dall’architetto Gino Peressutti, era un tram che viaggiava al centro della strada, non mancavano tuttavia ampi cortili e spazi verdi oggi chiamati Parco degli Acquedotti dove i bambini del quartiere potevano giocare.
A pochi metri dall’abitazione ancora oggi si trova l’edicola di giornali dove mio padre tutte le mattine acquistava alcuni quotidiani. Questo perché credeva nel valore della cultura, nell’indipendenza dei lavoratori, nella libertà del proprio Paese, nella costruzione di un regime democratico, nella difesa dei diritti dei lavoratori e della pace tra i popoli. Questo il programma di idee e di valori a cui Giuseppe ha sempre creduto, a cui si è ispirato nella vita quotidiana e nell’educazione dei figli. Chi ha avuto il privilegio di frequentarlo non ha potuto esimersi dal notare il suo costante impegno sociale, sia nel volontariato che nello svolgimento del proprio lavoro anche da sindacalista, che considerava servizio, nell’intento di migliorare la fabbrica metalmeccanica dove ha sempre lavorato e favorire un servizio disinteressato agli operai e alla collettività.
Dalla parte dei lavoratori
Mio padre è stato un uomo che ha sempre agito per favorire gli interessi di chi lavora, cercando di coinvolgere i dipendenti della sua azienda nel miglioramento delle proprie condizioni professionali, economiche e morali e nella realizzazione delle loro legittime aspirazioni sociali.
Si è sempre adoperato per creare istituzioni radicalmente innovative e democratiche. Attento alle questioni del benessere collettivo e particolarmente sensibile alle esigenze dei bambini, la sua proposta di distribuire giochi e doni ai figli di tutti i dipendenti della “Fiorentini”, in occasione della Befana, si realizzò già fin dai primi anni cinquanta. Ricordo tutti quei 5 gennaio quando ci ritrovavamo nel grande salone allestito per l’occasione.
Noi bambini aspettavamo in fila di essere chiamati dal microfono per salire sul palco e ricevere i regali. Gettata la carta che avvolgeva i doni, l’allegria, le grida e la gioia si diffondevano per tutto quel vasto ambiente. Questa occasione costituiva un importante momento di aggregazione e socializzazione non solo per noi piccoli, ma anche per gli adulti che in questi incontri parlavano anche dei problemi della fabbrica in confidenza e amicizia.
Terminata la festa, io, felice, tornavo a casa insieme a papà e mia sorella Marina per raccontare ogni singolo momento di quella indimenticabile mattinata a mamma che, nell’attesa del nostro ritorno, aveva preparato un delizioso pranzetto dove non faceva mai mancava un dolce.
La colonia estiva è stata un’altra idea di mio padre, discussa e accettata dalla proprietà dell’azienda. Il primo giorno dei mesi di luglio e agosto, alcuni autobus gran turismo sostavano in via Tiburtina, all’ingresso della fabbrica, per accompagnare bambine e bambini, figli dei dipendenti, nelle località montane e marine prescelte. La mattina della partenza mio padre faceva l’appello e tutti i ragazzi salivano intonando canzoni e
sventolando i cappellini di colore diverso a seconda dell’età, tutti con il logo della fabbrica.
Ogni domenica del mese a genitori e parenti era consentito trascorrere l’intera giornata con i propri figli. Io preferivo andare ospite della colonia montana dove tutte le domeniche i miei genitori e mia sorella venivano a trovarmi.
Arrivati all’albergo riservato alla colonia, sui monti Reatini, papà, dopo relazioni, aggiornamenti, verifiche, sopralluoghi e compilazioni di moduli insieme al direttore della struttura, ci portava al rifugio alpino del CAI (Club Alpino Italiano) a circa duemila metri di quota dove le famiglie avrebbero trascorso la giornata. I bambini coinvolgevano i fratelli maggiori e i papà nei loro giochi; le mamme chiacchieravano e scambiavano confidenze, la comitiva di noi bambini passeggiava per sentieri e vallate. Nel pomeriggio, un gran numero di persone si riuniva per degustare le torte, le crostate e i dolci preparati da mamme e nonne. Le “Signorine della colonia” e tutto lo staff aderivano con piacere alla scampagnata domenicale.
Ho frequentato alcuni anni le colonie di Monte Terminillo, innamorandosi del suggestivo e incontaminato luogo, tanto che da adulto vi ha acquistato una casa per trascorrervi vacanze a contatto con la natura festeggiando anche qualche compleanno di papà, fino all’ultimo, quello del suo ottantesimo compleanno, il 26 agosto 2003.
Nel ’68 ero un’adolescente
Ero un’adolescente nel 1968, quando, come tutti i miei coetanei, sono stato coinvolto, nel fenomeno socio-culturale dei grandi movimenti di massa – studenti, operai, intellettuali e gruppi etnici minoritari – che nelle università, nelle scuole, nelle fabbriche e nelle piazze contestavano i valori tradizionali e le istituzioni.
Papà rientrava a casa dal lavoro nel tardo pomeriggio e spesso, seduti sul divano si parlava della contestazione, studentesca e non. Io ascoltavo e grazie alle sue spiegazioni iniziavo a comprendere, almeno nelle sue ragioni generali, il profondo cambiamento sociale in atto.
Giuseppe commentava l’importante successo ottenuto con la conquista dello Statuto dei lavoratori dando un giudizio positivo sulle battaglie per i diritti civili che avrebbero portato alla legge sul divorzio e a quella per l’interruzione della gravidanza.
Nonostante i miei diciassette anni, papà mi ascoltava interessato sulle proposte del movimento degli studenti e da saggio e prudente sindacalista qual era e soprattutto padre affettuoso e attento, mi consigliava prudenza anche sulla scelta della Facoltà universitaria da intraprendere: Architettura.
Sensibile al nuovo, pur provenendo da una famiglia molto tradizionale, cercava di capire i giovani e si era persuaso che l’onda lunga di quel movimento avrebbe prodotto cambiamenti radicali nel costume: dai rapporti interpersonali alla musica, al cinema, all’abbigliamento. Questa contestazione, ripeteva, segnerà l’inizio di uno dei più lunghi e intensi cicli di protesta della storia contemporanea, caratterizzando la vita sociale e politica di intere generazioni. Una vera e propria rivoluzione culturale.
Ex combattente
Giuseppe insieme agli ex avieri e amici fraterni Remo e Alvaro, tra i pochi tornati vivi dalla guerra, è stato per alcuni decenni socio dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, in acronimo ANCR, un Ente morale che associa i reduci della prima e seconda guerra mondiale per la tutela degli interessi materiali e morali dei combattenti e reduci di guerra. Nella sezione del nostro quartiere, Appio Claudio, all’Associazione erano iscritti una ventina di reduci e questa svolgeva in autonomia la propria attività. Organizzava manifestazioni, eventi, commemorazioni e gite sempre con la partecipazione delle famiglie degli ex combattenti. Significativo l’omaggio annuale al monumento dei caduti eretto all’interno del giardino di Monte del Grano ubicato al Quadraro, che fu teatro di un feroce rastrellamento operato a Roma dalle truppe naziste.
L’operazione scattata all’alba del 17 aprile 1944 e diretta personalmente dal maggiore Kappler, si concluse con la deportazione, a Fossoli prima e in Germania dopo, di circa un migliaio di uomini, tra i 18 e i 60 anni, costretti a lavorare nelle fabbriche tedesche in condizioni disumane. Molti di loro morirono nei campi di concentramento, altri fuggirono per unirsi alle formazioni partigiane e caddero in combattimento. Alla fine del conflitto solo la metà di questi deportati fece ritorno a casa. Nel 2004 il Quadraro fu insignito della medaglia d’oro al merito civile per la Resistenza dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi con una solenne cerimonia.
Giuseppe con tutti gli altri ex combattenti della sezione il 17 aprile di ogni anno ponevano una corona d’alloro al monumento. La sala della sezione ANCR che spesso si animava per prendere decisioni, far quadrare i bilanci, approvare e/o rifiutare proposte, è stata anche l’ambiente che veniva tirato a lucido per scambiarsi gli auguri di Natale, di Pasqua e celebrare le date del calendario civile.
A mio padre, aviere dell’Aeronautica Militare, il 12 dicembre 1984, è stata conferita l’onorificenza della “Croce al Merito di guerra per il conflitto 1940-1945”. Inoltre, il 4 novembre 1988 la Federazione Combattenti e Reduci di Roma gli ha consegnato il “Diploma di Benemerenza per la fattiva, disinteressata opera di valorizzazione dei sacri valori della Patria”.
Insieme ad altri reduci di truppa, Giuseppe ritorna all’aeroporto di Galatina a sessant’anni dai fatti d’arme seguiti all’8 settembre 1943, per partecipare alla commossa manifestazione con la quale il Presidente della Repubblica ha inteso ricordare la partecipazione dell’Aeronautica Militare alla guerra. Una ricorrenza resa ancora più carica di contenuti memoriali per l’intitolazione della sede del 61° Stormo di Galatina al sottotenente Carlo Negri, medaglia d’oro al Valor Militare, caduto in combattimento poco più che ventenne, il 22 settembre 1943, solo pochi giorni dopo la proclamazione dell’armistizio. L’evidente emozione di mio padre fu manifestata e condivisa in pari misura anche da commilitoni con i quali aveva condiviso la paura, la fame, il terrore ma anche speranza e fiducia.
Epilogo All’alba della cupa mattina del 17 gennaio 2011 Giuseppe vola per l’ultima volta verso l’infinito, la bandiera tricolore ha ornato la sua bara nel giorno delle esequie. Riposa nel Poggetto del cimitero monumentale del Verano.
© 2la.it - Riproduzione riservata.
Bellissimo. Scritto con la penna del cuore, che riapre tanti ricordi anche a chi ancora non era nato, ma li rivive nella memoria.
Manuela
Nell’articolo interessante e coinvolgente lo scrittore, con raffinatezza e sentimento riporta fatti e avvenimenti della nostra Storia, vissuti da un uomo dallo spiccato calibro di virtù e qualità.
Il suggestivo articolo possiede il merito di ricostruire la figura di un uomo di grande valore evocando un difficile mondo passato delineato con sensibilità dello scrittore
Nell’articolo interessante e coinvolgente lo scrittore, con raffinatezza e sentimenti, riporta fatti e avvenimenti della nostra Stiria, vissuti da un uomo di spiccato calibro di virtù e qualita