Una delle principali attrazioni del Parco nazionale di Yellowstone (per l’orso Yoghi Jellystone), nel Wyoming (in parte anche nell’Idaho e nel Montana), è un getto di acqua calda che a intervalli regolari (poco più di un’ora) si sprigiona da terra verso il cielo, innalzandosi per circa 40 metri, per la durata i quattro minuti. Da quando è stato scoperto, non ha mai mancato all’appuntamento: per questo motivo è stato battezzato Old Faithful, il “vecchio fedele”. Non è un fenomeno isolato: nello stesso Parco di Yellowstone ve ne sono molti altri, tutti con un nome proprio. Si tratta di geyser, sorgenti di acqua calda presenti solo in zone vulcaniche. I geyser sono presenti solo nelle regioni in cui vi sia la presenza di un serbatoio di magma fuso prossimo aila superficie. Le infiltrazioni d’acqua scendono verso il basso, fino ad arrivare in zone dove la temperatura è molto alta. In queste condizioni l’acqua si riscalda e risale verso la superficie. Nel suo cammino, però, incontra altra acqua e si ferma. Si forma in questo modo una colonna con l’acqua calda al di sotto di quella fredda.
Una pentola a pressione naturale
Ma la temperatura aumenta e l’acqua calda raggiunge il suo punto di ebollizione e si trasforma improvvisamente in vapore, aumentando enormemente il proprio volume. E come se si verificasse una piccola esplosione che spinge verso l’alto l’acqua sovrastante. Nella “camera” sotterranea del geyser ritorna la normalità, ed è necessario che si formi altro vapore per avere un‘altra “eruzione” d’acqua in superficie. Il fenomeno che abbiamo descritto è del tutto analogo a quanto avviene in una normale pentola a pressione usata in cucina: quando la temperatura è molto alta e l’acqua va in ebollizione, trasformandosi in vapore esce da una valvola. L’unica differenza sta nel fatto che in questo caso non esce acqua ma vapore. I geyser non sono esclusivi del Parco di Yellowstone, ma sono presenti in altre zone vulcaniche del mondo: quelle più famose, perché il fenomeno assume davvero proporzioni molto diffuse, sono la Nuova Zelanda e l’Islanda.
Il calore della Terra al servizio dell’uomo
L’Islanda ha un nome quanto mai improprio. Significa “terra del ghiaccio”, poiché la sua superficie è ricoperta da molti ghiacciai, ma sarebbe più giusto chiamarla “terra del fuoco”. Sono i vulcani che in questa terra hanno il sopravvento: il loro calore, a volte, fa fondere improvvisamente i ghiacciai provocando grandi inondazioni. Tutto il sottosuolo è caldo, le sorgenti di acqua calda sono moltissime. L’uomo qui è abituato a convivere con i gelo dei ghiacciai e con il calore della terra. E ha saputo sfruttare alla perfezione quest’ultimo. Con l’acqua calda del sottosuolo, debitamente catturata, riesce a riscaldare le case di città, come la capitale Reykiavik. Sempre con l’acqua calda alimenta centrali geotermiche (che sfruttano cioè il calore terrestre) per produrre il 40 per cento dell’energia di cui ha bisogno il Paese. Anche in Italia si sfrutta il calore delle profondità terrestri. Avviene in Toscana dove in una zona di circa 200 chilometri quadrati, attraverso fenditure naturali del terreno o da perforazioni artificiali, escono violenti getti di vapore acqueo. Molte altre sostanze sono mescolate all’acqua, tra cui l’acido borico: per questo le manifestazioni vengono chiamate soffioni boraciferi. La località più celebre è Larderello, in provincia di Pisa, dove i soffioni vengono sfruttati sia per l’estrazione del boro sia per la produzione di energia elettrica.
I vulcani in pensione
Il fenomeno dei soffioni è praticamente analogo a quello dei geyser. L’acqua freatica, quella che circola nel terreno già a pochi metri di profondità, scende verso il basso dove, in prossimità di zone magmatiche, si riscalda, trasformandosi in vapore e risalendo verso la superficie. Fra i vulcani attivi della Terra viene compresa anche la Solfatara di Pozzuoli, nei pressi di Napoli. Si tratta di un ampio cratere dove le manifestazioni vulcaniche sono ridotte semplicemente a emissioni di vapor d’acqua e di altri gas. Secondo l’immagine che noi abbiamo dei vulcani, montagne coniche dalla cui cima escono lave, ceneri e lapilli, la Solfatara di Pozzuoli dovrebbe essere tutt’altra cosa. Ma le solfatare sono dei veri e propri vulcani: lo stesso Vesuvio, attualmente, è in uno stadio di attività “solfatarica”, anche se in futuro potrebbe risvegliarsi d’improvviso. I geologi ritengono che i vulcani abbiano una loro vita: nascono, si mantengono attivi per migliaia e anche centinaia di migliaia di anni, quindi cessano la loro attività e se ne vanno in pensione prima di addormentarsi per sempre. Le solfatare sono dunque vulcani in pensione, che si divertono ancora un po’, emettendo i loro vapori: sono sempre presenti i solfuri, e da questo fatto deriva il loro nome.
L’esistenza più breve
Non lontano dalla Solfatara di Pozzuoli si alza il Monte Nuovo: è un edificio vulcanico dalle forme classiche, alto solo 140 metri, con una cratere circolare profondo 137. Prima del 1538 in questa località esisteva solo una sorgente termale, segno questo della presenza di un serbatoio di magma prossimo alla superficie. Il 29 settembre di quell’anno il suolo si spaccò e dalla voragine cominciò a uscire la lava assieme ad altri prodotti vulcanici (fra le “bombe” lanciate in aria ve n’era una “grande come un bue”). Dopo circa due giorni la nuova montagna era già costruita. I getti di lava e le esplosioni durarono per qualche mese e poi cessarono per sempre. È forse questo il vulcano della Terra che ha avuto la vita più breve.
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