Evocando l’anima dell’uomo, Nicola Maria Spagnoli afferma attraverso multiformi esperienze un’individualità espressiva che si avvale di un assoluto pensiero creativo.
Il corpus delle sue opere immette nel nucleo pittorico che evolve con superba maestria compositiva e tecnica. Il pensiero astratto o fisico dell’elevazione interiore si concretizza nell’anima di una materia densa e assiduamente cromatica, capace di raggiungere percezioni espressive iconiche e atmosfere intime ed arcane.
Lo abbiamo incontrato in questi giorni nel suo nuovo studio-laboratorio di Roma.
D – Tempo fa un giornalista intervistandoti aveva definito la tua arte “camaleontica” perché non definibile, a distanza di tempo ti ritrovi ancora in questa definizione?
R – Volendo categorizzare potremmo dire anche di si, ma vedi, il termine per l’osservatore parte dal considerare insieme tutti i periodi che un artista come me ha avuto, dalle prime mostre alle opere attuali.
D – Volendo sintetizzare ritieni di appartenere ad un filone specifico, ad una scuola in particolare?
R – Come dicevo ho avuto diversi periodi, non mi sono cristallizzato su uno di essi in particolare ma come sai tutti abbiamo anche nel corso di una stessa giornata umori e condizioni non sempre uguali, non si può dire che un tipo è gentile o scorbutico, nervoso o serafico, anche l’aspetto fisico di un individuo cambia da un momento all’altro in seguito all’umore o alle condizioni.
D – Mi parli allora del tuo percorso artistico, anche perché sappiamo che sei attivo anche in altri campi come in quello della critica, sia d’arte che musicale, in campo architettonico ed ambientalista, in Italia e non solo.
R – Un percorso innanzitutto è un viaggio e vuol dire non fermarsi, non cristallizzarsi su un argomento. E’, lo dice la parola stessa, una esperienza sempre in evoluzione, certo dettata dall’intimo, ma a volte anche da avvenimenti fortuiti esterni come nel mio caso essendo partito nei primi anni ‘70 da un certo citazionismo come in seguito fu chiamato. Allora ho conosciuto grandi figurativi che avevano percorso la stessa strada come C. M. Mariani, Bruno d’Arcevia, S. Di Stasio e avuto presentazioni da critici che si interessavano ad un ritorno alla pittura come Bruno Contardi e Giulio Carlo Argan, A. Romani Brizzi e Claudio Strinati, Paolo Portoghesi e P. Watts. Poi, visto che avevo una certa mano nel figurativo, le mie opere furono addirittura scambiate (questo ad inizi anni ‘80 per una mostra da tenere a New York) per originali antichi e da lì fui, diciamo costretto per non turbare alcuni critici evidentemente poco avveduti, a realizzare opere con superfetazioni, in genere aggiungendo delle lacune, prevalentemente bianche.
D – Ma nella mostra Dauni di Castel S. Angelo in Roma, ad inizio millennio, abbiamo visto soprattutto grandi cementi completamente bianchi, quasi bassorilievi su tela. Materici e spirituali al contempo, che rivitalizzavano le tradizioni protostoriche ma che contemporaneamente erano anche un richiamo ai misteri dell’oriente poiché emanavano un senso meditativo e religioso che in occidente avevamo perduto dai tempi del Rinascimento. Di contrasto abbiamo visto, nella stessa esposizione, grandi tele bituminose con accenni coloristici o anche figurativi, diafani e misteriosi, ed anche queste credo rimandassero alla ricerca della luce, specie a quella di caravaggesca memoria.
R – Appunto, la teoria dell’evoluzione, ad un certo punto le mie lacune hanno preso il sopravvento e sono passato al bianco su bianco, ma il bianco in rilievo realizzato con una mistura di cemento, colla di pesce e gesso di Bologna, in modo che l’opera, con la luce radente, acquisisse profondità e spessore e quindi sconfinasse nella scultura ed anche nell’architettura soprattutto con soggetti nati dalle mie origini, dalla mia terra, appunto dalle stele daunie. Poi trasferitomi a Roma e trovando analogie fra queste realizzazioni e gli stucchi delle numerose chiese barocche, qualcuno le battezzò come Nuovo Barocco Romano. Anche i bitumi partono dall’incidente di percorso di cui ho detto poiché la base delle mie tele, delle mie figure postmoderne era appunto il bitume che riaffiorando sul colore dava alla tela un sapore antico e quindi la pittura vera e propria a volte, affiorando sul nero dorato, si limitava a interventi veloci, astratti o figurativi.
D – Vediamo infatti che ultimamente dal figurativo classico o appena accennato ti stai spostando sull’astrazione totale. A cosa è dovuta questa ulteriore evoluzione?
R – Potrebbe essere una evoluzione ma anche una involuzione, ovvero, con l’età come sai, si ritorna un poco bambini ed appunto riscoprendo i pezzi di carta che mio padre mi passava da piccolissimo per scarabocchiarci su o addirittura su cartoni, in genere coperchi di scatole di scarpe, dove usavo gessetti e colori a cera, oggi come oggi, costretto anche dal Dupruyten (un subentrato difetto alle mani), ultimamente ho raccolto di nuovo cartoni su cui realizzare delle astrazioni gestuali con a volte un accenno al figurativo. Quindi come vedi si può tornare alle origini in vari modi, sia per un desiderio dell’inconscio che, o anche e contemporaneamente, per un fattore contingente sopravvenuto.
D – Tempo addietro privilegiavi da artista-architetto e non da architetto-artista come ti definivi, anche le performance, ricordo i tuoi d’après, Io non ci sto o Patrimonio spa, ora non mi pare che le coltivi più di tanto.
R – Si, da questo punto di vista non pubblico nemmeno più uno o due calendari d’arte all’anno come una volta o volumi di disegni perché mi dedico, piuttosto che alla politica, alla sociologia e all’attualità, alla critica d’arte e musicale su cui scrivo da anni, ed ora molto di più, sia su riviste specializzate che su siti nazionali partendo dai musicisti che dipingono o che si sono reinventati come pittori e ce ne sono a partire da Dylan, dalla Mitchell a Don van Vielt, ed altri. Senza contare quasi tutti i Beatles durante la loro carriera. Naturalmente come sai anche tanti personaggi dell’arte figurativa sono stati attratti dalla musica, dal rock specialmente, contribuendo con le loro immagini, e in modo sostanzioso, anche al successo di un disco come fece Warhol specialmente con i Velvet o con gli Stones.
D – Anche tu ti sei è occupato di copertine discografiche come artista?
R – Non ne ho avuto l’occasione ma nel mio Minimuseo oltre ad essermi occupato di cultura in generale, di arte contemporanea, di tradizioni popolari e paesaggio e, specialmente, di nuove leve artistiche ho anche raccolto una cospicua collezione di ritratti su tela di miti del rock, ovvero di ritratti, tutti oil on canvas, dei miti più noti fatti da me medesimo e da altri come il maestro Manganelli creando una sottosezione, credo unica in Italia, del mio museo che ho chiamato Rock art museum.
Arte: Nicola Maria Spagnoli
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