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Pantheon. Architettura e tecnica costruttiva

Coordinate: Roma – Piazza della Rotonda – Pantheon

Latitudine Nord: 41° 53’ 56” (41,899002)

Longitudine Est: 12° 28’ 36” (12,476769)

pantheon

Il Pantheon è uno dei monumenti più grandiosi dell’antica Roma (118-128 d.C.), straordinario esempio di architettura classico-romana e dei più significativi dell’architettura di tutti i tempi. E’ ben conservato grazie alla sua provvidenziale trasformazione in Chiesa cristiana avvenuta nell’anno 609 d.C., ad opera di papa Bonifacio IV (608-615), un monaco benedettino che, in occasione della sua consacrazione a Vescovo di Roma, avvenuta il 25 agosto del 608, ricevette in dono il tempio dall’imperatore romano d’Oriente, l’usurpatore bizantino Foca, sotto la cui sovranità Roma, a quel tempo, apparteneva.

Dalle straordinarie caratteristiche architettoniche e costruttive l’imponente complesso monumentale è stato riedificato tra il 118 e il 128 d.C. dall’imperatore Adriano sui resti di un precedente tempio di età augustea voluto da Agrippa. L’edificio fu principalmente ideato ed eretto nelle sue splendide proporzioni della grande sala circolare interna, essenzialmente per motivi simbolici e celebrativi.

Tale motivo riguarda principalmente il voler testimoniare, a perenne memoria dell’uomo, attraverso un monumento di eccezionale impatto visivo e d’incommensurabile grandiosità, che si ottiene specie nella solenne maestosità della gigantesca cupola che la sovrasta, l’esaltazione delle conoscenze scientifiche e filosofiche umane e materializzata in una tangibile e concreta sublimazione architettonica del concetto divino e cosmologico, quale era profondamente avvertito e concepito durante la fervida stagione del pensiero ellenistico-romano.

Un tempio che ci riporta alle teorie ed alle concezioni astronomiche con le quali gli antichi Greci e Romani interpretavano i fenomeni celesti durante il periodo esaltante della civiltà classica, e la visione che essi stessi avevano dell’Universo e dei Pianeti, considerati personificazione vivente delle stesse divinità, e che diventa un interessante compendio di astronomia nell’analisi di tali teorie e nei parametri di raffronto con le moderne acquisizioni scientifiche in campo astronomico e cosmologico, ma che potrebbero rivelare anche interessanti analogie architetturali nelle stesse proporzioni e dimensioni volumetriche con la grandiosa e poderosa struttura monumentale interna del Pantheon.

 

L’imperatore Adriano

L’artefice dello smantellamento del vecchio Pantheon voluto da Agrippa si deve al genio originale dell’imperatore Adriano che lo riedificò, forse su suo stesso disegno, rendendo questo tempio unico tra tutti quelli dell’età classico-romana, perfetto nelle proporzioni e meraviglioso nella figura.

I concetti architettonici di Adriano erano dominati dal suo amore per la Grecia e da una grande audacia nel tentare di porre in atto nuovi effetti partendo dalle solide basi della vecchia tecnica costruttiva romana fondendo l’architettura di tradizione ellenistica basata sugli ordini architettonici, con le grandi possibilità formali offerte dalla tecnica romana delle volte cementizie: il risultato è un classicismo fatto di sobrie orditure di colonnati collegate a maestosi incurvamenti circolari sia nelle piante che nelle coperture. Questa connessione fra arte greca e arte romana diventerà così profonda che gli artisti successivi finiranno per identificare spesso i suggerimenti dell’una e dell’altra.

Nel Pantheon, benché sia evidente l’influenza dell’architettura greca nel magnifico pronao a frontone, con le sue sedici colonne monolitiche corinzie di granito rosa e grigio, è Roma che domina nel vasto corpo cilindrico dietro a questo. L’impianto è infatti formato dall’accostamento del corpo cilindrico al pronao rettangolare, mediati da un elemento di raccordo murario.

 

Il pronao

Il pronao, dove il timpano triangolare conserva l’iscrizione dedicatoria di Agrippa, è costituito da un avancorpo di otto colonne (ottastilo) in granito grigio sulla facciata e due file di colonne in granito rosa che inquadrano la porta bronzea compresa tra le due nicchie esterne. Tutte hanno entasi e tutte sono prive di scanalature. Una colonna all’estremità orientale (lato sinistro) della facciata, delle tre mancanti o monche già dal XII secolo, fu sostituita sotto papa Urbano VIII (Maffeo Barberini, 1623-1644) con un fusto in granito rosa, mentre le ultime due colonne dell’angolo orientale del pronao, furono ugualmente rimpiazzate da un paio di fusti in granito grigio sotto papa Alessandro VII (Fabio Chigi, 1655-1667): l’originaria alternanza dei colori nelle colonne, dunque, risulta oggi alterata.

L’enorme facciata a colonne con cinque gradoni, oggi parzialmente sotterrati, nascondeva quasi completamente il resto della struttura. Le colonne del portico, disposte, come detto, su tre file, sono immense: l’altezza totale dell’ordine è di 14,15 metri (compresi i capitelli, la base e il plinto di sostegno), e il loro diametro alla base varia da 1,48 metri a 1,58 (con circonferenza alla base rispettivamente di metri 4,65 e 4,96) e pesano all’incirca 60 tonnellate ciascuna; lucidate a piombo e specchianti con basamenti e capitelli in bronzo dorato davano l’impressione di essere già dentro ad uno spazio fuori dal mondo reale.

Il frontone doveva essere decorato con figure rialzate in bronzo: si percepiscono chiaramente una serie di fori, rimasti nelle lastre di travertino, che servivano per ancorare il rilievo bronzeo al fondo tramite numerose grappe metalliche e perni. Dalla posizione dei fori, attraverso i quali era fissata alla muratura, si è ipotizzata la presenza di una grande aquila in bronzo, ad ali spiegate, simbolo della gloria eterna e dell’universalità di Roma imperiale, entro una corona di quercia, simbolo di potere.

Il portico, pavimentato con lastre di marmi colorati disposte secondo un disegno geometrico di cerchi e quadrati, è coperto da un tetto a doppio spiovente sorretto da capriate in legno di cedro, sostenute da una muratura in blocchi con archi poggianti sulle colonne interne. Le strutture della copertura erano originariamente celate alla vista da un rivestimento bronzeo, fatto asportare da papa Urbano VIII, per realizzare le quattro colonne tortili del Baldacchino berniniano della nuova basilica di San Pietro e per fabbricare nuove artiglierie per l’esercito pontificio in dotazione a Castel Sant’Angelo.

La pavimentazione del portico, restaurato più volte, è di marmo bianco e granito grigio scuro: i due materiali si alternano formando quadrati, cerchi ed ellissi. Tra il portico e la grande cella si interpone l’avancorpo: anticamente era rivestito dentro e fuori con lastre di marmo bianco.

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L’interno

Ma lo splendore del Pantheon va ben oltre il suo aspetto esteriore, il tempio va infatti considerato soprattutto internamente. A differenza di tutti gli altri periodi, dove era l’esterno che dominava architettonicamente, qui è la cella (naos), uno straordinario vano a pianta circolare, il centro di tutto l’edificio. Dal pronao suddiviso nelle tre navate, dopo aver varcato la soglia, costituita da un sol blocco di marmo verde africano, ed essere quindi passati attraverso un grande portale ligneo rivestito di bronzo che si apre in fondo alla navata centrale che costituisce l’unico ingresso esistente della rotonda, entriamo nell’aula. Il portale rappresenta una delle tre antiche porte di Roma ancora conservatasi, insieme a quella del tempio del divo Romolo nel Foro e quella già della Curia, ora nel battistero Lateranense; è a due valve, alte circa metri 6,50, divise a riquadri con cornici.

Si accede, quindi, nella grande sala laterizia a pianta circolare, ovvero l’immensa cella rotonda del Pantheon. Il volume dell’edificio si apre improvvisamente dal portone e cresce verso una nuova dimensione costituito da geometrie ampie e spaziali, il cui controllo della volumetria geometrica si basa essenzialmente sull’equilibrio e la disposizione armonica delle masse; la forma dello spazio è la configurazione di un cerchio perfetto, concepito come base di un’immensa sfera pura e ideale, all’esterno della quale l’imponente edificio funge semplicemente da sobrio e spettacolare involucro monumentale.

La cella fu progettata per provocare sensazioni intime e profonde: una grande scenografia architettonica; un apparato che semplicemente mette in scena lo spazio vuoto. Il suo effetto totale dipende anche da altri fattori quali luce, articolazione e decorazione.

Ancora oggi entrando nel Pantheon l’impatto visivo è straordinario: si tratta forse dell’unico monumento dell’antica Roma in cui, malgrado il senso di spoliazione e nudità che comunque si avverte, perde poco della sua straordinaria imponenza e grandiosità e in cui si prova emotivamente la sensazione di entrare in una dimensione ambientale che ha conservato per secoli l’aspetto che aveva quando venne edificato, con un fastoso pavimento in marmi preziosi, nella quale il profondo senso di armonia che nasce dalle sue proporzioni è dovuto al fatto che il diametro dell’ambiente è uguale all’altezza dell’edificio: lo spazio interno è infatti definito da un cilindro di 43,30 metri di diametro (pari a circa 150 piedi romani), sul quale è impostata una cupola emisferica a cassettoni con un occhio centrale di circa 9 metri di diametro (l’Oculus, l’«occhio»), la cui chiave sta ad una altezza dal pavimento pari alla misura del diametro di base. La sezione della grande «rotonda» è pertanto un cerchio perfetto, di cui una metà è occupata dal cilindro e l’altra metà è occupata dalla cupola, con una proporzione canonica nell’architettura romana, perché si trova già nelle terme del tempio di Mercurio a Baia, in Campania, e nel ninfeo di Domiziano, ora chiesa di Santa Maria della Rotonda, in Albano Laziale. Il diametro del Pantheon, corrispondente perciò tanto alla base quanto all’altezza è perfettamente coincidente; si può a ragione considerare per la sua ampiezza e per il fasto della decorazione marmorea una delle opere più ardite e perfette create dall’ingegno costruttivo romano.

Lo spazio interno è mirabile per l’armonia delle proporzioni e la grandiosità, sviluppando una volumetria di 52.500 metri cubi. La parete è suddivisa in due ordini; al piano terra ha un andamento alterno di tratti pieni e di esedre, tutte schermate da due colonne, che fanno rileggere l’unità del perimetro circolare, tranne quella situata sull’asse centrale del monumento, vera e propria conca absidale. L’ordine inferiore è pertanto formato da otto ampie esedre (una delle quali è utilizzata per l’ingresso) e da otto edicole: in corrispondenza della porta si apre l’esedra semicircolare, il cui catino absidale interrompe la continuità dell’ordine architettonico; sull’asse perpendicolare si aprono due esedre minori, mentre in corrispondenza dei due assi principali, che si intersecano a 45°, si aprono quattro esedre tra cui sporgono le otto edicole.

L’abside del fondo è inquadrata da due colonne scanalate corinzie di «pavonazzetto», leggermente avanzate rispetto al piano della parete curva della rotonda e sormontate da un arco simmetrico a quello che sovrasta l’ingresso ed ha le pareti rivestite di marmo scandite da quattro lesene; le rimanenti sei esedre, tre per parte ai lati dell’abside centrale, alternativamente a pianta trapezoidale e semicircolare, hanno sulla fronte due colonne scanalate (alte metri 8,90) di «giallo antico» della Numidia, con intercolunnio di due metri come quelle laterali del portico e capitelli corinzi di marmo bianco fra due lesene.

Il pavimento della rotonda è lastricato in quadrati, e cerchi in quadrati, di diverse varietà colorate di granito, marmo e porfido. Questo reticolato è allineato con la direzione principale nord-sud del tempio e passa per il centro dell’edificio. La pavimentazione non è quella originale, perchè rifatta nel 1873, ma l’effetto è quello del periodo adrianeo. I cerchi e i quadrati sono messi in relazione in modo che appaiono file continue di entrambi solo lungo le diagonali. Al centro del tutto si trova un cerchio, e di conseguenza vi sono alternatamente linee di cerchi e quadrati lungo l’asse principale e quelli trasversali, e linee di cerchi che collegano, partendo dalla destra dell’ingresso, la prima nicchia con la quarta, e la terza con la sesta, ovvero le quattro nicchie rettangolari.

 

L’oculus

L’elemento più straordinario di tutta la costruzione antica rimane però il grande soffitto a volta, che presenta un’ampia apertura centrale, l’ oculus, che costituisce l’unica sorgente di luce di tutto l’immenso ambiente che costituisce la sala della rotonda.

La superficie interna della cupola è ricoperta da 140 cassettoni (o lacunari), sagomati quadrangolari, scavati sull’intradosso (la superficie interna concava) e disposti su cinque file orizzontali di 28 cassettoni ciascuna, di dimensioni diverse, in quanto degradanti con effetto prospettico attorno al grande occhio centrale.

Questi sono di forma assai complicata, non solo perché formati da una superficie a doppia curvatura, ma anche perché disegnati sui principi della prospettiva. I lacunari dei primi quattro ordini concentrici sono costituiti da ben quattro strati, come se vi fossero quattro lacunari uno dentro l’altro, mentre quelli dell’ultimo ordine ne contano solo tre. Lo strato più esterno di ognuno, che possiamo chiamare cornice, scivola pendendo verso l’interno, come se fosse la porzione di base di una piramide obliqua avente il vertice esternamente alla cupola: inoltre man mano che salgono, i lacunari diminuiscono in grandezza e in profondità. Esternamente la cupola è interamente rivestita di semilateres disposti a scaglie ricoperti da uno strato di opus signinum spesso 15 centimetri, che costituisce l’impermeabilizzazione al di sotto delle lastre di piombo.

L’oculo, attorno al quale sono rimaste tracce di una cornice bronzea fissata alla cupola che forse raggiungeva la fila più alta di cassettoni, è rivestito nel suo spessore da laterizi formanti tante piattabande successive. In passato questi cassettoni erano ornati da rosoni di bronzo dorato, al centro, ancorati al calcestruzzo. Numerose cavità presenti nel cementizio permettono di ipotizzare che anche i cassettoni e gli spazi intermedi tra essi fossero rivestiti in bronzo.

La funzione di questi pannelli non è esclusivamente ornamentale, poiché contribuivano a ridurre il peso della copertura. Ciò venne realizzato mediante un complesso sistema di archi di sostegno incassati nell’enorme massa edilizia che forma il nucleo dell’intero edificio, dalle poderose fondamenta, alla sommità della cupola.

A parte il senso estetico d’incomparabile immensità e di profonda suggestione che pervade il visitatore, la progettazione del Pantheon è anche un’opera monumentale di prim’ordine; anche un profano può farsi un’idea degli elaborati calcoli e dell’elevata conoscenza della tecnica architettonica necessari per creare un edificio capace di sopportare l’enorme spinta di una simile ampia copertura semisferica. Capolavoro d’ingegneria, calibrato secondo rapporti matematici e geometrici rigorosissimi, dove la luce accarezza, modula, definisce, crea lo spazio, il Pantheon rappresenta una delle più alte realizzazioni dell’architettura romana, modello per tutte le cupole a venire, diventando un emblema dell’architettura occidentale successiva, gettando i semi di quegli elementi tipici del Classicismo, e cioè la necessità del superamento dei fattori soggettivi nella creazione artistica, la ricerca dell’equilibrio stilistico fra forma e contenuto, fra ragione e idealizzazione.

 

Le dimensioni

Esaminati gli aspetti volumetrici, decorativi e spaziali, è necessario approfondire il carattere tecnico-edilizio per poter comprendere la struttura di questo organismo, le cui dimensioni sono tali da costituire uno dei risultati più tecnicamente riusciti dell’evoluzione costruttiva del sistema statico-dinamico non solo nell’architettura romana, ma nella storia dell’architettura di ogni tempo.

Il peso della costruzione determinò anche la quantità e i tipi di materiale usato.

La cupola emisferica, articolata esternamente in sette anelli sovrapposti, poggia sopra uno spesso anello di muratura in opera laterizia con paramento in mattoni, che delimita la vasta cella a pianta centrale del tempio, dalla cui caratteristica forma circolare ne è poi nata la definizione popolare la “Rotonda”, intendendo con tale termine l’intero complesso monumentale del Pantheon.

Questa è costituita da un muro cilindrico (alto 30,40 metri e spesso 6,20 metri) che giace su una fondazione continua ad anello del tipo “a trincea”, che gli architetti, nel realizzare l’opera, curarono in modo particolare, e costituita da un ampia platea di opus coementicium (calcestruzzo) con scaglie di travertino, strati alternati di malta pozzolanica e caementa, pezzetti di travertino costipati con una battitura, posa dei mattoni che rivestivano la parte esterna dell’anello (profonda 4,50 metri e larga 7,30), alla quale, durante i lavori, per un eccessiva sollecitazione delle mura portanti, fu aggiunto un altro anello esterno. L’anello di fondazione venne chiuso da un doppio ricorso di mattoni bipedali, questo permetteva di definire con precisione la geometria della struttura sovrastante consentendo anche una corretta distribuzione dei carichi.

 

La fondazione

Un’osservazione particolare merita la fondazione della grandiosa aula rotonda, la quale si estende per un diametro di 43,30 metri. Essendo destinata a sostenere la pesante cupola, essa richiedeva un anello di fondazione assai robusto, tanto più che il terreno era in quel luogo acquitrinoso e instabile; forse i progettisti non fecero bene i calcoli e dettero all’anello uno spessore troppo esiguo, cioè di appena un metro maggiore della parte sopraelevata, onde durante la costruzione della cupola, o subito dopo, l’anello si lesionò, proprio alle due estremità dell’asse principale dell’edificio. L’avancorpo appoggiato sulla fronte non fu garanzia sufficiente a riparare il danno, per cui ne fu costruito un altro dalla parte opposta, cambiando il progetto primitivo da questo lato, come si può vedere dalla parete esterna della rotonda, che gira con la sua cornice al di dietro degli speroni normali del nuovo avancorpo, e da una volta tagliata, che faceva parte di una specie di finto nartece (un portico antistante la facciata) verso la basilica di Nettuno e le terme di Agrippa.

Ma anche il rimedio suddetto non fu sufficiente; probabilmente nell’assestamento dell’enorme cupola, la muratura mostrò segni eccessivi di schiacciamento, e di preoccupanti lesioni, cosicché si provvide dapprima a rinforzare tutte le fondazioni, costruendo un secondo anello a ridosso del primo e, quindi, si decise di rinfiancare il settore posteriore del monumento, fino ad una certa altezza, con poderosi muri paralleli all’asse principale Nord-Sud, che lo strinsero come in una poderosa morsa.

Il Pantheon perdette allora, rispetto al progetto iniziale, gran parte della sua singolare armonia di forme e imponente eleganza di spazi e volumi autoportanti, risultando più tozzo e massiccio di quanto non fosse originariamente previsto; il portico sembrò la fronte di un enorme propileo, serrato sui fianchi da alte e robuste pareti, e facente da fondale ad una grande piazza porticata.

 

Tecnica costruttiva

Per la buona riuscita del progetto, gli architetti e gl’ingegneri di Adriano si preoccuparono inoltre di adottare alcuni accorgimenti tecnici, come la gradazione del peso del conglomerato dalla base verso la sommità della cupola usando materiali con pesi specifici diversi, via via più leggeri e alternandoli sapientemente verso l’alto, a cominciare dal travertino, al tufo ai laterizi e finire con la pomice di origine vulcanica; e, contemporaneamente di graduare lo spessore della cupola. Il muro conserva il suo spessore fin sopra il piano di spiccato della cupola, sicché la spinta poteva essere bilanciata dalla mole della muratura e dal suo peso alla base, mentre l’apice veniva alleggerito ricorrendo al semplice espediente di eliminarlo completamente, cioè introducendo il grande “occhio” centrale.

Pur avendo infatti il significato funzionale (da un punto di vista architettonico, tralasciando quello “simbolico”, che pure riveste) di dare aria e luce all’ambiente sottostante, è indiscutibile che l’occhio, di circa 9 metri di diametro, fu richiesto essenzialmente da necessità statiche.

La cupola fu eseguita sopra un’armatura costituita da una cassettatura di legno, in una sola gettata di calcestruzzo con strati di malta e scaglie di tufo e mattoni nella parte inferiore e di malta e scaglie di tufo alternate a scorie vulcaniche e lapilli nella parte superiore che ne risultò così più leggera. Nella parte culminante ci sono addirittura delle leggerissime pomici (scorie vulcaniche) unite al tufo e a vasi di terracotta vuoti. Tutto l’insieme voltato (realizzato dunque grazie all’uso di una centina in legno, che però potrebbe aver operato solo come cassaforma dato che la tecnica di costruzione è ad anelli sovrapposti, come nelle volte in pietra delle tombe a camera etrusche) è coperto di semilateres disposti a “spina di pesce” a loro volta ricoperti da uno strato di opus signinum, un conglomerato composto di frammenti di laterizi e polvere di mattoni o di pietra misti a calce di tinta rossastra, molto resistente all’umidità, su cui un tempo poggiava la copertura in bronzo dorato. Nei lacunari sono state trovate nervature in laterizio che servivano per evitare che il conglomerato si frammentasse.

Tutti questi accorgimenti tecnici hanno consentito un perfetto bilanciamento statico della cupola e sono il segreto della sua straordinaria conservazione, a dispetto delle ingiurie del tempo e delle spoliazioni umane; tale da farla ritenere a tutt’oggi un’opera di alta ingegneria, che solo architetti capaci e fiduciosi nelle proprie capacità e nella bontà dei materiali utilizzati potevano permettersi di progettare. All’epoca di Adriano, in effetti, si poteva ormai dare per scontata la solidità del calcestruzzo e i cedimenti di alcuni edifici domizianei del Palatino, opera dell’architetto Rabirio (lat. Rabirius), avevano chiarito quanto fosse necessaria la predisposizione di fondamenta realmente solide.

 

Le leggende

Di fronte all’incomparabile grandiosità e imponenza della grande rotonda del Pantheon, le cui tecniche costruttive, già nei primi secoli medievali, apparivano inconcepibili e ritenendo che per la sua realizzazione non fossero possibili i sistemi tradizionali, poiché troppo ampia era la circonferenza, si andò sviluppando una leggenda secondo la quale questa cupola gigantesca era stata costruita su una collinetta di terriccio, riempita internamente all’edificio, via via che questo veniva innalzato. Per assicurarsi che tutta la terra posta all’interno del tamburo fosse eliminata velocemente dopo la costruzione della cupola, Adriano aveva fatto in modo che sparse tra il terriccio accumulatosi, vi si trovassero numerose monete d’oro, cosicché, dopo la conclusione dei lavori, si invitarono i cittadini a portar fuori quella terra, tenendosi come compenso tutte le monete che vi avessero trovato. Il popolino ed una folla di nullafacenti accorsa in massa si mise alacremente al lavoro nel tirar via dal monumento quel cumulo di sedimenti, e in men che non si dica il tempio fu completamente vuotato e ripulito. La terra asportata dallo svuotamento dell’edificio avrebbe successivamente formato la collina di Montecitorio.

La tecnica di costruzione effettivamente usata, vale a dire gittate di cemento sopra una struttura di legno a cassettoni, una centina lignea sulla quale già vi erano ricavati i rilievi che avrebbero formato i lacunari, era molto ingegnosa. Data la poca resistenza alla tensione del cemento moderno, una cupola come quella del Pantheon risulterebbe difficilmente edificabile. Il fattore determinante sembra risiedere in una particolare tecnica di costruzione: le malte antiche si asciugavano per “carbonatazione” (cioè attraverso una reazione di coesione ottenuta tramite la presenza naturale nel calcestruzzo di carbonato di calcio, per riuscire ad avere, con l’aggiunta di minime quantità d’acqua, e la conseguente combinazione chimica in gruppi carbonati monovalenti, elementi di più tenace resistenza), quindi i lavori dovevano avanzare per piccoli strati per dare tempo alla malta di asciugarsi (motivo anche delle nicchie interne); il calcestruzzo veniva aggiunto in piccole quantità, drenando subito l’acqua in eccesso, e ciò permetteva di eliminare le bolle d’aria che normalmente si formano con l’asciugatura, conferendo al materiale una resistenza eccezionale.

L’ampia apertura centrale ad anello posta alla sommità della cupola consente il passaggio della luce che pervade tutto l’interno, privo di finestre, creando un‘illuminazione tenue, diffusa omogeneamente nell’ambiente, radente nei lacunari e nelle membrature, con effetti di tonalità cromatica e di chiaro-scuri di mirabile suggestione. Allo stesso modo, anche la pioggia penetra nel tempio, cadendo sopra un pavimento di marmo coronato, che devia l’acqua verso dei condotti di deflusso posti ai lati. A tale scopo il pavimento della rotonda è leggermente convesso, con la parte più alta (spostata di circa 2 metri verso nord-ovest rispetto al centro) sopraelevata di circa 30 centimetri, per far sì che la pioggia che penetra all’interno del tempio attraverso l’oculo posto sulla sommità della cupola, defluisca verso i canali di scolo posti sul perimetro della rotonda. Anche a tale riguardo esiste una leggenda secondo cui dall’oculo non entri la pioggia a causa di un sistema di correnti d’aria ascensionali; in effetti, anche se manifestatamene falsa, c’è qualcosa di vero in questa leggenda: il fatto è che, a meno che non si tratti di fenomeni temporaleschi particolarmente violenti, quando piove, l’apertura crea un “effetto camino” cioè una corrente d’aria ascensionale che porta alla frantumazione delle gocce d’acqua. Così, anche quando la pioggia fuori è battente, la sensazione è che all’interno piova meno; sensazione rafforzata dal fatto che i fori di drenaggio sia centrali che laterali sul pavimento impediscono il formarsi di pozze d’acqua.



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