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Elisabetta Martinez e il Tevere

L’artista Elisabetta Martinez è nota soprattutto per la sua particolare interpretazioni delle architetture e delle sculture antiche, dal Tempio di Abu Simbel al Tempio di Zeus Olimpio, dall’Hermes di Prassitele ai complessi monumentali di brillantezza artistica.

Da qualche tempo ha tuttavia iniziato un nuovo ciclo che vede raffigurato nelle tele il fiume Tevere nel tratto urbano di Roma, con i suoi ponti e i monumenti limitrofi.

Questa raccolta di lavori, sul legame tra fiume e città, si fonda sulla costruzione e composizione di alcuni elementiarchitettonici base: I Ponti, gli Archi, le Cupole, le Facciate, le Mura, le strutture industriali, forme poderose e possenti, grandi monoliti, blocchi ciclopici e grasse malte, i “segni” simbolo dell’Urbe, parti del tessuto connettivo, rappresentano ciò che unisce, sostiene e incolla e, al contempo, ciò che divide, separa e isola. Doppia percezione della stessa realtà, viaggio onirico e visionario.

Tutto si muove sulla tela, su fondi informali, quasi astratti, resi da ampie partiture di colore a olio, dense e corpose, che delineano nuove rarefatte geometrie, immagini e costruzioni architettoniche, tessiture e forme.

Poi però, quel gioco di scansioni ritmiche sulla storia di Roma, entra prepotente in connessione emotiva con l’artista. Vita che si mostra e si racconta in immagini interrotte e incomplete, frammentate da lame e tagli, che ampliano gli elementi e li separano, uniscono per dividere, in un percorso anulare, cesura-collegamento-cesura. Ne nasce una collana preziosa di perle vetrose, sequenze di eventi, cercate nel passato e vissute nel futuro, fili trasparenti tesi tra muri.

E’ così che la città tumultuosa e veloce si ferma, bloccata nei suoi antichi elementi primari, fiume, muri, marmi e pietre, simboli ancestrali nell’immaginario collettivo.

Roma, troppo grande, infinita nella sua complessità storica e narrativa, solo così, ridotta in piccole parti, in pure geometrie, può essere riconosciuta e raccontata attraverso la sua visione.

Il Ponte 

La linea dell’arco (ponte S. Angelo), Arcate (Ponte Cestio), Inter duos pontes (isola Tiberina e “ponte rotto”).

Il ponte elemento di collegamento e frattura congiunge i due lati opposti della città e nel contempo interrompe con i suoi plinti la continuità nel fluire del fiume; con poderosa forza riempie la tela con ferme arcate, interrotte, incompiute, protese in avanti. La sua grandezza non ci consente di coglierlo nella sua finita complessità, sta a noi immaginare, costruire con la mente, quella sequenza reiterata di archi che ci conduce sull’altra sponda.

E poi gli archi, queste grandi “bocche” permeabili allo scorrere dell’acqua, ma a tratti ostruite, chiuse da ombre pesanti e da sagome impreviste.

Infine la luce, lama verticale, che frattura l’oro sul blu, divide l’orizzonte e ci unisce al cielo.

I dipinti della Martinez risultano incompiuti, astratti, definiti da estese e ricche campiture di colore, impronte e tracce della realtà, una rappresentazione mai conclusa in sé stessa, che lascia allo sguardo e alla mente la possibilità di leggere attraverso strutture aperte e dinamiche, a qualcosa di non visto, qualcosa che è in noi stessi e che solo il nostro sguardo interiore può decodificare.

Le Cupole

Arcades-Arcadia, dittico

La città delle mille chiese, rivisitata e immaginata in una sovrapposizione di volte e cupole, di pieni e vuoti, sequenze di archi “arcades arcadia” che si sovrappongono in un continuo passaggio dal pieno al vuoto. Qui si sovrappongono due ponti immaginari, sostruzioni per grandi cupole, ridotte alla loro essenza geometrica, unica forma riassuntiva che ingloba tamburo e colonne binate, spicchi di coperture di rame, lanterne e croci.

Nastri orizzontali dorati interrompono e tagliano l’immagine, sequenze di grandi e importanti edifici, prospetticamente ridotti a fasce e piani, il colore si attenua in una visione chiara, lontana, distante, siamo in un altro luogo o in un altro tempo.

Soltanto l’oro e il grigio argento restano per descrivere le curve e il bianco della tela lasciata grezza dona il massimo della luce.

Anche qui il fiume e la banchina sono il luogo da cui osservare, in cui cercare punti di vista inusuali e inaspettati, di una città trasparente, velata, indefinita, delineata da superfici non uniformi, quasi in movimento, trasposizioni meravigliose di immagini non chiaramente definite.

Due lame oblique di colore, due grandi remi di legno, fanno scivolare lentamente la città sul fiume, spingendola in avanti.

Una visione, una rappresentazione della realtà, non per quello che è ma per come viene percepita attraverso il tempo.

Le Mura e Blocchi ciclopici

Arco di Giano-Lastra blu, Palatino-Ritmi arancio e blu

Il blocco e la pietra di Lastra blu creano sovrapposizioni infinite di elementi marmorei, conci e basamenti, chiavi di volta, cornici e specchiature, il travertino con le sue venature e irregolarità, con le sue cavità e solchi, con i buchi e tasselli lasciati dalle grappe di ancoraggio, le colature di ossido di ferro, le trame irregolari di antichi fori, sono la storia che si deposita su una superficie. Di qui, considerando quanto è rimasto scritto, impresso su un concio ciclopico dell’Arco di Giano, l’artista passa a una lettura e trasposizione bidimensionale scrivendo su una pagina blu, solchi di colature di piogge secolari, macchie ruvide, carie e buchi, amorevolmente risarciti con sottili lamine in foglia d’oro che si dispongono irregolari, seguendo un gioco imprevisto e prezioso, con i piccoli inserti in libero movimento.

Così le sostruzioni del Palatino, irregolari muraglie smarginate e scompaginate si affiancano l’una all’altra, unite ma separate da scuri blu, pareti indefinite, grandi macchie di colore astratte. Il manufatto storico con i resti di antiche vestigia è rivisitato dall’ artista nel dipinto Ritmi arancio e blu che annovera lame verticali in bilico, consumate e dilavate dal tempo, irregolari e aspre, corteccia residua del passato, materia viva di forma e colore. 

Strutture industriali al Gasometro

Edifici abbandonati, vecchie fabbriche, silos e ciminiere, carroponti e gasometri, si specchiano sul fiume, strane forme allungate e sottili, trapezoidali e quadrate, grovigli di fili e nastri, il sopra e il sotto, l’immagine fissata nei riflessi del fiume non esiste più sulla terra, ruderi incagliati bloccati nell’acqua, l’arancio il blu escoriati e rigati raccontano una storia di lavoro, fatica  e abbandono.

La tela lunga e stretta permette di fermare una sequenza, un fotogramma di un passato recente da capire e recuperare, reinterpretare, le torri, lunghi “colli di giraffe”, i serbatoi dell’acqua, “caverne sospese”.

Anche qui l’olio che prima scivola e poi aderisce con la sua densa viscosità, che ti si oppone ma ti lascia la possibilità di sovrapposizioni infinite, olio moltiplicatore di trame, di piani e di stratificazioni dona la gioia della profondità.

Il carboncino che definisce margini e tratti, che va a cadere con la sua polvere sottile e morbida sulle partiture di colore, è lui che spinge il contrasto, crea chiaroscuri irregolari e smarginature imprevedibili, la spatola come strumento principale del gesto creativo, schiaccia il colore, sfuma, crea rilievi, effetti vellutati seguendo benevola l’intenzione del movimento.

Il tutto si muove sulla tela a tratti lasciata nuda, bianca, incompleta per assecondare, col suo colore, la sua luce e la sua trama, l’immagine, la forma, le geometrie, altre volte il fondo colorato aiuta la stesura dei colori, li accoglie e si fonde con essi.

Conclusioni

Attraverso le sue metafisiche impressioni Elisabetta Martinez scopre la sua relazione segreta con Roma, città dove è nata nel 1963 e dove ha studiato laureandosi in Architettura. Le atmosfere avvolgenti e le cromatiche dissolvenze, le suggestioni oniriche presenti nelle tele hanno la capacità di avvicinarsi alla assoluta bellezza facendoci venire alla memoria la storia eterna dell’Urbe e del suo sacro fiume: le nostre origini. Le maestose volte cadute e i preziosi marmi lesionati riempiono però l’anima di malinconia crepuscolare prevedendo un futuro crepuscolare.

Elisabetta Martinez ha esposto in diverse mostre collettive, in particolare in quelle dei Cento Pittori via Margutta e personali curate da Roberto Luciani.

Recensioni si trovano in Wall Street International Magazine e Portfolio-Handbook Costa Smeralda. L’archivio e l’esposizione delle sue opere è tenuta dalla Galleria internazionale Arsnova Gallery.



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8 Comments

  1. Paola R.

    Ho la fortuna di avere in casa due opere di Elisabetta Martinez.
    Le sue tele sono emozioni di colore, ma non solo.
    C’è qualcosa di altro che solo se ci stai davanti puoi assaporare……ma non spiegare a parole.
    Le “senti negli occhi”.
    Poi, conoscendola,  capisci che  ha messo su ogni tela un pezzetto  della sua personale solarità di vita.

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  2. Danila

    Talento, originale e raffinata, con i suoi “Roma” sublime, emozionante…
    complimenti per la descrizione a Roberto Luciani!

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  3. Danila

    Grande talento, originale e raffinata…con i suoi “Roma” sublime ed emozionante..
    Complimenti per la descrizione al Sig. Roberto Luciani!

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  4. Lorenzo

    Ho messo in salotto un bel quadro di Elisabetta . Lo guardo con piacere tutti i giorni perché mi lascia sempre un dettaglio o un punto di vista nuovo da scoprire e da interpretare.

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  5. Stefania

    Grazie a Roberto Luciani che così bene ha saputo restituire con le parole quel che i dipinti dell’artista Elisabetta Martinez esprimono, evocando una Roma dalla grande assoluta bellezza, tanto antica quanto metafisica, simbolica e sospesa nel tempo, come nello spazio, passato, presente, unico ed eterno.

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  6. Valentina

    Architetto artista di sensibilita’ e dolcezza assoluta , osservatrice gioiosa e appassionata dei luoghi architettonici , ne racconti la bellezza e la forza , in girotondi di colore e sapiente tratto , brava bella dolce , ti meriti questa attenta e puntuale osservazione che ho letto con molto piacere un abbraccio

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