La rapa, questa umile e generosa figlia dei campi, coltivata da millenni per le sue radici carnose e largamente impiegata nella nutrizione umana, ha sempre avuto una ingiusta reputazione.
Sarà che la rapa nasce dalla terra e nella terra, saranno le sue forme sgraziate e grottesche o che nel corso dei secoli si è andata connotando come cibo per gente povera e bestie, tant’è che ha visto crescere attorno a sé una fama di ottusità e dabbenaggine che non accenna a estinguersi. Ancora ai nostri giorni, infatti, annoveriamo il diffusissimo epiteto “testa di rapa” che non è certo percepito come un complimento e non si dimentichi, poi, il modo di dire “cavare il sangue da una rapa” per sottolineare l’inutilità a impegnarsi in una relazione con una persona ritenuta inadeguata o in un’attività destinate, l’una e l’altra, a rimanere improduttive, sprecando tempo e fatica. La nostra Brassica campestris ha sofferto e soffre di una reputazione tanto bassa e volgare quanto immeritata, ennesima manifestazione dell’ingratitudine degli uomini.
Nel libro appena pubblicato dalle Edizioni ETS dal titolo La rapa. Regina delle radici, il Professore Luciano Luciani ha ridato la giusta considerazione a questa pianta della importante famiglia delle Brassicacee che allinea sulle nostre tavole non pochi ortaggi imprescindibili per una gustosa e sana alimentazione: cavolfiori, cavoli, ravanelli, rape.
Ed è su quest’ultima umile e generosa figlia dei campi, coltivata da millenni per le sue radici carnose e largamente impiegata nella nutrizione umana e animale, che si è concentrato lo studio dell’Autore, romano ma residente a Lucca, tra gli intellettuali più edotti della sua generazione sia culturalmente che eticamente, attento lettore e critico letterario tanto da far parte della Giuria del prestigioso Premio Letterario Viareggio Rèpaci, non nuovo a simili ricerche avendo scritto libri di storia e antropologia del cibo, ma anche sul Risorgimento e sulla Resistenza.
Luciano Luciani ci fa sapere che la rapa originaria dell’Asia sudoccidentale, era già nota alle popolazioni nomadi che se ne cibavano e ne utilizzavano le foglie come foraggio per i cavalli. Apprezzata da Greci e Romani per le sue virtù salutari, adattabile a tutti i tipi di terreno purché sufficientemente umido, fu estesamente coltivata durante il Medioevo in tutta Europa, occupando, per secoli, nell’alimentazione umana, il posto che, dopo la scoperta dell’America, sarebbe stato della patata.
Senza particolari esigenze climatiche, con un ciclo biologico piuttosto rapido, di facile conservazione, si è imposta alla coscienza collettiva come la regina delle radici commestibili e l’uomo europeo si è largamente nutrito della sua polpa bianca, gialla o rosata, dal vago aroma di noce, cruda o cuocendola al forno o sotto la cenere, elaborando con essa i più vari tipi di zuppa o ragù, l’antico rapulatum.
Le rapa da utilizzare come scorta invernale deve essere seminata tra la seconda metà di giugno e settembre, da sola oppure insieme a miglio, avena, granturco, grano saraceno, trifoglio, fieno greco e altre piante da foraggio.
Per il poeta latino di origine iberica Marco Valerio Marziale (39 o 40 – 104 d.C.) le rape raccolte a ridosso del solstizio d’inverno sono talmente buone che le mangia volentieri nientemeno che Romolo, leggendario fondatore e primo re di Roma:
Haec tibi brumali gaudentia frigore rapa quae damus, in caelo Romulus esse solet
(eccoti le rape che si sono godute il freddo brumale cibo abituale di Romolo lassù in cielo)
(Xenia, liber XIII, XVI).
La seconda parte di questo agevole e utile libro vede innumerevoli ricette realizzabili con le rape: dalle Rape al forno alla Gallinella ripiena alla salsa di rape; dalle Rape e carote caramellate alla Padellata di rape e salsicce.
La significativa opera La Rapa. Regina delle radici manifesta chiarezza su più registri, dal dettato della scrittura che sa essere esplicativa al tessuto narrativo agile ed essenziale che spingono l’immaginazione a prefigurare la rappresentazione, dalle scelte valoriali al puntuale linguaggio anche colloquiale.
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