STORIA
La chiesa di Santa Caterina dei Funari – Coordinate: 41°53’38.04”N12°28’42.79”E – è situata nel centro storico di Roma, in via dei Funari, nel rione XI Sant’Angelo, ed è dedicata a Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto, martire nel IV secolo sotto il governatore di Roma Massimino Daia. Il nome attuale le deriva dai fabbricanti di funi e canapi che esercitavano il loro mestiere
nel quartiere, utilizzando gli ambienti seminterrati dei numerosi edifici antichi della zona dove mantenevano i cordami nella necessaria umidità per poterli poi lavorare, e che ancora oggi da il nome alla stretta via su cui prospetta la facciata principale del tempio.
La chiesa è attestata in una bolla di Celestino III del 1192 con il nome di Sancta Maria Dominae Rosae e di Sancta Maria in castro aureo. Questo duplice nome indica da una parte la fondatrice e benefattrice della chiesa e del monastero annesso (domina Rosa), la cui identificazione è resa assai difficile dalla mancanza di documenti; e dall’altra il fatto che la chiesa era costruita sopra i resti del Circo Flaminio (il Castrum Aureum con cui erano chiamate le rovine del circo nel Medioevo). La chiesa del XII secolo era a tre navate, orientata verso l’attuale via Caetani.
Nel 1536 papa Paolo III (Farnese, 1534-1549) concesse la chiesa a Ignazio da Loyola, che fondò nel monastero una casa per ragazze povere, la Compagnia delle Vergini Miserabili Pericolanti, sanzionata poi da Paolo IV (Carafa, 1555-1559) nel 1558. Lo scopo della compagnia, come si legge nella bolla, era quello di prevenire il pericolo che correvano “molte zitelle figliuole per lo più di cortigiane o di donne di mala vita e persone di estrema povertà, le quali o per la poca cura dè loro parenti o per l’angustia della povertà o per lo male esempio de le loro madri impure, facilmente potessero scapitare dell’onestà”.
Nel 1560 Ignazio di Loyola suggerì al cardinale Federico Cesi di finanziare l’opera di totale ricostruzione della chiesa e di dedicarla a Santa Caterina d’Alessandria. L’alto prelato accettò l’invito, incaricando dei lavori l’architetto di sua fiducia Guidetto Guidetti, allievo di Michelangelo, che riuscì a concluderli in brevissimo tempo, nel 1564, anno della sua morte, realizzando uno dei primi esemplari di architettura controriformata. Da allora la chiesa ebbe il nuovo appellativo di Santa Caterina dei Funari e fu definitivamente dedicata alla santa d’Alessandria.
L’imponente e candida facciata della chiesa di Santa Caterina richiama modelli rinascimentali, realizzata in travertino, a due ordini di paraste corinzie, è simile a quella della chiesa di Santo Spirito in Sassia da cui deriva, distinguendosene per il risalto della parte centrale e per la maggiore ricchezza dell’ornato, concentrato in fasce tra i capitelli; il portale a edicola è racchiuso tra colonne scanalate.
A destra, visibile dall’attuale piazza Lovatelli, è il coevo singolare campanile, costruito utilizzando i resti di una torre medievale preesistente evidenzia una cella campanaria di pianta quadrata con superiormente due elementi ottagonali e cupolino.
L’interno, in eleganti forme tardo-rinascimentali, è a navata unica coperta a volta ed è scandito da pilastri su cui si addossano paraste uguali alle esterne, tra le quali si aprono tre cappelle absidate per lato. Vi hanno lavorato architetti importanti, oltre al Guidetti, il Vignola e Ottaviano Mascarino, e vi si possono ammirare opere di primo valore dei più famosi artisti del manierismo romano e del Settecento.
(n.d.r. Per garantire le qualità delle immagini realizzate da Omar Kheiraoui il servizio fotografico è stato raccolto in un video)
CAPPELLA CANUTO
prima cappella sinistra
La cappella Canuto è, tra quelle presenti nel tempio, quella che maggiormente denuncia l’influenza barocca, soprattutto nel frontespizio dell’altare ad andatura concava, retto da due colonne in marmo verde antico.
La realizzazione della cappella fu certamente successiva alla nomina di Andrea Canuto a Vescovo di Oppido, risalente al 1583. La Confraternita di Santa Caterina assegnò la cappella nel 1609 e dal 26 ottobre di quell’anno iniziò a lavorarvi Girolamo Nanni, detto “Poco e Buono”, pittore romano che si cimenta qui per la prima volta individualmente. L’artista terminò i lavori nel 1610 alla morte del Cardinale, pertanto tutta la decorazione può farsi risalire ad un unico artista che ha lavorato nel biennio 1609-1610.
Sul prospetto della cappella, sopra l’arco a tutto sesto che la separa dalla navata della chiesa, sono sistemate in alto due decorazioni scultoree in stucco raffiguranti Angeli.
La pala d’altare raffigura L’Annunciazione, olio su tela copia da Marcello Venusti (Como 1512 c. – Roma 1579). Datata agli inizi del XVII secolo, sviluppa dimensioni di 250 x 140 cm e, sopra un pavimento prospettico, rappresenta Maria a sinistra e l’angelo a destra, con dietro la porta dalla quale sembra essere arrivato, mentre sullo sfondo trova posto il letto a baldacchino con tappezzeria verde, e in alto la colomba dello Spirito Santo.
Nella parete destra il dipinto raffigurante, Sant’Andrea con la croce rovesciata, nel piccolo medaglione superiore il Ritratto di Andrea Canuto. Nella parete sinistra il dipinto raffigurante Sant’Agostino (o Sant’Anselmo), il superiore piccolo medaglione ha perduto l’originario ritratto. I due santi sono entro cornici barocche in marmo e stucco bianco e dorato, serrate da due cariatidi e sormontate da due angeli.
Il catino è ricchissimo di decorazioni con stucchi bianchi e dorati a perimetrale i dipinti di forme diverse (cerchi, ovali, trapezi, rettangoli) con al centro due angeli dorati. Nel catino e nel sott’arco vengono raffigurate le Storie della vita della Vergine, sempre realizzate da Girolamo Nanni nel biennio 169-1610, ma con la tecnica dell’affresco.
Al centro del catino troviamo lo Spirito Santo e quattro angioletti, sotto, in ovale, Incoronazione della Vergine; a destra, in trapezio, Profeta con angioletto; a sinistra, in trapezio, Profeta con angioletto. Al centro, in basso, Nascita della Vergine, ai lati, in tondo, Annunciazione e Visitazione.
Nel sott’arco, al centro, Dio Padre, a destra, Sposalizio della Vergine e Mosè, a sinistra, Assunzione della Vergine e Profeta David.
Ai piedi della balaustra marmorea si trova la lapide sepolcrale del Vescovo Andrea Canuto, datata 1610.
La seconda cappella sinistra è stata utilizzata quale ingresso laterale della chiesa.
CAPPELLA DE TORRES
terza cappella sinistra
L’architetto progettista della cappella è Tiberio Calcagni, nato a Firenze nel febbraio del 1532, morto a Roma nel dicembre del 1565 a soli 33 anni.
L’altare della cappella denuncia il grande momento del manierismo romano, essendo opera raffinata e singolare dove architettura e scultura si intrecciano armoniosamente. La decorazione è elegante e varia ramificandosi nei pilastri, nella volta e nelle pareti con fiorami, rosoni, cornici, cherubini e putti. Nell’altare, infatti, alle colonne di marmo verde con basi e capitelli in marmo bianco, che sostengono il timpano, sono abbinate due figure muliebre, cariatidi, che affiancano la cornice marmorea contenente la pala. Ai lati corre la scritta ECCE. AGNUS. DEI, mentre sopra la pala troviamo la testa di un angioletto e due figure allegoriche tra una torre, realizzate in stucco e marmi policromi.
In basso, sulla parete sinistra della cappella, è allogata una lapide in marmo bianco con incisa a lettere capitali l’iscrizione commemorativa la consacrazione di Ludovico II De Torres, datata 1592. Sulla parete opposta l’iscrizione commemorativa, sempre di marmo bianco incisa a lettere capitali, del lascito testamentario di 2400 scudi da parte di Virginia de Sanguineis, datata 1614.
La cappella è anche dedicata a San Giovanni Battista, come è facilmente deducibile dalla pala d’altare raffigurante San Giovanni Battista avvolto in un manto rosso su uno sfondo cupo e tenebroso, e dai dipinti laterali raffiguranti il Battesimo di Cristo, osservato dall’alto da Dio Padre e dalla colomba dello Spirito Santo e a sinistra e la Decollazione di San Giovanni Battista a destra. Le tre opere citate e tutti gli altri dipinti della cappella sono stati eseguiti tra il 1564 e il 1570 da Marcello Venusti (Mazzo di Valtellina, 1510-Roma, 1579), pittore di formazione nordica a Roma che subisce l’influenza di Sebastiano del Piombo e soprattutto di Michelangelo, suo grande amico e padrino del figlio.
Nel catino i dipinti, che si alternano in forme geometricamente diverse, raffigurano La nascita di San Giovanni Battista, La predica di San Giovannni Battista, la Visitazione, mentre nei due ovali in alto troviamo le raffigurazioni dei Profeti.
Al centro della grande fascia decorativa, nei due tondi retti da angioletti, troviamo i ritratti, sempre del Venusti, di Ludovico II De Torres (a destra) e di suo padre Ludovico I De Torres (a sinistra).
Tutti i dipinti della cappella sono stati eseguiti ad olio su lastre di ardesia, il Venusti sembra abbia trovato in questa tecnica la migliore espressione della sua pittura.
Nel pavimento in terracotta della chiesa, prospiciente la cappella, sono inserite cinque lastre sepolcrali in marmo bianco perimetrale da una striscia di marmo nero, in alcuni casi con stemmi in bassorilievo della famiglia cui apparteneva la cappella, Pentesilea de Sanguinis, Giovanni De Torres, Ferdinando De Torres e Ludovico De Torres.
CAPPELLA CESI
presbiterio
Guidetto Guidetti (? – Roma 1564), l’ architetto della chiesa, è anche l’ideatore della Cappella, perimetrata da una balaustra in marmo, dove sono scolpiti al centro due stemmi del Cardinal Federico Cesi e alle estremità due ruote del martirio di Santa Caterina.
I lavori di decorazione della cappella continuarono anche dopo il 28 gennaio del 1565, giorno della morte del Cardinale Cesi. Gli attuali dipinti corrispondono solo in parte a quelli presenti al momento della consacrazione della chiesa, avvenuta il 18 novembre 1565. Gli artisti originariamente presenti furono Livio Agresti, Federico Zuccari, Raffaello Motta, ma, durante il XVIII secolo i dipinti dell’Agresti furono sostituiti da altri realizzati da Giovanni Sorbi e Alessio D’Elia.
La pala dell’altare raffigurante Gloria di Santa Caterina d’Alessandria fu commissionata al pittore Giovanni Sorbi (Siena 1695-?) nel 1760. Nell’opera l’artista toscano rileva la sua maturità e la vastità dei suoi interessi; nella luce soprannaturale che si irradia dall’alto vediamo rappresentato un celebre episodio della vita di Santa Caterina d’Alessandria, vergine e martire, vissuta nel IV secolo. Secondo la tradizione, la santa fu sottoposta alla tortura della ruota, ma venne salvata dall’intervento miracoloso degli angeli, che spezzarono gli strumenti del martirio.
Le due figure ai lati dell’altare rappresentano, a destra, Santa Monica con il crocifisso in mano e, a sinistra, Sant’Agostino con il libro in mano. Sono state dipinte nel biennio 1771-1772 dal pittore di scuola salernitana Alessandro d’Elia (San Cipriano Picentino 1718-?). Nel 1771 lo stesso artista decora ad affresco la grande lunetta che chiude la parete di fondo con il Trasporto in cielo del corpo e della testa di santa Caterina d’Alessandria.
Sopra la pala, ai lati della finestra del coretto, due affreschi monocromi raffiguranti Angioletti realizzati nel 1771 da Alessandro D’Elia.
Sulla parete sinistra, ai lati della grata metallica, S. Romano Martire e S. Agostino, affreschi di Raffaello Motta detto Raffaellino da Reggio (Codemondo 1550-Roma1578). Sulla parete destra, ai lati della grata, S. Sisino Martire e S. Saturnino, affreschi di Raffaellino Motta.
In alto, sulla parete destra della cappella, Martirio di Santa Caterina d’Alessandria, affresco realizzato nel 1572 da Federico Zuccari (S. Angelo in Vado 1540-Ancona 1609); sulla parete sinistra lo stesso artista raffigura la Disputa di Santa Caterina d’Alessandria.
Ai lati dell’altare vi sono due finestrelle in marmo bianco e legno, quella di sinistra racchiude la ruota che consentiva alle suore il passaggio dei calici e dei paramenti sacri dalla sacrestia retrostante; quella di destra si estrinseca in una piccola apertura rettangolare, per permettere a chi era in sacrestia di acquisire le ostie sacre (sacrum convivium, comunione).
CAPPELLA SOLANO
terza cappella destra
La progettazione della cappella viene attribuita all’architetto Ottaviano Nonni detto il Mascarino (Bologna, 1524 – Roma, 1606). Nel prospetto presenta, sopra l’arco a tutto sesto di separazione con la navata, una decorazione scultorea raffigurante due Sibille contrapposte in stucco dipinto, quella di sinistra con volto giovane, quella di destra con volto vecchio, ad indicare il trascorrere del tempo e l’ineluttabile ciclo della vita terrena.
La pala d’altare, serrata da due colonne in marmo nero venato sovrastate da capitelli compositi e pulvini che sostengono una trabeazione orizzontale, raffigurante L’Assunzione della Vergine è di Scipione Pulzone, detto il Gaetano o Scipione Gaetano (Gaeta 1550 circa-Roma 1598) e aiuti, che non fu portata a termine per la morte dell’autore avvenuta nel 1598. L’opera è realizzata con la tecnica dell’ olio su tela e sviluppa dimensioni di 345×200 cm. In alto la Vergine, avvolta in un manto azzurro con lo sguardo proteso al cielo e le mani sollevate, tra angeli musicanti. Sotto, attorno ad un cippo marmoreo classico una serie di uomini guardano e discutono: tra questi, a sinistra, San Pietro con barba e capelli bianchi, vestito di azzurro e manto arancio, con la mano sinistra al petto mentre con la destra sorregge un libro e la chiave.
Sulla parete sinistra della cappella il dipinto Santa Caterina d’Alessandria (230x87cm), raffigurata con manto rosa, corona in testa e nella mano destra la palma del martirio, opera di Giovanni Zanna detto il Pizzica (attivo a Roma nel XVII secolo), perché figlio di un pizzicagnolo, realizzata con la tecnica dell’ olio su tela all’inizio del XVII secolo. Nella parete destra sempre Zanna, con la stessa tecnica e nello stesso periodo, dipinse Santa Lucia (230×87 cm), raffigurata con la palma del martirio nella mano sinistra e il vassoio con gli occhi nella destra.
Nel catino e nel sottarco è presente un ciclo decorativo datato agli inizi del XVII secolo e realizzato con la tecnica dell’affresco con Storie della Vergine di Giovanni Zanna, al quale sono attribuiti anche gli stucchi.
Il catino manifesta una decorazione in stucco bianco e dorato, con conchiglie, girali, festoni e colomba dello Spirito Santo; le pitture sono incorniciate da stucchi in forma di ovale o di trapezio. A destra, ovale sorretto da due angeli in stucco dorato, con la raffigurazione della Pentecoste, al centro incorniciata da stucchi in forma di trapezio, Vergine incoronata dalla Trinità, a sinistra in ovale sorretto da due angeli in stucco dorato, Immacolata concezione con due angeli.
Nel sottarco, a sinistra, Profeta e simbolo Mariano (fonte) , al centro, Cherubino e simboli mariani (specchio senza macchia e porta coeli), a destra, Profeta e simbolo Mariano (pozzo).
CAPPELLA RUITZ
seconda cappella destra
La cappella è stata realizzata tra il 1565 e il 1566 da Jacopo Barozzi detto il Vignola (Vignola 1507-Roma 1573). Sopra l’arco a tutto sesto che separa la cappella dalla navata è presente una decorazione scultorea realizzata in stucco dorato raffigurante due Virtù.
La cappella fu commissionata da Filippo Ruitz, abate proveniente da Valencia, riconoscibile per lo stemma scolpito sulla balaustra, un leone rampante che tiene un giglio.
La cappella fu dedicata alla Pietà, tema iconografico facilmente deducibile nel grande dipinto (280×158 cm) d’altare rappresentante la Deposizione di Cristo, realizzato con la tecnica dell’ olio su lavagna da Girolamo Muziano (Acquafredda 1568- Roma 1592). Incerta è la datazione della pala, che tuttavia è inseribile post 1568-ante 1571. Il corpo di Cristo taglia trasversalmente, con il bianco candore della carne e del sudario, l’opera, mentre le donne disperate con gli abiti dai colori celesti, gialli, rossi, bianchi, creano macchie di colore e un circolo tutt’intorno. Sullo sfondo, in alto, le tre croci, ormai vuote, davanti ad un cielo plumbeo al tramonto.
Ai lati della Deposizione sono altre opere di Muziano, sulla parete sinistra, Cristo guarisce il cieco, sulla parete destra Cristo guarisce il paralitico alla piscina di Bethesda oppure Guarigione del paralitico. Ancora, sulla parete sinistra, sopra Cristo guarisce il cieco, troviamo il dipinto San Giovanni evangelista con l’aquila, e sulla parete destra San Matteo con l’angelo.
Nel sottarco troviamo tre dipinti di forma rettangolare realizzati da Muziano alternati a due gigli. A sinistra, San Girolamo penitente nel deserto, al centro Dio padre benedicente, a destra San Francesco d’Assisi.
Nel catino trovano posto altre sei opere dell’artista di Acquafredda, distribuite in due registri e inserite in cornici di stucco dorato di forma ovale o trapezia e raffigurano, nel registro inferiore, al centro, Cristo guarisce l’indemoniato, a sinistra Cristo guarisce un uomo, a destra Cristo guarisce il servo del centurione, nel registro superiore tre dipinti che raffigurano altrettanti Profeti.
I pilastri che serrano ai lati la cappella sono decorati da Federico Zuccari (S. Angelo in Vado 1539- Ancona 1609), come testimonia la firma dell’artista che in alto a sinistra scrive FEDERICVS ZVCCARIS FACIEBAT e a destra ANNO DOMINI MDLXXI, la data è quindi 1571, mentre la tecnica usata per tutti i dipinti è dell’olio su lavagna.
Sul pilastro di sinistra, in basso, troviamo il dipinto Salita di Cristo al Calvario; sempre sul pilastro di sinistra, in alto, troviamo il dipinto San Marco con il leone, dove compare la firma dell’artista. Sul pilastro di destra, in basso, Hecce Homo, in alto San Luca, dove compare la data di esecuzione.
Sul pavimento, davanti alla cappella, lapide sepolcrale in marmo bianco inciso di Filippo Riutz e Vittoria Frangipani datata 1605, con al centro lo stemma familiare e ai quattro angoli altrettanti teschi.
CAPPELLA BOMBASI
prima cappella destra
Commissionata dal gentiluomo di Reggio Emilia Gabriele Bombasi (1531-1602), che fu al servizio di Ottavio Farnese di Parma come tutore del nipote Odoardo, custodisce la pala d’altare realizzata con la tecnica dell’olio su tela da Annibale Carracci (Bologna 1560-Roma 1609), celebre caposcuola bolognese, raffigurante Santa Margherita (239×134 cm), copia della tela rappresentante Santa Caterina, sempre del Carracci, che allora si trovava nel duomo di Reggio Emilia.
Secondo la leggenda, Santa Margherita, originaria di Antiochia e martirizzata sotto l’imperatore Diocleziano (284-305), fu ingoiata da un drago prima di essere decapitata. L’artista la ritrae riccamente abbigliata come una matrona romana, anche per sottolinearne le origini nobiliari, nell’atto di esortare lo spettatore additando il cielo con l’indice della mano destra, mentre con mano sinistra tiene contemporaneamente un libro a simboleggiare la supremazia teologale e la palma del martirio. Con naturalezza misurata la Santa poggia col braccio sinistro sopra un cippo marmoreo antico, sul quale è scolpito il motto SVRSVM CORDA, mentre col piede sinistro schiaccia la testa del drago.
È probabile che la scelta da parte del Bombasi della Santa Margherita fosse collegata al nome di due importanti donne di casa Farnese a lui molto care: Margherita d’Austria, moglie del duca Ottavio, primo padrone del gentiluomo reggiano, e Margherita Farnese, sorella di Odoardo e Ranuccio, poi divenuta suora a seguito del fallito matrimonio con Vincenzo Gonzaga col nome di Maria Lucenia. Un’ulteriore ipotesi porterebbe ad una terza Margherita, nipote del papa, ovvero Margherita Aldobrandini, che nel maggio 1600 sposò il duca di Parma Ranuccio Farnese.
Nella cimasa dell’ancona della cappella Bombasi, è collocata un’Incoronazione della Vergine (115×60 cm), dipinta con la tecnica dell’ olio su tavola dal bolognese Innocenzo Tacconi, assistente del Carracci nella cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo, e derivata dal distrutto affresco del Correggio (1489-1534) in San Giovanni Evangelista a Parma.
Ai lati della pala sono collocate al muro due lapidi commemorative datate 1599, dalle stesse dimensioni (400×118 cm), con summitale stemma di Gabriele Bombasi in marmo bianco scolpito e inciso e stucco dorato. Nella lapide di sinistra il committente mette in risalto il suo rapporto con la famiglia Farnese, mentre nella lapide posta a destra ricorda il lascito alla confraternita, con l’indicazione del notaio Ottaviano Saravezzi, che ne aveva rogato l’atto l’ 11 dicembre 1599.
IL CONSERVATORIO DELLE VERGINI MISERABILI
Nella Roma del Rinascimento la prostituzione era un grave problema, basti pensare che nel censimento del 1526-1527 su una popolazione di 55.035 abitanti si contavano ben 4.900 meretrici. Si trattava per lo più di donne indotte a questa attività dalla povertà, che operavano e abitavano soprattutto nel rione di Campo Marzio.
Per tentare di risolvere il problema, Ignazio di Loyola, con alcuni suoi seguaci, giunse a Roma nel 1537 per offrire la sua opera a Paolo III (Farnese, 1534-1549). Qui fondò una Confraternita, “La Compagnia della Grazia”, che si occupava di prostitute, mal maritate e giovani bisognose e, successivamente, la “Compagnia delle Vergini Miserabili” che nel 1543 venne approvata da Paolo III con Bolla papale.
Pio IV (Medici, 1560-1565) emanò un ulteriore Bolla per la suddetta Compagnia, nella quale si precisava che la struttura del Conservatorio era destinata a “zitelle figliole per lo più di cortigiane o di donne di mala vita e persone di estrema povertà, le quali o per la poca cura dè loro parenti o per l’angustie della povertà, o per lo malo esempio domestico delle loro madri impure, facilmente poteva scapitare dell’onestà”.
Il Conservatorio si occupava di trasmettere alle giovani ospiti moralità, principi religiosi ed educazione, cercando, dopo un lungo periodo d’istruzione nel quale apprendevano “ogni arte donnesca per ben governare una casa”, di facilitare i matrimoni con uomini selezionati. Allo scopo in alcune circostanze, soprattutto il 25 novembre festa di Santa Caterina d’Alessandria, le ragazze venivano condotte in processione per le strade del rione Sant’Angelo e della città.
Ancora oggi, con il nome cambiato in Conservatorio di Santa Caterina della Rosa e con scopi diversi ma sempre caritatevoli l’istituzione svolge il suo encomiabile e importante compito.
Forte di quasi cinque secoli di attività quotidiana in favore dei ceti deboli, il Conservatorio Santa Caterina della Rosa, continua la meritoria attività socio-educativa-assistenziale sul territorio cittadino del Comune di Roma, secondo le prescrizioni dell’articolo 3 dello Statuto vigente dell’IPAB (Ente Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza) che prevedono quale fine istituzionale l‘assistenza e la beneficenza con particolare riguardo ai minori in difficoltà, per assicurare loro, in alternativa all‘istituzionalizzazione, educazione, istruzione e mantenimento ospitandoli in immobili di proprietà dell‘Ente.
L’istituzione occupa l’edificio attiguo alla chiesa di Santa Caterina, o meglio gli ambienti superstiti alla demolizione attuata nel periodo del Governatorato fascista. L’Ente oltre a continuare un’importante opera di assistenza, ha avviato restauri architettonici e storico artistici che hanno ridato nuova vita e credibilità alla chiesa di Santa Caterina dei Funari.
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Excellent !!!
Thank you.
Ottimo! Non conoscevo questa chiesa nonostante vivendo a Roma da 20 anni. Adesso vado a vederla dal vivo.
Ho letto sul Venerdì, di Republica, l’articolo di Tomaso Montanaro sul dipinto del Carracci, così ho cercato la chiesa.
Grazie.
Ione