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26th
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La poesia italiana del novecento: poeti senza nobel!!!

Come è forte il rumore dell’alba!/ Fatto di cose più che di persone./ La precede un fischio breve/ una voce che lieta sfida il giorno./ Ma poi nella città tutto è sommerso./ E la mia stella è quella stella scialba/ mia lenta morte senza disperazione[1]

Questa è una poesia di Sandro Penna[2], poesia di tipo relazionale[3] nel senso che è una poesia irrelativa, che scaturisce “dall’ impossibilità o incapacità di stabilire e di esprimere un rapporto razionale e riconoscibile con il mondo “(G. Debenedetti).

Il periodo storico in cui scrive Sandro Penna è quello dell’età borghese, cosiddetto periodo dell’imperialismo, quello di maggior aggressione del capitalismo che impose all’ uomo una posizione da schiavo, in una condizione d’alienazione: è il lavorare per i profitti, per risultati che nulla hanno a che spartire con l’umano vantaggio morale e spirituale.

Invece, un altro poeta italiano del novecento è Camillo Sbàrbaro[4], riportiamo qui uno stralcio di una sua poesia:

Talor, mentre cammino solo al sole

e guardo coi miei occhi chiari il mondo

ove tutto m’appar come fraterno,

l’aria la luce il fil d’erba l’insetto,

un improvviso gelo al cor mi coglie.

Un cieco mi par d’essere, seduto

sopra la sponda d’un immenso fiume.

Scorrono sotto l’acque vorticose,

ma non le vede lui: il poco sole

ei si prende beato. E se gli giunge

talora mormorio d’acque, lo crede

ronzio d’orecchi illusi.

Perché a me par, vivendo questa mia

povera vita, un’altra rasentarne

come nel sonno, e che quel sonno sia

la mia vita presente.[5]

Volendo caratterizzare la poesia di Sbàrbaro con una denominazione potremmo chiamarla come “la semplice confessione d’un modo spoglio di esistere”. In altri termini si tratta della semplicità che lo ha visto forte oppositore della retorica. Fermamente convinto della sua “interiore intenzione di constatazione”, e di “lucida autocoscienza di una condizione morale di crisi, sofferta senza evasione nell’elegia o nell’abbandono al fervore” come è stato ripetutamente sottolineato dalla critica. Inoltre ha cercato durante tutto il suo lavoro di ridurre la letteratura al silenzio ed il poeta ad una “mineralizzazione”, ad una “cosa inerte”, posizionata in una vita arida e pietrosa: l’amara consapevolezza di una vita senza sorprese. Tuttavia Camillo Sbarbaro fu appassionato di studi di botanica, collezionista di licheni, archivista di esemplari rari nella sua esistenza di scapolo, studioso e traduttore di classici greci e scrittori francesi e infine negli ultimi vent’anni della sua vita saldamente ancorato all’ultimo porto, una piccola casa di Spotorno, teatro di una consolazione naturalistica con le indimenticabili immagini della Liguria. La sua vita fu quella di un impiegato “irregolare” che mal sopportava i compromessi per far carriera. Lavorò fino alla fine come insegnante di greco supplente in scuole private.

Un altro grande poeta italiano è stato Giorgio Caproni[6] che a Genova terminò gli studi e frequentò la Facoltà di Magistero, dedicandosi contemporaneamente allo studio del violino e seguendo le lezioni di filosofia. Nel 1936 pubblicò la sua prima raccolta di poesie. Commesso, impiegato, e infine maestro elementare, nel 1938. Si trasferì a Roma, dove continuò a fare il maestro fino al 1973, vivendo appartato e tenendosi lontano dai salotti letterari.

Chiudiamo questi spunti letterari con uno stralcio di una sua poesia lirica, tenendo comunque presente che dapprima il suo stile fu macchiaiolo e carducciano, poi lirico e alla ricerca della forma ma infine divenne scarno e crudo, in altri termini fu un poetare alla ricerca della “massima semplicità possibile”.

Fu in una casa rossa:

la Casa Cantoniera.

Mi ci trovai una sera

di tenebra, e pareva scossa

la mente da un transitare

continuo come il mare.

Sentivo foglie secche,

nel buio, scricchiolare.

Attraversando le stecche

delle persiane, del mare

avevano la luminescenza

scheletri di luci rare.

Erano lampi erranti

d’ ammotorati viandanti.

frusciavano in me l’ idea

che fosse il passaggio d’Enea.[7]

 


 

[1] Da: Una strana gioia di vivere (XXIX).

[2] Ragioniere, Perugia 1906 Roma 1977.

[3] In questo periodo però l’ermetismo era la corrente poetica più seguita.

[4] Santa Margherita Ligure 1888- Savona 1967.

[5] Dalla raccolta: Pianissimo.

[6] Livorno 1912 – Roma 1990.

[7] Da: Il passaggio d’Enea (Didascalia)



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