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La questione meridionale

La politica in questo periodo parla sempre più di reddito di cittadinanza come forme forma di aiuto alle classi sociali meno abbienti. Ma esiste ancora la questione meridionale? Ritenere oggi, la questione meridionale un tema ricorrente è un fatto che, sicuramente, non avrebbe riscosso, in colui che con maggiore intensità ha sollevato questa questione  alcuna forma di compiacimento. Sto facendo riferimento a Gaetano Salvemini, il cui pensiero rappresenta  uno dei contributi più  lungimiranti che la classe politica ed intellettuale di quegli anni sia riuscita a produrre. In un’epoca in cui l’Italia viveva una profondissima crisi politica, sociale ed economica, Salvemini ha anticipato molti dei suoi contemporanei nell’analisi e nella proposta di risoluzione dei più gravi problemi che travagliavano l’Italia. E dunque, non avrebbe fatto piacere allo storico pugliese ritrovare, a distanza di circa cento anni, la questione meridionale ascritta in quell’ elenco che indica chiaramente che la questione è ancora irrisolta. L’amore che Salvemini nutriva per i meridionali fu forte al punto da influenzarne tutte le scelte; e la questione meridionale era da lui considerata come il punto di confine fra la corruzione e lo sviluppo dell’Italia. E’ questo, quindi, il motivo per cui ogni sua azione ed ogni suo scritto furono volti alla risoluzione di un unico problema: quello della disparità fra il Nord e il Sud d’Italia. E’ importante tenere presente che, a parere di molti studiosi, le condizioni di squilibrio fra il Nord e il Sud erano dovute ad una serie di fattori non superabili che ponevano il Sud in una posizione di insanabile inferiorità rispetto al Nord. Per Salvemini, invece, l’arretratezza del meridione era dovuta a minori opportunità di sviluppo del Sud rispetto al Nord. Allora, come per troppi aspetti ancora oggi, il Nord rappresentava il centro degli interessi economici, e quindi l area  su cui maggiormente investire.  Il Meridione, a parere di Salvemini, soffriva di tre malattie: lo Stato accentratore, l’oppressione economica del Nord ed una struttura sociale semifeudale. Le prime due, generate da politiche protezionistiche ed autoritarie, permettevano al Nord di opprimere il mezzogiorno. Cosa paradossale è che, quando si unì l’Italia (1861),il Napoletano e la Sicilia non avevano debiti; l’unità pertanto,ebbe l’effetto di obbligare i meridionali a pagare gli interessi dei debiti contratti dai settentrionali. Per quanto riguarda la terza malattia, la struttura sociale semifeudale, Salvemini ricorda che la società meridionale era distinta in tre classi sociali: la grande proprietà, la piccola borghesia e il proletariato agricolo. Ora, il potere incontrastato dei latifondisti, impediva la formazione di una borghesia moderna come quella presente nel Nord, la sola che avrebbe permesso lo sviluppo e la democratizzazione del meridione. Salvemini, inoltre, metteva in evidenzia come il potere delle prime due classi fosse forte a tal punto da influenzare e manipolare la vita politica e sociale del meridione. Il potere della grande proprietà sarebbe rimasto tale  in quanto risulta essere coordinato, oltre che appoggiato dalla piccola borghesia. Dunque, i latifondisti si adoperavano perché nulla cambiasse. Ogni loro azione era volta al mantenimento di quei vecchi privilegi ormai perduti in ogni altra parte d’ Italia. Salvemini  infatti ha utilizzato, nei confronti della piccola borghesia, parole sempre più aspre, evidenziandone  il costume ozioso, centrando la sua accusa sul comportamento opportunista. L’alleanza consisteva in un macchinoso, ma ben studiato gioco elettorale che avrebbe garantito loro posti di potere, contrastando ogni forma di progresso a danno del proletariato agricolo: “dove gli operai industriali mancano ed i contadini sono impermeabili alla propaganda nostra, ivi l’idea socialista o non penetra o, se penetra si corrompe”. Ed  è proprio in questo contesto che vi è l aspra critica nei confronti di Giolitti, il “ministro della malavita”. 



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