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Santa Caterina

Per settant’anni i papi ridotti a cappellani di corte del re di Francia. Domina il partito intellettuale dell’Università di Parigi. Ma Dio manda una giovane donna. Analfabeta…

Anche la Toscana è devastata dalla peste nera del 1348. Decimata la città di Siena dove morirà la metà degli abitanti. Proprio in questo anno infernale nasce alla famiglia Benincasa, tintori della contrada di Fontebranda, la ventiquattresima figlia, Caterina.

Oltre alla peste bubbonica, c’è un’altra infezione: ha colpito la cristianità, che dal 1304 non ha più visto il Papa risiedere a Roma. Da quell’anno, infatti, con l’elezione di Clemente V, una sequela di papi si stabiliscono ad Avinone, ridotti a fare i “cappellani di corte del re di Francia”.

Siena, 25 marzo 1347 – Roma, 29 aprile 1380

Lo scontro fra papa Bonifacio VIII e il re di Francia, Filippo il Bello, si era concluso con il trionfo di questo. «Per la maggior parte del XIV secolo, il papato è dunque francese, legato ad una corte che con la sua influenza lo taglia fuori dal resto della cristianità… e sottomesso strettamente all’autorità presto preponderante che l’Università di Parigi assume nella Chiesa» (Régine Pernoud). L’università e la sua élite intellettuale si riteneva infatti detentrice della “chiave della cristianità”.

È singolare che a questo formidabile partito intellettuale, che sprigionerà tutta la sua virulenza durante il Grande Scisma, la Provvidenza abbia voluto contrapporre una giovane ragazza, Caterina, analfabeta, del popolo di Fontebranda, ignara di teologia. Il papato di fatto seguirà Caterina, “obbedirà” a lei piuttosto che agli intellettuali e al collegio cardinalizio. Qual è la sua sapienza? «O amore, o amore, tu sei la più dolce cosa che ci sia… o eterna bellezza per quanti secoli rimanesti al mondo incognita… dammi la consolazione di vedere spezzati tutti i cuori dalla forza del tuo amore». Così Caterina pregando Gesù Cristo, «l’Agnello svenato per noi». Dei dotti dell’Università di Parigi nessuno è stato proclamato, come Caterina, Dottore della Chiesa universale. Lei che non aveva mai frequentata una scuola. Lei che non era neanche una monaca o una suora.

Caterina dovette sudare non poco per essere ammessa nel Terz’Ordine domenicano (fatto di donne laiche): era infatti troppo giovane, sedici anni, e pericolosamente bella. (Del resto la madre, Lapa, con la tenacia del suo temperamento di ferro, tentò fino alla fine di farla maritare). C’è una sproporzione umanamente inspiegabile tra la persona di Caterina e ciò che lei ha misteriosamente rappresentato per le sorti del papato e della Chiesa nella storia.

La sua è una fede semplice, che concentra lo sguardo sul «dolce Gesù», nella semplicità della preghiera quotidiana, del digiuno, della carità vissuta fra i lebbrosi, o nell’antico ospedale di Santa Maria della Scala o fra la peggiore feccia delle carceri. Pure la “bella brigata” per lo più di giovani, che si raccoglie attorno a Caterina e che la seguirà ovunque, ad Avignone come a Roma, è una ben piccola compagnia.
Scrivono gli storici: «Il lungo periodo di permanenza dei papi in terra di Francia… segna uno dei momenti più decisivi di tutta la storia ecclesiastica: il passaggio dal papato medievale a quello rinascimentale. Nel secolo XIV vengono poste ad Avignone le premesse della mondanizzazione del papato propria del secolo successivo, contro la quale in seguito insorgerà l’indignata protesta di una larga parte dell’Europa cristiana, sfociata nell’irrimediabile lacerazione della sua unità».

Se all’orizzonte di Avignone appare Lutero, già il corpo della stessa cristianità del Trecento è corroso da micidiali morbi di eresia (vedi Wyclif e Huss). Ludwig voli Pastor, l’autore della monumentale Storia dei Papi dalla fine del Medioevo, vede proprio nell’abbandono di Roma da parte dei papi del Trecento la causa scatenante di tutte le tragedie successive della cristianità.

Altri storici (i francesi) rilevano giustamente che proprio in questi decenni la Curia si dotò di una possente organizzazione burocratica. Proprio il Trecento è il secolo in cui proliferano trattati dai titoli emblematici: «De potestate Papae», «De ecclesiastica potestate», «De iurisdictione ecclesiastica». Non solo la Curia diventa una corte principesca, lo era già con Innocenzo III (1198-1216) e Bonifacio VIII (1294-1303), ma l’adozione del diritto romano dentro la Chiesa trasformerà in senso politico assolutistico l’autorità papale.

Emblematico il caso di uno dei papi avignonesi, Giovanni XXII (1316-1334). Fu lui a dotare la Chiesa di un apparato curiale imponente e di un peso politico-finanziario non indifferente. Ma è pure il Papa che, con la celebre predica del 1° novembre 1331, sosterrà una dottrina eretica (le anime dei salvati godranno della visione beatifica solo dopo la resurrezione). Di fronte alla sollevazione della cristianità e all’accusa di eresia, formulata apertamente da Guglielmo di Occam, il Papa, che nel caso specifico parlava come teologo privato e non pensando di far assumere alla Chiesa la propria opinione teologica, dovette ritrattare, quasi in punto di morte, davanti ai cardinali, nel dicembre 1334.

La corrosione della cristianità andrà dunque di pari passo con la clericalizzazione della Chiesa, con l’ingigantimento della burocrazia ecclesiastica.

Il fenomeno è stato studiato da Michel De Certeau, che ha parlato di «sparizione del corpo», cioè di una mancanza di esperienza della Chiesa come realtà. «Dopo la metà del XII secolo» spiega De Certeau «l’espressione corpus mysticum non designa più l’Eucarestia, come prima, ma la Chiesa. Reciprocamente, corpus verum non qualifica più la Chiesa, ma l’Eucarestia. Gli aggettivi mysticum (nascosto) e rerum (vero, reale e conoscibile come tale) s’invertono».

Dunque «la Chiesa, “corpo” sociale di Cristo, è ormai il significato (nascosto) di un “corpo” sacramentale ritenuto significante, visibile perché ostensione di una presenza sotto le “specie” (o apparenze) del pane e del vino consacrati».

Il vuoto di esperienza reale, storica, della fede e della comunione, viene sostituito dalla corporazione ecclesiastica. «Il Concilio Laterano III (1179) ha organizzato una restaurazione politica del papato e una riforma amministrativa del clero. Il corpo ecclesiale si rinforza. Si clericalizza. Si condensa».
Allo stesso modo, nota De Certeau, la Riforma protestante prova a riempire quel vuoto con l'”invenzione” di un “corpo scritturario”. E nella Chiesa cattolica si tenta di riempire quel vuoto col valorizzare grazie particolari, ma secondarie, come visioni ed esperienze mistiche. Tante degenerazioni dei tempi successivi, dal clericalismo al “misticismo”, dallo spiritualismo alla mondanità della Curia del Cinquecento, insorgono su questo “vuoto”, in questa “perdita di corporeità”.

Negli anni della “cattività avignonese” si concentra questo paradosso: la massima esaltazione del potere del Papa coincide con il suo reale asservimento politico e con la tremenda crisi della cristianità che arriva fino al limite delle opinioni private eretiche di Giovanni XXII.

Eppure la storia di Caterina mostra tangibilmente l’azione dello Spirito Santo, capace di rigenerare in ogni condizione storica la vita cristiana e di toccare il cuore di ciascuno.

Gregorio XI, salito al soglio pontificio il 30 dicembre 1370, il Papa che riporterà Pietro a Roma, non è affatto un Papa santo, né particolarmente dotto. Dai documenti appare molto impaurito dal collegio cardinalizio, per lo più francese, ricattato dal re di Francia e terrorizzato dalle minacce (teme di essere avvelenato). Ma, nonostante tutto questo e nonostante la miriade di trattati che definiscono il suo come un potere assoluto, egli riconosce inequivocabilmente di dover “obbedire” a Caterina.

La verità cattolica appare dunque nei cuori e nei fatti proprio quando comincia a far difetto nei trattati. E Caterina, che pure venera il successore di Pietro come il Signore stesso (lo chiama «il dolce Cristo in terra») lo richiama, lo corregge, lo esorta, lo ammonisce, lo istruisce con un vigore ed una sicurezza sorprendente. Papa Gregorio XI appare a Caterina timoroso e confidente come un figlio di fronte alla madre, come un bambino di fronte ad una autorevole maestra. È il paradossale rapporto fra autorità e santità nella storia della Chiesa che si comprende dalle centinaia di lettere di Caterina.

Eccola rivolgersi ai cardinali: «Ingrati, villani, mercenari, vili e miserabili». Dice che sono «non fiori che gettate odore, ma puzza, che tutto il mondo avete appuzzato… contaminatori della fede, dimoni, matti, stolti, degni di mille morti». E come se non bastasse: «Meritate più tosto i fatti che le parole». Caterina interferisce nell’elezione dei cardinali, tratta accordi politici per conto del Papa. Lo guida: «Siatemi uomo virile e non timoroso». Esige obbedienza: «Vi prego e vi costringo… Venite Padre, e non fate più aspettare li servi di Dio che s’affliggono per lo desiderio. Venite e non fate più resistenza alla volontà di Dio che vi chiama (a Roma)».

Lo mette in guardia dai «consiglieri del dimonio». Gli dà suggerimenti di alta politica insegnandogli «un santo inganno» per aggirare il potere del collegio cardinalizio. Lo mette in guardia dai «lupi feroci che vi metteranno il capo in grembo come agnelli mansueti». Ma quando sente tremare il Papa per il timore di essere ammazzato lo esorta: «Ponetevi come obietto questo Agnello svenato. Nel suo sangue perderete ogni timore; diventerete e sarete Pastore buono che porrete la vita per le pecorelle vostre».

E agli ultimi ostacoli si fa dura con Gregorio XI: «Poiché esso v’ha data autorità, e voi l’avete presa: dovete usare la virtù e potenzia vostra; e non volendola usare, meglio sarebbe a refutare quello che è preso: più onore di Dio, e salute dell’anima vostra sarebbe». Ricatti? Minacce? «Io se fussi in voi temerei che il Divino giudicio non venisse sopra di me». Finalmente la vittoria.

Il Papa partirà per Roma il 16 settembre 1376. Alla sua morte, due anni dopo, i francesi inventeranno un loro antipapa e alla Chiesa non sarà risparmiato nemmeno lo scisma. Ma Caterina ha compiuto la sua missione. Sfinita dalle enormi responsabilità che il Papa le dà, volendola a Roma, muore il 29 aprile 1380, portando sulla sua carne le misteriose stimmate del Crocifisso: «Ho consumata e data la vita nella Chiesa e per la Chiesa».

tratto da: Antonio SOCCI, Cristiani. L’avventura umana di 14 santi, suppl. a 30 Giorni, anno IX, dicembre 1991, p. 20s.

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