Intervista alla scrittrice Erika Maderna
Bruno Bettelheim nel saggio “Il mondo incantato” così esprime l’importanza di Fiaba e Mito «…i miti e le fiabe ci parlano nel linguaggio di simboli che rappresentano un contenuto inconscio. Essi fanno appello contemporaneamente alla nostra mente conscia e inconscia… Nei contenuti delle fiabe vengono espressi in forma simbolica fenomeni psicologici interiori».
Abbiamo intervistato la scrittrice e saggista Erika Maderna che ci guida alla riscoperta degli Archetipi e dei Simbolismi che da sempre le Fiabe e il Mito utilizzano per la crescita interiore di adulti e bambini. Esperta di Mito e Magia, Simbolismi e Archetipi, Autrice per ‘Aboca Edizioni’ di importanti libri su Piante e Aromi, Profumi e mitologie botaniche, ha pubblicato “Aromi sacri Fragranze profane: simboli, mitologie e passioni profumatorie nel mondo antico” (2009); “Medichesse: la vocazione femminile alla cura” (2012); “Le mani degli dèi: mitologie e simboli delle piante officinali nel mito greco” (2016); “Per virtù d’erbe e d’incanti: la medicina delle streghe” (2018), libri che sono stati fondamentali per la mia ricerca sulle Fiabe e per la riscoperta del Patrimonio vegetale di cui la Natura ci ha dotato, sul quale Erika incessantemente si documenta.
Un tempo l’emancipazione delle Donne si otteneva – paradossalmente – attraverso la vita claustrale; come si può difendere la donna di oggi evoluta e libera? Con il viaggio?
Il viaggio è sempre un’avventura dello spirito. La dimensione “claustrale” nel passato ha rappresentato paradossalmente per le donne una grande opportunità di apertura, e non solo in ambito religioso. Molto spesso i saperi femminili si sono sviluppati all’interno di spazi sociali circoscritti, e tante donne sono riuscite a sperimentare eccezionali avventure culturali e spirituali nonostante le briglie di una società che imponeva loro importanti restrizioni, a dimostrazione che l’ingegno femminile sa come trovare le sue vie. Oggi finalmente le donne conoscono la libertà di aprirsi al mondo. Anche loro possono sperimentare il “viaggio dell’eroe”, con le sue avventure e i suoi pericoli: esploreranno le loro isole e affronteranno nuove tempeste. Ma in fondo, ogni volta che partiamo, è sempre noi stesse che mettiamo nella valigia…
Il Mediterraneo che parla ai personaggi di una Fiaba, quale richiamo ancestrale suscita?
Il Mediterraneo a me evoca il fortissimo richiamo di tanti temi presenti nell’Odissea, nella saga degli Argonauti, in molti dei miei amatissimi miti greci. In fondo l’Odissea non è che un assiduo dialogo fra l’Uomo e il Mare, un mare antagonista ma iniziatore, al quale chiedere la rotta, al quale affidare la destinazione, dal quale essere inghiottiti per scendere nelle profondità e poi risalire in superficie. Viaggiare per mare significa percorrere l’infinito mistero, avere il coraggio di perdere ogni riferimento, abbandonandosi all’acqua. Significa anche aprirsi a incontri straordinari: creature marine, sirene, donne di magia foriere di messaggi. Nel mito e nella fiaba, il viaggio reale e quello psichico coincidono: l’uno spiega l’altro e ne determina il senso. La discesa tra i flutti è un’immersione nel fluido materiale emozionale: nel mare si può trovare la morte o rinascere a nuova vita.
Cosa rappresenta il “furto della voce” nell’Inconscio Collettivo? Il furto della voce è un tema che già il mito greco proponeva nella vicenda di Eco e Narciso e che nella fiaba moderna ritorna nella celebre storia della Sirenetta. È un tema che nell’immaginario sembra essere fortemente
connesso al femminile, e ciò non deve stupirci, considerando quanto storicamente le donne siano state private di una voce collettiva, e come tradizionalmente abbiano subito un’educazione al silenzio e alla remissività. A livello archetipico la donna perde la voce, oppure la trasforma in eco della parola maschile, nell’incontro impossibile o malato con un uomo narciso, come spiega perfettamente il mito. Senza una voce propria l’identità è svilita fino ad annichilirsi e chi ne è privato diventa invisibile all’altro, puro riverbero: pura eco, appunto. Nella fiaba della Sirenetta, la protagonista perde la sua voce melodiosa quando decide di salire in superficie, di abbandonare le profondità (di sé), di affidare la propria felicità a un uomo che non ha occhi per vederla: la rinuncia alla voce ha compromesso le condizioni per una relazione possibile.
Gli Sciamani si servono della Bacchetta di Sambuco. Quale potere ha questo straordinario legno?
In molte culture il sambuco è stato ed è considerato una pianta magica e sacra. Secondo la tradizione germanica, le sue fronde erano abitate da una fata, Holda, e se da un suo ramo fosse stato ricavato un flauto, il suo suono sarebbe stato in grado di proteggere dai sortilegi. Questo patrimonio più antico è in seguito confluito anche nella tradizione fiabesca: il ramoscello di sambuco compare, per esempio, nella fiaba di Cenerentola, che proprio presso una pianta di sambuco riceve la visita della sua fata madrina. Anche il folclore popolare considerava questa pianta una sorta di panacea: in alcune regioni veniva denominato “farmacia degli dèi” e utilizzato nella preparazione dei medicamenti casalinghi e come ingrediente per bevande, pani e altre ricette gastronomiche.
Nelle Fiabe Sarde c’è sempre il Diavolo come antagonista a cui il protagonista può capitolare: la psichiatra Erica Poli parla di “Diavolo Necessario”. Perché?
Sono d’accordo sull’assoluta necessità della presenza del nemico: senza un antagonista non esisterebbe nessuna fiaba! È proprio l’antagonista a muovere lo sviluppo dell’azione dell’eroe e dell’eroina, a risvegliare in lui o in lei la consapevolezza dei propri talenti, delle proprie capacità o doti d’intuito e di coraggio. L’identificazione con il Diavolo rappresenta semplicemente il punto d’arrivo di un processo di “demonizzazione”, appunto, operato già nei primi secoli dell’era cristiana rispetto agli avversari archetipici dell’immaginario pagano. Ed è questo, infatti, il significato letterale del termine “diavolo”: antagonista. Ancora una volta si tratta di un simbolo che si trasforma, rimanendo portatore dei significati arcaici anche se rivestito di nuovi abiti culturali.
Chi è il “Gigante” della Fiaba, un mostro oppure un essere che si è talmente elevato da essere diventato mostruoso?
Il Gigante è portatore di un’energia tellurica ed è spesso collegato alle più antiche saghe cosmogoniche. Nelle epopee mitiche, infatti, spesso i giganti sono i promotori di guerre contro gli déi, che li combattono per scalzare una visione del mondo primitiva e affermare nuovi modelli culturali. Il gigante non sempre è antagonista dell’uomo, anzi: spesso può farsi aiutante prezioso, alleato, riavvicinandolo alle forze primordiali dimenticate, che ancora agiscono nella psiche nonostante i tentativi del logos di comprimerle in profondità.
Quanto è importante l’arma della risata per i nostri tempi, cosa rappresenta il “morire dal ridere” nella Fiaba?
Solo una risata può seppellire l’Ego serioso e autoreferenziale che ci chiude, mattone dopo mattone, nella torre di noi stessi. Il riso, paradossalmente, può desacralizzare e allo stesso tempo rendere sacra la realtà. Ci aiuta a guardare il mondo decostruendo le strutture del senso, ribaltando lo sguardo e aprendolo al paradosso.
Quando scriverai la tua prima Fiaba?
Ahhh, ma io scrivo continuamente fiabe! Le rimescolo con pazienza in un grande calderone magico, da dove emergono i profumi delle storie di tutti i tempi, delle mille narrazioni ascoltate e lette.
A quale libro stai lavorando?
Sto proseguendo la mia ricerca sulla storia delle donne curatrici. Un’avventura divulgativa cominciata anni fa con “Medichesse”, che nel tempo si è arricchita di spunti e di nuove idee, in qualche caso anche di digressioni nel mito e nella dimensione dell’immaginario. Dopo “Per virtù d’erbe e d’incanti”, il mio ultimo approfondimento dedicato alla medicina sacra e magica delle “streghe” (doverose le virgolette), ora voglio esplorare una dimensione parallela e complementare, ovvero quella della santa. Una sorta di alter ego della strega, in un certo senso, che ha avuto l’opportunità di esprimersi in una dimensione istituzionalizzata, riconosciuta, recuperando a suo modo l’antica eredità dei sacerdozi femminili pagani. Inaspettatamente, nella contrapposizione culturale tra queste due figure in apparenza così diverse, si rivelano sorprendenti e inaspettate analogie, che lasciano emergere il senso di una fortissima radice sapienziale comune. La storia delle donne ha ancora moltissimo da raccontare.
Ed Erika, infatti, dopo aver dedicato tanti anni allo studio della Grande Dea, del femminino, dei talenti femminili nel campo della guarigione, dopo essersi immersa nel mondo dei Profumi Antichi e averne scoperto i segreti, di libro in libro, sospinta dal potere delle erbe, dalle qualità officinali di alcune piante, dai simbolismi associati al mondo vegetale, ancora continua a studiare, a sviscerare i percorsi psichici proposti dalle fiabe, ad approfondire i cammini sacri e profani che hanno effettuato alcune donne. Dopo aver guardato con compassione il destino di quelle figure denominate con termine dispregiativo “streghe”, ancora incuriosita dai misteri nascosti nella donna selvaggia che giace inascoltata dentro di noi, si appresta ad approfondire le esistenze delle sante, con la stessa passione, rispetto e amore dedicato alle streghe, perché ha compreso che il diavolo è semplicemente un antagonista necessario e che tra una ‘strega’ e una ‘santa’ chi vince davvero è sempre la Donna.
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