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Archimede e l’assedio di Siracusa

Nel 218 a.C. era iniziata la seconda guerra punica. Annibale aveva condotto i suoi elefanti oltre le Alpi, e dopo aver sconfitto un esercito romano dopo l’altro aveva inflitto a Roma il tremendo disastro di Canne (216). La situazione critica in cui si trovavano i Romani offrì spazio a quanti sopportavano la loro egemonia, in particolare a Siracusa. Nel 215 moriva Gerone, vecchissimo, lasciando il trono al suo quindicenne nipote Geronimo (Gelone, padre di Geronimo e associato al regno da Gerone, era morto nel 216). Mal consigliato dallo zio, del partito pro-cartaginese, abbandonò l’alleanza con Roma. Fu, per lui e per Siracusa, un disastro. Geronimo e i suoi parenti vennero assassinati dal partito pro-romano nel 214; a Siracusa scoppiò una guerra civile che si concluse rapidamente con la vittoria dei filo-cartaginesi. Ma Roma non poteva stare a guardare: nel 213 il generale romano Marco Claudio Marcello cingeva d’assedio Siracusa. Una flotta di 60 quinquiremi si dispose ad assaltare la città dal mare, mentre un esercito l’attaccava dalla terraferma. Il ruolo di Archimede in questo assedio è un fatto storico che esce dalla vaghezza delle leggende e degli aneddoti. È narrato da Polibio (200-118 a.C.), che poté accedere a fonti dirette, da Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.) e da Plutarco. Archimede aveva assunto la direzione delle operazioni di difesa. Siracusa era ben protetta dalle sue mura a mare, mentre dalla parte di terra era difesa dalla natura del sito, assai scosceso e difficile da scalare tranne che in alcuni punti: Archimede aveva provveduto a munirli opportunamente e i Romani che tentarono l’assalto da quella parte ne uscirono malconci. Marcello aveva il comando delle operazioni marittime: ma non appena le sue navi si avvicinavano, venivano colpite da catapulte di varie dimensioni e di varia portata di tiro. Come se non bastasse, Archimede aveva fatto costruire gru girevoli che lasciavano cadere enormi massi sulle navi che si avvicinavano e la famosa manus ferrea, una sorta di artiglio di ferro che afferrava le navi per la prua facendole poi ricadere in acqua. I soldati romani erano terrorizzati, scappavano non appena vedevano un asse di legno far capolino da dietro le mura. Marcello, riferisce Polibio, riusciva a mantenere abbastanza humour da commentare: «Questo Archimede usa le mie navi per attingere acqua per le sue coppe da vino, ma caccia via le mie sumbuche [una scala protetta da parapetti che serviva per dare la scalata alle mura] dal suo banchettol». Le cose non andavano meglio nell’assedio da terra, al punto che i Romani decisero di interrompere gli assalti e di cercare di prendere Siracusa per fame. Naturalmente in questi casi la storia si fonde sempre con la leggenda, e così è avvenuto anche per l’assedio di Siracusa. Alcuni secoli dopo Polibio e Livio, fanno la loro comparsa nella letteratura anche gli specchi ustori con cui Archimede avrebbe bruciato le navi romane. Si sa che non poteva trattarsi di specchi parabolici, perché la parabola concentra i raggi troppo vicino: ma ciò non impedì lo sviluppo di un’impressionante letteratura in materia, che a partire dalla tarda antichità attraversò il mondo arabo e il Medioevo latino per arrivare almeno fino al Seicento. Merito di questo mito fu di far sviluppare la ricerca sulle proprietà ottiche delle sezioni coniche e, naturalmente, di aggiungere un altro tocco pittoresco alla figura di Archimede. Ancora nel Settecento, Buffon sperimentava un sistema di specchi piani per bruciare oggetti a distanze ragionevoli.

Letture consigliate

Il riferimento standard per l’opera di Archimede rimane tutt’oggi l’Archimede di Eduard J. Dijksterhuis. La sua prima edizione risale al 1938, è tuttavia disponibile un’edizione aggiornata da un saggio bibliografico di Wilbur R. Knorr, recentemente tradotta in italiano da G. Baroncelli, M. Bucciantini e M. Porta: E.J. Dijksterhuis, Archimede. Con un saggio bibliografica di Wilbur R. Knorr, Ponte alle Grazie, Firenze, 1989. Oltre che a ulteriori notizie sulle fonti riguardanti la vita e le opere di Archimede, il lettore vi potrà trovare un’esposizione dettagliata dell’intera opera archimedea. La bibliografia di Knorr, aggiornata al 1989, fornisce una panoramica esauriente degli studi archimedei e a essa possiamo rinviare il lettore curioso di approfondimenti critici. Su Internet si trovano varie fonti relative ad Archimede. Segnaliamo, innanzitutto, il bel sito della Drexel University di Philadelphia, curato da Chris Rorres (https://www.mcs.drexel.edu/~crorres/Archimedes/contents.html), ricchissimo di materiale iconografico; in esso troverete anche le fonti classiche (in originale e in traduzione inglese) su Archimede. Altro sito interessante è quello della School of Mathematics and Statistics della University of St. Andrews (http:www.history.mcs.stand.ac.uk/), in Scozia, più compatto del precedente. Non ci si può tuttavia accostare seriamente ad Archimede (e, se è per questo, a nessun altro classico) senza leggerne direttamente l’opera. Il riferimento fondamentale sono i tre volumi dell’edizione critica di Heiberg, con testo greco e traduzione latina a fronte: Archimedis opera omnia cum commentariis Eutocii, iterum edidit J. L. Heiberg, Teubner, Lipsia, 1910-1915 (ristampato a Stoccarda, 1972). Nel lll volume, il lettore può trovare abbondanti informazioni riguardanti la tradizione e la critica del testo. L’opera di Heiberg è accessibile solo a chi conosca il greco o il latino; ne esistono però due traduzioni francesi integrali: una di Charles Mugler (Les oeuvres d’Archimède, 4 voll. con testo greco a fronte) e una di Paul Ver Eecke (Les oeuvres completes d’Archiméde suivies des commentaires d’Eutocius d’Ascalon, Vaillant-Carmanne, Liegi, 1960, 2 voll.), dotata di un ricco apparato di note matematiche; quest’ultima, inoltre, evita accuratamente di imporre interpretazioni al lettore. Questo merito del lavoro di Ver Eecke non è purtroppo condiviso dall’unica traduzione italiana esistente, quella di Attilio Frajese (Archimede, UTET, Torino, 1974). Consiglio di utilizzarla con molta cautela, anche perché Frajese traduce sistematicamente il linguaggio della geometria greca in notazioni moderne e, a volte, piuttosto che tradurre, preferisce riassumere o parafrasare. Nel corso della trattazione abbiamo fatto riferimento ad alcuni importanti articoli; eccone i dati bibliografici completi: Berggren, J. L., Spurious Theorems in Archimedes Equilibria of Planes, Book 1. «Archive of History of Exact Sciences», 16 (1976-1977), pp. 87-103. Knorr, W. B., Archimedes and the Pre-Euclidean Proportion Theory, «Archive of History of Exact Sciences», 18 (1978), pp. 183-244. Knorr, W. B., Archimedes and the Elements: Proposal fora Revised Chronological Ordering of the Archimedean Corpus, «Archive of History of Exact Sciences», 19 (1978), pp. 21 1-290. Netz R., Saito K., Tchernetska N., A New Reading of Method Proposition 14: Preliminary Evidence from the Archimedes Palimpsest, «Sciamvs» 2 (2001 ), pp. 9521. 
Per quanto riguarda il concetto di «oggetto matematico» (che è sotteso a gran parte della nostra discussione) consiglio caldamente la lettura del libro di Enrico Giusti Ipotesi sulla natura degli oggetti matematici (Bollati Boringhieri, Torino, 1999). Un’opera piena di idee e spunti innovativi sulla natura della matematica greca è The Shaping of Deduction in Greek Mathematics di Reviel Netz, Cambridge University Press, Cambridge, 1999. Per una panoramica sulla scienza ellenistica si può leggere Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli, Milano, 2001. Russo discute anche dell’importanza della scienza antica per
la nascita della scienza moderna, ma mi sembra che in vari punti l’autore si sia lasciato trascinare dall’entusiasmo. Per uno sguardo complessivo sulla matematica greca, il classico da leggere è A History ofGreek Mathematics, di Thomas Heath (Dover, New York, 1981; ristampa dell’edizione della Clarendon Press, oxford, 1921). Sempre utile è Le scienze esatte nell’antica Grecia di Gino Loria (Cisalpino-Goliardica, Milano, 1987; ristampa anastatica dell’edizione dei «Manuali Hoepli» del 1914). Sulla storia del codice C si potrà consultare il sito della Walters Art Gallery (htto://www.thewalters.org/archimedes/frame.html); utile e interessante è anche il libretto pubblicato da Christie’s in occasione dell’asta: The Archimedes 
Palimpsest, Christie’s Inc., 1994. Il riferimento d’obbligo per la storia del testo archimedeo nel Medioevo e nel Rinascimento è la magnifica opera di Marshall Clagett Archimedes in the Middle Ages, vol. 1, University of Wisconsin Press, Madison (Wisconsin), 1964; voll. 2-5, American Philosophical Society, Philadelphia, 1978-1984. L’Archìmedes di Clagett è un’opera immensa: ma vale la pena di darle almeno un’occhiata e di leggere l’introduzioneal primo volume sulla tradizione arabo-latina e il sommario retrospettivo che si trova alla fine del volume terzo. Sarete sicuramente invogliati a volerne sapere di più… 
A proposito di Moerbeke e degli ambienti scientifici della corte di Viterbo, non si può mancare l’affresco che ne ha fatto Agostino Paravicini-Bagliani in Medicina e scienze della natura alla corte dei Papi nel Duecento (Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 1991). Sulla matematica durante il Rinascimento è da leggere il libro di Paul Lawrence Rose, The Italian Renaissance of Mathematics (Droz, 1976). Sul ritorno di Archimede nel contesto dell’Umanesimo sono molto stimolanti le lezioni di Eugenio Garin in Il ritorno dei Classici antichi (Bibliopolis, Napoli, 1984). Sulla matematica del Cinquecento e le tradizioni classiche e medievali troverete spunti interessanti in Luca Pacioli e la matematica del Rinascimento (Fondazione Piero della Francesca-Peruzzi Editore, Sansepolcro, 1999). in questo volume, a cura di Enrico Giusti, sono raccolte le relazioni del convegno per il 500° anniversario della Summa di Luca Pacioli. Le opere di Tartaglia sono state recentemente pubblicate su CD-Rom a cura di Luigi Pizzamiglio (Niccolò Tartaglia. Tutte le opere, edizioni originali, Biblioteca di storia della scienze «Carlo Viganò», Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia, 2000). A proposito di Commandino e della scuola di Urbino si può leggere (oltre ai capitoli 9, 10 e 1 1 di Rose) il libro di Enrico Gamba e Vico Montebelli Le scienze a Urbino nel tardo Rinascimento (Quattro Venti, Urbino, 1988). Su Maurolico e la sua immensa produzione scientifica sono fondamentali gli studi di Rosario Moscheo. Ci limitiamo a citarne uno solo («L’Archimede del Maurolico: Genesi, sviluppi ed esiti di una complessa vicenda editoriale in età barocca» in Archimede: Mito, Tradizione, Scienza, a cura di Corrado Dollo, Olschki, Firenze, 1992, pp. 111-164), in quanto ci dà modo di segnalare un altro importante volume di studi archimedei. Per una bibliografia completa sull’argomento si potrà consultare il sito https://www.maurolico.unipi.it, dedicato all’edizione critica dell’opera matematica di Maurolico. Infine, sui rapporti fra Galileo e Archimede oltre a consigliare la lettura degli articoli di Jens Hoyrup («Archimedism, not Platonism») e di Corrado Dollo («L’egemonia dell’archimedismo in Galilei»), contenuti nel citato Archimede: Mito, Tradizione, Scienza rinvio al volume curato da Pierre Souffrin e da me, Medieval and Classical Traditions and the Renaissance of Physica-Mathematical Sciences in the 16th Century (Brepols, Liegi, 2001), che è largamente dedicato a questo tema.



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