L’ultimo quadro di Bruegel, “La parabola dei ciechi”[1] ha anche un sottotitolo: “così va’ il mondo”, come dire che il mondo va avanti con ciechi che guidano altri ciechi, il primo finisce nella fossa e gli altri lo seguono. In altri termini, uscendo fuor di metafora, quel che oggi è un dato sperimentale sulla psicologia delle masse era già evidente anche ieri dalla giornaliera osservazione.
I capi branco sono ciechi, guide di ciechi, ma, in realtà, per l’istinto animale è importante seguire qualcuno e qualcosa senza domandarsi perché, senza verifiche. Per gli uomini però questo fatto non dovrebbe essere la normalità cioè fare quel che fanno gli altri anche se ciò può equivalere a follia. Tuttavia, ben pochi si sottraggono al cieco destino, alla storia.
Ma andiamo per ordine, come noto, Pieter Bruegel[2] è stato un pittore fiammingo[3]. Il tema fondamentale dell’opera di Bruegel è sicuramente la meditazione sull’umanità, soprattutto popolazione rurale, ritratta in episodi quotidiani. Si tratta di una cronaca dalla precisione lenticolare e priva di qualsiasi idealizzazione. Portato in primo piano e spesso ritratto nei suoi istinti più bassi, l’uomo di Bruegel è una creatura goffa e viziosa, calata in un universo per niente idilliaco in cui neanche la fede (siamo nel XVI secolo[4]) offre un sicuro riparo, ma anzi è spesso derisa o ridotta a semplice superstizione.
E Bruegel usa il grottesco e la caricatura in maniera non fine a se stessa, ma come simbolo di peccati e debolezze umane, spesso infarciti di una garbata ironia. Nella vecchiaia, però, la sua arte fu influenzata da quella di Bosch[5] per l’impeto fantastico e la capacità di penetrazione all’interno del magma delle passioni umane, ma se ne distaccò per il lato realistico e l’aderenza “corporale” ai fatti concreti.
A differenza degli italiani del Rinascimento, l’uomo per Bruegel non gode della fiducia datagli dalla filosofia e dalla protezione divina, ma è sopraffatto dalla Natura e rimpicciolito nella sua impotenza e nell’indifferenza generale. Per questo i suoi soggetti non hanno niente di ideale, ma sono piuttosto scrutati nella loro forma reale, per certi versi iper-reale. Così ispirato dalle opere di Bosch, Peter Bruegel (1525-1569)[6] continuo’ ad esplorare le potenzialità espressive della rinnovata pittura fantastica, reinterpretando appunto in chiave grottesca i principali concetti religiosi e morali del suo tempo.
L’ultimo sua opera, citata in premessa, risale al 1568 ed è uno dei suoi più celebri quadri. L’autore traduce in immagini la Parabola dei ciechi: “Può forse un cieco fare da guida ad un altro cieco? Non cadranno tutti e due in una buca?”[7]. In questi pochi versi vi è il senso di tutta la modernità: seguire la corrente, la moda, cioè senza appigli, senza guide né punti di riferimento, le persone vengono “costrette” a proseguire “alla cieca”. E’ facile, allora, con questa mancanza di valori-guida, incappare inevitabilmente in strade senza uscita. Pertanto, nessun cieco può essere guida né seguace di un altro cieco perché entrambi rischiano di “cadere nel fosso”.
In sintesi con la sua opera Bruegel afferma come perseguire, ad oltranza, l’ideale della bellezza e dell’armonia può compromettere il senso del reale, perché non si guarda più le cose come sono ma si ammira solo l’immagine a cui si aspirano. Ecco perché Bruegel rifiuta il manierismo e con esso il narcisismo delle corti nonché il culto dell’immagine e delle mode, e con coraggio “si sporca le mani” nella carne del tessuto sociale e di se stesso, unico modo per sentirsi e sentire davvero.
[1] La Parabola dei ciechi è un dipinto a tempera su tela (86×154 cm) di Pieter Bruegel il Vecchio, databile al 1568 circa e conservato nel Museo di Capodimonte di Napoli. È firmato in basso a sinistra “BRVEGEL.M.D.LX.VIII.”
[2] [Breda(?), 1525/1530 circa – Bruxelles, 1569]
[3] Detto il Vecchio per distinguerlo dal figlio primogenito, Peter Bruegel il Giovane.
[4] Il 31 ottobre del 1517 Martin Lutero appese le sue 95 tesi al portone della cattedrale di Wittenberg.
[5] Pittore fiammingo, uno dei più originali artisti dei Paesi Bassi, conosciuto per le sue opere enigmatiche e inquietanti che rappresentano elaborati soggetti di ispirazione religiosa attraverso una ricchissima trasfigurazione fantastica.
[6] I suoi quadri più famosi sono intitolati “Grosso Pesce Piccolo Pesce”, “La Caduta degli angeli ribelli”, “Torre di Babele”, “La Processione al Calvario”, “Trionfo della Morte”.
[7] Vangelo di Luca cap.6, v. 39.
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