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Raffaello e San Pietro

Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 – Roma, 1520) è stato un pittore e architetto italiano, tra i più celebri del Rinascimento italiano. Possiamo pensare alla vita professionale di Raffaello inquadrata in 2 grandi periodi: il periodo fiorentino (1504-1508) ed il periodo romano (1509-1520). In quest’ultimo periodo Raffaello lavora in Vaticano avendo per commitment, prima Papa Giulio II e poi Leone X.

Ed è qui che realizza la Stanza della segnatura e La Stanza di Eliodoro, in quest’ultima si trova l’opera “Liberazione di San Pietro”. Nel dare un resoconto di questa straordinaria rappresentazione raccontata negli Atti degli Apostoli (capitolo 12) ci sembra opportuno riportare il commento tratto dalla “Istoria della vita e delle opere di Raffaello Sanzio de Urbino” del Signor Quatremere de Quincy (voltata in italiano, corretta, illustrata ed ampliata per cura di Francesco Longhena in Milano per Francesco Sonzogno – Tipografo- Calcografo, Stradone a S. Ambrogio, num. 2735 MDCCCXXIX):

“Giulio II morì il 13 febbraio del 1513, e gli succedette l’11 marzo il cardinale Giovanni De Medici sotto il nome di Leone X: e noi presagiamo che Raffaello non ebbe a perdere nulla per tale cambiamento; ma anzi, se cangiò l’Urbinate, si fu in un accrescimento di favore, di confidenza e di lavori. Quelli delle sale del Vaticano pare che non abbiano dovuto provare che un leggero sospendimento, prodotto dal breve interregno che v’ebbe luogo. Sicuramente anche la scelta del nuovo Pontefice dovette apportare qualche mutazione nei soggetti delle due pitture che dovevano compiere l’ornamento della sala. Li due soggetti onde rimane a parlare ancora, saranno stati terminati forse nell’anno seguente, siccome appare dall’inscrizione sulla finestra che s’apre sotto il carcere di San Pietro: LEO X PONT. MAX. ANN. CHR. MDXIV. La pittura della Scarcerazione di S. Pietro avrà preceduto, secondo tutte le apparenze, quella d’Attila, tale anteriorità sembraci debba risultare dalla natura medesima delle circostanze, cui, nel sistema metaforico …, egli è certo che il soggetto allude. Raffello non poteva nulla immaginare di più lusinghiero, e nello stesso tempo di più onorevole pel nuovo successore di San Pietro, che di richiamare quel tratto della sua vita ch’aveva avuto conformemente al Principe degli Apostoli. Leone X difendendo in qualità di cardinale legato gli interessi della Santa Sede sotto Giulio II, era stato fatto prigione dopo la battaglia di Ravenna nel 1512, e la sua liberazione, che Egidio da Viterbo considera miracolosa, successe precisamente nello stesso giorno dell’anno prima della sua esaltazione al Pontificato: ed eccone il motivo che inspirò la scelta del soggetto di San Pietro, uscito miracolosamente dalla sua carcere. Questa pittura eseguita di fronte a quella della Messa di Bolsena, e, siccome questa, superiormente ad una finestra, ebbe certamente per somiglianza del suo collocamento, la medesima disposizione piramidale col mezzo di scalini finti da una parte e dall’altra, a fine di rappresentare le differenti scene divise dal vano della finestra.

Nelle Messa di Bolsena hassi ammirato il modo singolare, onde li differenti gruppi de’personaggi, malgrado la divisione delle loro località, concorrono a produrre l’unità del soggetto, secondo la maniera che ciascuna vi prende parte: la pittura della Scarcerazione di San Pietro presenta al contrario il soggetto come divisi in tre quadri. Egli è certo ch’offre non le parti distinte d’una sola azione, ma un’azione divisa in più tempi successivi. La scena di mezzo fa vedere, attraverso d’una ferrata, San Pietro addormentato e visitato nel suo carcere dall’Angelo che va a spezzare le sue catene: il secondo momento è quello dell’uscita dal carcere; nel quale l’apostolo è preceduto dall’Angelo risplendente, che gli serve e di guida e di fiaccola in mezzo alle guardie immerse nel sonno. Dal lato opposto veggonsi altri gruppi di soldati; uno de’ quali al lume d’una torcia veglia sopra li suoi compagni, e dà l’allarme. Alcuni critici hanno rimproverato a Raffaello una certa trasgressione dei limiti della pittura; trasgressione che fu tanto comune nei poligrafi delle prime età dell’arte, appo tutti i popoli: non si pretenderà qui di giustificarla: ma dirassi solamente, che tale errore non fu al certo da parte di Raffaello un effetto d’ignoranza; poiché nessuno non è mai stato di lui più fedele alle regole dell’unità. Se non si ammettesse essere questa una ricordanza dello stesso soggetto trattato da Masaccio, diremmo che sarà stato indotto a prendere tale partito dalla divisione in tre campi della superficie, che doveva essere riempita dalla sua composizione. Per altro deesi riguardare questo quadro come una novità nella pittura di quell’epoca, e come una prova dell’ambizione ch’ebbe Raffaello d’abbracciare l’universalità di tutte le parti della sua arte. Nissuno certamente prima di lui aveva pensato a considerare la pittura dal lato degli effetti, o dei contrasti d’ombre e di lumi. Raffaello trattando in questo quadro una scena notturna, seppe trovare nelle divisioni degli spazi, onde abbiamo parlato, da produrre l’illusione di tre specie di lumi; quello dell’Angelo splendiente, quello della luna, e quello d’una face. Si sa che la magia di simili effetti nei quadri è ciò che resiste meno alle ingiurie del tempo, il quale certamente ha indebolito il valore delle tinte e dei colori di quest’opera: ma deve pure alla posizione che occupa contro il chiaro qualche cosa che ne favorisce l’illusione; e per poco che l’immaginazione si presti a dargli una parte di ciò che ha perduto, si converrà che, ad eccezione di alcuni artefici, li quali si diedero determinatamente ad un genere speciale nelle illusioni e negli effetti del lume, pochi pittori storici disputano ancora al presente il primato sopra l’Urbinate: e ‘l quadro di Attila onde siamo per parlare ci porge l’occasione di manifestare altri generi di superiorità in sua lode…”.

Quindi, come spiega molto bene il critico Quatremere de Quincy, Raffaello, quando venne a Roma già possedeva arte e conoscenza innovative che integravano esigenze prospettiche ed architettoniche contestualizzate ad eventi storici non solo della storia antica ma a fatti di cronaca.

Infatti nel 1511, mentre i lavori alla Stanza della Segnatura andavano esaurendosi, il papa tornava da una disastrosa guerra contro i francesi, che gli era costata la perdita di Bologna e la tanto temuta presenza di eserciti stranieri in Italia, nonché un forte spreco di risorse finanziarie. Il programma decorativo della successiva stanza, destinata a sala delle Udienze e, poi detta di Eliodoro dal nome di uno degli affreschi, tenne conto della particolare situazione politica: venne deciso infatti di realizzare scene legate al superamento delle difficoltà della Chiesa grazie all’intervento divino.

Mentre nella Messa di Bolsena tornano ritmi pacati, anche se la profondità dell’architettura e gli effetti luminosi creano un’innovativa drammaticità; il colore si arricchì di campiture dense e più corpose, forse derivate dall’esempio dei pittori veneti attivi alla corte papale, nella Liberazione di san Pietro “si raggiunge il culmine degli studi sulla luce, con una scena in notturna ravvivata dai bagliori lunari e dell’apparizione angelica che libera il primo pontefice dalla prigione”. All’inizio del 1513 Giulio II morì, e il suo successore, Leone X, confermò tutti gli incarichi a Raffaello, affidandogliene presto anche di nuovi, tanto era ormai cresciuta la stima nei suoi confronti.



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