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26th
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Outdoor Setting – Intervista su “I rapporti tra i vissuti religiosi e la psicoterapia multisetting”

Intervista di Roberto Domanico, Giornalista, Ingegnere, Dottore in Scienze Psicologiche e Counsellor in formazione al Prof. Silvestro Paluzzi, Docente stabile della Pontificia Università Urbaniana, Psicoterapeuta e, insieme alla moglie Dott.ssa Antonella Tropea, Psicoterapeuta, Analista Transazionale CTA, Art Counsellor, Co-Direttori della Scuola di Formazione, Ricerca e Counselling Psicologico Outdoor Setting© di Roma, sulle tematiche riguardanti il rapporto tra i vissuti religiosi e lapsicoterapia multisetting.

R. Domanico: Prof. Paluzzi, qual è la relazione tra l’approccio multisetting© da voi fondato e la sua applicazione nel trattamento psicoterapeutico dei vostri pazienti soprattutto con particolare riferimento al loro vissuto religioso?

Silvestro Paluzzi: Come psicoterapeuti non siamo legittimati ad indagare le verità teologiche della fede e dell’esistenza o meno di Dio. Mentre, invece, come psicoterapeuti possiamo occuparci della componente psicologica dei vissuti religiosi dei nostri pazienti, in particolare, della religiosità nevrotica dei nostri pazienti perché le loro immagini distorte di Dio, le proiezioni che hanno di Dio, il legame che stabiliscono con Dio, lo stile di attaccamento (J.E. Bowlby) che traslano inconsapevolmente dalle relazioni primarie su Dio, producono un effetto disordinato sulla loro psiche e anche viceversa, ossia il disordine psicologico, i disturbi clinici e i Disturbi di Personalità, influenzano le immagini che hanno di Dio. Di conseguenza, vengono influenzate sia la fede che il loro comportamento e le loro decisioni che prendono nella vita e nella realtà quotidiana. I vissuti della religiosità nevrotica, legati ai tratti di personalità, ai disturbi clinici e ai Disturbi di Personalità, devono poter essere riconosciuti, accettati e integrati, per un funzionamento equilibrato di tutto il sistema del paziente.

R. Domanico: Dott.ssa Tropea, una religiosità nevrotica quale influenza potrebbe sviluppare nel rapporto tra la Sacra Scrittura,il proprio  disagio psicologico e la conseguente interpretazione della fede?

Antonella Tropea: Il cammino di fede del paziente attinge sempre dalla propria psiche sottoforma di pensieri, emozioni, comportamenti e vissuti, ma gli strumenti che esso offre, mediante la Parola di Dio, la preghiera, i sacramenti e la comunità cristiana, conducono a quell’ “oltre” della realtà della propria psiche, che non ci è dato di penetrare solo psicologicamente perché rimarrebbe comunque una spiegazione tautologica, autoreferenziale e immanente. Ora, nel nostro lavoro di psicoterapeuti, cosa succede con i pazienti che presentano un vissuto religioso nevrotico? Per esempio, essi attribuiscono ai simboli biblici (termini biblici, personaggi, storie) delle interpretazioni personalizzate che mutuano dai propri bisogni e dall’esperienza emotiva, affettiva, cognitiva, comunicativa e relazionale dei termini, dei personaggi e della storia socio-familiare propria. Si tratta del processo di antropomorfizzazione psicologica delle realtà divine. Quando un giovane adulto si avvicina ad un cammino di fede, porta con sé questo bagaglio esistenziale sottoforma di interpretazioni personalizzate di Dio, della Chiesa, della religione e della Scrittura. Spesso, i comportamenti, le convinzioni, le credenze, di cui sono portatori i nostri pazienti, si combinano/associano nella loro rete cognitivo semantica con la dimensione affettiva-emotiva-relazionale, proiettando sui simboli religiosi un vissuto composto di ansie, paure, ossessioni, compulsioni, idealizzazioni, demonizzazioni e variazioni umorali. Se il ruolo e il compito di un Direttore spirituale è quello di costituirsi mediatore tra la persona e Dio, per condurlo ad una sana dottrina della fede e nel suo cammino di santità, il ruolo di noi psicoterapeuti dell’approccio multisetting è quello di accogliere la persona e il suo disagio, ma non di ridurre il disagio psicologico alla sola remissione del sintomo. Sebbene nel primo setting (colloqui individuali) e nel secondo setting (terapia nel gruppo) si svolga un trattamento psicoterapeutico principalmente clinico, nel terzo setting (l’outdoor setting residenziale annuale) espandiamo il lavoro psicoterapeutico alla dimensione esistenziale della personalità del paziente dove, mediante la ri-narrazione, si sostiene il paziente a re-interpretare l’accadimento clinico e la re-integrazione di senso del proprio essere e del proprio esistere.

R. Domanico: Professore, quando coinvolgete i gruppi di partecipanti al metodo multisetting© e li portate residenzialmente in outdoor setting sulle Dolomiti per 6 giorni,  rispetto alla religiosità nevrotica, come correggete il loro vissuto religioso?

Silvestro Paluzzi: Ci sono diverse premesse da indicare. Intanto, tutti i nostri pazienti  provengono dall’area cattolica. Essi hanno una piattaforma religiosa che si basa sui valori cristiani. Tuttavia, una cosa è dichiararsi cattolico ed altra cosa è vivere ed esprimere nell’esistenza quotidiana questo amore di Dio ricevuto gratuitamente (dal primo annuncio o kerygma). Le immaturità che ritroviamo nel cammino psicoterapeutico dei nostri pazienti cattolici si combinano con unareligiosità nevrotica o comunque distorta: spesso il fondamento dell’immaturità è in un annuncio religioso ricevuto in modo sbagliato. In accordo con A. Grün, se Dio ci è stato annunciato in modo infantile o in una forma che produce ansia e paura o mediante concetti, formule astratte e rubriche, troviamo certamente un ostacolo cognitivo-emotivo nei nostri pazienti per acquisire una personalità matura (cfr. A. Grün, 2008, p. 35, n.d.r.). Nei nostri partecipanti all’approccio multisetting riscontriamo, durante il lavoro psicoterapeutico, che le esperienze avute nell’infanzia con i genitori vengono proiettate in Dio o nell’antiDio, per compensazione o per simmetria. La religiosità nevrotica e le caratteristiche della religiosità infantile (come il magismo, l’animismo, l’antropocentrismo), da un punto di vista cristiano adulto, restano sterili per questa umanità generazionale che in modi indiretti ha sete di Dio: molti pazienti si preoccupano sempre e solo dei sensazionalismi e degli emozionalismi o di un vissuto intimistico ed individualista, non solo nell’espressione religiosa ma anche nelle condotte di vita. Il loro infantilismo religioso e la loro immaturità psicologica (emotiva, affettiva, relazionale) si manifestano soprattutto nel rifiutare la responsabilità per se stessi e per la loro vita, ed è facile cadere nel dogmatismo, fanatismo, intolleranza, devozionismo e spiritualismo, tutte forme cognitive che se il paziente cresce in consapevolezze su di sé, su Dio e sul mondo, tende a modificare di pari passo con la sua evoluzione.

Secondariamente, portare i nostri pazienti all’outdoor setting residenziale annuale sulle Dolomiti per 6 giorni (terzo setting) è solo l’ultima tappa di un percorso che ha il suo inizio circa un anno prima, al momento dei colloqui iniziali e della valutazione psicodiagnostica. Cui seguono, per la stessa persona presa in carico, sia i colloqui individuali (primo setting) quindicinali che la terapia nel gruppo quindicinale (secondo setting). Non c’è nulla di magico nelle possibilità trasformative dei nostri pazienti. In outdoor setting sulle Dolomiti (terzo setting), la proposta del trattamento psicoterapeutico multisetting, mediante il gruppo, il sostegno, le ri-decisioni e le relative metafore di montagna, permette l’accompagnamento progressivo dei pazienti verso soggettivi orizzonti di senso, in virtù  delle nuove consapevolezze che vanno emergendo durante il periodo stesso dell’accompagnamento e, soprattutto, obiettivi terapeutici verificabili longitudinalmente insieme a loro.

In terza istanza, ora, in accordo con J.-A. Barreda, con riferimento ai giovani adulti, dobbiamo offrire loro una esperienza di vita, “non un’esperienza religiosa in più”; e per fare questo, bisogna andare alla centralità dell’essere cristiano, all’esperienza di vita nuova.  Questo noi cerchiamo di realizzarlo in un setting esistenziale come quello residenziale dell’outdoor setting in montagna. Mi trovo in accordo anche con quanto scrive L. Meddi, ossia, che il nostro tempo esige una pastorale per la conversione, per la maturità di fede e per la formazione della competenza cristiana della vita. Occorre superare la frattura tra l’esperienza religiosa e l’esperienza quotidiana, offrendo  ai giovani adulti una nuova idea di credente e di cristiano coerente con lo stile di vita adulta. Tutto questo, secondo L. Meddi è possibile se ci si forma a sostenere il passaggio dall’annuncio alla conversione. Passaggio che avviene solo dentro la persona, nella sua dinamica intrapsichica, di cui siamo esperti psicoterapeuti. I passaggi intrapsichici interiorizzati sono anche passaggi pedagogici: tali passi permettono alla libertà personale di essere aiutata nel proprio cammino di ri-decisione. Nell’approccio multisetting, constatiamo che questa ri-decisione avviene ad alcune condizioni: 1) conoscersi: la comprensione di sé affinché ciascuno sia libero dalle false rappresentazioni del proprio Io; 2) guarire dalle ferite:spesso la religiosità nevrotica e la decisione di conversione è ostacolata dalle ferite della vita, quelle sociali e quelle personali; 3) ri-scegliere le rappresentazioni religiose: è importante accompagnare il giovane fedele a capire da quale immaginario religioso è guidato; spesso ancora permangono le rappresentazioni infantili; 4) aiutare a sostenere il cambio di vita: siccome la conversione avviene nel tempo e progressivamente, è importante non creare da parte di noi guide dei condizionamenti psicologici o di manipolazione.

Antonella Tropea: Dalle numerose testimonianze raccolte in outdoor setting, si riscontra che la progressiva maturità umana, incrementata dalla psicoterapiamultisetting, ha favorito in molti partecipanti il passaggio da un’adesione di fede superficiale ad un cambiamento profondo: la riconciliazione con Dio, con gli altri, con la storia e con se stessi, l’apertura al prossimo e la scoperta che la realizzazione di sé passa attraverso il dono di sé, diventare libero e liberante.

La comunicazione della fede “occasionata”, come riflessione esistenziale, svolta inoutdoor setting residenziale, può essere l’opportunità inserita e offerta da noi psicoterapeuti ai partecipanti, all’interno di un loro già esistente itinerario di fede che il paziente normalmente segue nella sua città. La comunicazione della fede “occasionata” da parte di noi psicoterapeuti è accompagnata da quel processo che viene chiamato in letteratura psicologica “autosvelamento”. Esso mira a comunicare la fede attraverso la testimonianza e la comunicazione del kerigma integrato con l’esperienza di fede e di vita di noi psicoterapeuti: una riflessione esistenziale occasionata e kerigmatica, una proposta di annuncio per le concrete situazioni di vita dei partecipanti.

R. Domanico: Ma in questo vostro autosvelamento non può esserci il rischio di influenzare i pazienti nell’adesione alla fede?

Silvestro Paluzzi: Vorrei ricordare che la scienza psicologica non è neutrale. Essa dipende dai sistemi valoriali, cognitivi, biografici dello psicoterapeuta, dalla Scuola di pensiero in cui egli si è formato nella specializzazione. Ogni teoria della personalità presuppone un’antropologia, ossia una visione dell’uomo e della cura. Questa è stata la grande lezione del costruttivismo. Ora noi, nel rispetto del sistema valoriale dichiarato dei nostri pazienti, comunque tutti cattolici, conduciamo il trattamento anche secondo il metodo maieutico, aiutando il paziente a cogliere le proprie logiche e le proprie contraddizioni, nel proprio sistema valoriale, tra ciò che dichiara verbalmente, ciò che vive e ciò che desidererebbe vivere, con particolare riferimento alle diverse forme di disagio psicologico. Quando il paziente sceglie di voler essere seguito in psicoterapia da noi, egli sa, o per coloro che li inviano o per loro libera iniziativa, che noi abbiamo un sistema valoriale cattolico. Non è difficile andare sul web e informarsi. D’altronde essere diacono permanente della diocesi di Roma, essere docente in una Pontificia Università, essere Dottore in Missiologia, con specializzazione in teologia missionaria, avere alle spalle un itinerario di fede, non è garanzia di nulla rispetto alla fede, ma qualcosa significherà rispetto al sistema valoriale. Noi con i nostri pazienti non facciamo “catechesi”. Noi psicoterapeuti non siamo e non vogliamo essere delle guide spirituali, semmai dei formatori integrali.  In outdoor setting in montagna stiamo in psicoterapia h24 e possiamo condividere con i partecipanti la nostra esperienza, cercando di essere noi stessi e di testimoniare con il nostro comportamento quotidiano la fede nella quale crediamo ma, soprattutto, essere strumenti dell’accoglienza e della relazione, e farli sentire, come è giusto che sia, accolti e amati. Noi, siamo per loro, psicoterapeuti, secondo i canoni della disciplina scientifica e della deontologia professionale. Li aiutiamo a raggiungere un equilibrio psicologico migliore rispetto alla valutazione iniziale e a sostenerli  nell’operare le scelte e le ri-decisioni che credono più opportune per la propria vita: liberi di volare per i cieli che desiderano esplorare.

Antonella Tropea: In outdoor setting, l’ambientazione naturale della montagna è uno scenario di particolare coinvolgimento emotivo per un momento forte come quello dell’autosvelamento.  Si sono trovate occasioni su una vetta, dopo un passaggio sotto la cascata, sulle sponde del torrente, prima o dopo un guado, di notte su un altopiano sdraiati sotto le stelle, ecc.; qualsiasi occasione nell’outdoor setting residenziale può essere vissuta come un’esperienza di fede condivisa: l’amicizia, il rispetto degli altri, la condivisione, la tolleranza alla diversità; valori evangelici che invece di essere spiegati a parole, i pazienti li vivono piuttosto in prima persona. Se l’autosvelamento in outdoor setting in montagna è parte del processo di psicoterapia fondato sulla realtà, si lascia al paziente la libertà di continuare o meno a maturare o approfondire la propria fede in itinerari sistematici in seno alle diverse espressioni e carismi presenti nella sua Chiesa locale.

R. Domanico: In sintesi, che cos’è l’approccio multisetting con voi Paluzzi e, in particolare, in che cosa si estrinseca l’esperienza dell’outdoor setting in montagna?

Silvestro Paluzzi: L’approccio multisetting è una formazione globale della personalità e del carattere della persona che si affida alle nostre cure. Nell’outdoor setting avviene l’integrazione tra la dimensione clinica (1° e 2° setting) e la dimensione esistenziale (3° setting – outdoor setting residenziale in montagna): tra la narrazione di chi siamo (copione, GAB, tratti di personalità, ecc.) fenomenicamente e clinicamente e chi vogliamo essere, ossia il significato che il paziente vuole dare alla sua vita: la capacità di individuare/contattare i suoi desideri, sogni e progetti, da Adulti (GAB). Nell’outdoor setting in montagna viene messa in gioco l’esistenza personale, nostra e dei nostri pazienti, fianco a fianco, nella stessa “cordata”. La loro vita, che hanno dentro e davanti a loro, è di somma importanza nel “qui e ora” con noi, affinché cerchino e voglino la trasformazione personale. 

Antonella Tropea: L’outdoor setting non è una vacanza: stiamo in mezzo a turisti e villeggianti, escursionisti e vacanzieri, ma per noi è psicoterapia h24, psicoterapia outdoor setting. Si fa esperienza del modo di vivere con un tempo per riposare e un tempo per essere molto attivi e energici; un tempo per ascoltare e un tempo per parlare; un tempo per distrarci e un tempo per avere la massima concentrazione di cui si è in grado; un tempo per ridere e un tempo per commuoversi. L’ambiente naturale dei Parchi e dei paesini rinomati del Cadore, della Val di Fassa o di Gressoney in Val d’Aosta, viene usufruito e condiviso da tutti coloro che incontriamo, singoli, famiglie, ciclisti, scalatori, coppie, imprenditori, impiegati, arrampicatori, trekkers, studenti in ferie, bambini, con dei ritmi vacanzieri, ma per noi, lo stesso ambiente naturale (i parchi, i monti, i laghi), viene vissuto per essere ilsetting delle loro e, comunque, anche nostre trasformazioni profonde, o meglio, per attivare i meccanismi e i processi che metteranno in movimento la loro forza e le loro energie per essere orientati agli obiettivi progettuali e di vita, stando proprio in mezzo agli altri.

Silvestro Paluzzi: Usando una metafora, l’outdoor setting per i nostri pazienti è come il seme sottoterra che, dall’esterno, non vedendo nulla sei portato a dire che su quel terreno non c’è nulla di vitale, ma la realtà è più profonda: sta avvenendo un processo scandito per fasi che porterà il seme a diventare un germoglio che spunta dalla terra e che diventa pianta, visibile a tutti. Il processo rimane “misterioso” ma lametamorfosi è innegabile: questo è la psicoterapia outdoor setting. Staremo in mezzo agli altri e nel “mondo” (il contesto naturale e umano del luogo dell’outdoor) ma non siamo del “mondo”; aiutiamo i nostri pazienti a prendere le distanze dalle loro alienazioni, anzi, le offriamo davanti ai loro occhi, mediante gli strumenti del gruppo, delle metafore, delle attività e dei nostri moduli, e possono “dialogare” con esse, si confrontano con esse, ri-decidono su di esse.

Antonella Tropea: I nostri pazienti dell’approccio multisetting stanno al centro delle nostre attenzioni cliniche e formative, perché sono nel “qui e ora” quelle persone speciali che il Signore (fato, destino, caso?) ci ha fatto incontrare.

Silvestro Paluzzi: Noi ci assumiamo la responsabilità e la libertà di potergli offrire gli strumenti: a loro la libertà e la responsabilità di farli propri per dei fini che li portino dall’autoreferenzialità alla ri-decisione di realizzare i propri sogni, trasformando i desideri in progetti di vita migliore per sé e per gli altri.

R. Domanico: Quanti anni sono che avete iniziato questa attività e quante persone, in termini di ricominciare a sperare ed a progettare, hanno ricevuto giovamento attraverso l’applicazione di questo approccio?

Silvestro Paluzzi: Abbiamo iniziato 10 anni fa, nel 2006, con 6 nostri pazienti in Val Cadore per l’outdoor setting in montagna. Da allora abbiamo accompagnato, in psicoterapia, counselling e formazione integrale, diverse centinaia di persone.

Antonella Tropea: Dal 2010 abbiamo fondato e teorizzato l’approccio pubblicamente, con il testo di Silvestro “L’approccio multisetting. Psicoterapia outdoor setting mediante il gruppo e la metafora”, edito da Armando editore. A quel testo sono seguite altre pubblicazioni e l’istituzione della nostra Scuola di Formazione, Ricerca e Counselling Psicologico Outdoor Setting di Roma, dove prepariamo i nostri Allievi a maturare come persone e ad acquisire le competenze per la relazione d’aiuto mediante il nostro metodo multisetting.

Silvestro Paluzzi: Da un punto di vista statistico, le persone che abbiamo seguito e accompagnato nell’approccio multisetting appartengono a diverse categorie sociali: si tratta di giovani, coppie, seminaristi, studenti universitari, suore, preti e variegate categorie professionali tra cui medici, avvocati, insegnanti, infermieri, impiegati, operai, psicologi, eccetera, eccetera. Tuttavia, per usare un’espressione metaforica di montagna, quando si sta “in cordata” ascendendo verso una vetta, non ci sono “categorie” ma persone, siamo tutte anime, anime grandi, fragili e potenti nel contempo, che siamo trainati dalla forza dei nostri singoli sogni per condividere un universo migliore: citando Martin Buber e rimanendo nel tema della nostra intervista “tutti gli uomini hanno accesso a Dio, ma ciascuno ha un accesso diverso. L’universalità di Dio consiste nella molteplicità infinita dei cammini che conducono a Lui, ciascuno dei quali è riservato ad un uomo”. Accompagnando con mia moglie tante persone diverse negli anni, parafrasando Kierkegaard, possiamo affermare che la vera malattia non è soffrire di qualcosa, ma il non poter più desiderare intensamente qualcosa. Noi, mediante l’approccio multisetting, cerchiamo di restituire al paziente non solo la propria funzione intenzionale ma soprattutto la propria dimensione desiderante, affinché sul “crinale” possa ri-decidere il passaggio esistenziale tra un destino copionale e un destino da costruirsi.



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