Q. In alcune traduzioni italiane del Quo vadis? tu sei presentata come Licia, in altre come Ligia, dal nome del tuo popolo. Come è giusto chiamarti?
A. «Il mio vero nome è Gallina, figlia del re Afelio Cistero. Un nome barbaro, dicevano i Romani».
Q. Barbaro? Quando ti incontra per la prima volta Petronio, zio di Vinicio e arbitro di eleganza, tu rispondi alle sue citazioni di Omero con versi greci dell’odissea.
A. «In casa di Aulo, che mi trattava come fossi sua figlia, avevamo un maestro di greco. Non solo i Romani erano capaci di imparare».
Q. Sento dell’ironia nelle tue parole. Vuoi dire per caso che i veri barbari erano i Romani?
A. «Grande popolo, indubbiamente: solo che io ho conosciuto le classi nobili, dall’imperatore ai suoi cortigiani. Tutti violenti, corrotti, impulsivi, schiavi dei propri istinti. Per quel che ho visto, solo la famiglia di Aulo era un’eccezione».
Q. So che hai conosciuto personaggi come Vespasiano e suo figlio Tito, anch’essi destinati a diventare imperatori. Assomigliavano a Nerone?
A. «Certo che no. Sotto Nerone, però, nemmeno loro potevano alzare la testa. Bastava una parola per rischiare la morte».
Q. E il tuo Vinicio, che uomo era?
A. «È come se ne avessi conosciuto due, totalmente diversi, il pagano e il cristiano. Se la sua natura non fosse cambiata, l’avrei evitato per tutta la vita».
Q. Ne sei certa? In verità anche tu ti sei innamorata a prima vista.
A. «Guarda, una cosa è provare un sentimento, una cosa diversa cedere al primo istinto. Dopo i primi incontri, ero fuggita credendo che Vinicio mi volesse come schiava. Cambiai idea quando lo vidi nel mio rifugio, ferito da Ursus: capivo che si stava avvicinando alla fede. Ma fu l’apostolo Pietro a dirmi che, se l’avessi sposato, non avrei fatto nulla di male. Ecco le sue parole: “Amatevi l’un l’altro nel nome del Signore”. E io, che tremavo di vergogna e di timore, solo allora mi decisi».
Q. Ma il primo Vinicio, chiamiamolo così, era davvero un tipo da tenere lontano?
A. «Giudica tu. In un ricevimento di nobili, prima si ubriacò in modo osceno, poi tentò di saltarmi addosso. Fu Ursus a sbatterlo indietro, facendolo sentire debole e spaventato come un bambino. Quando poi mandò i suoi schiavi a prelevarmi, e Ursus di nuovo mi difese facendo un massacro, Vinicio spaccò il cranio a quel suo fedele servitore che gli aveva portato la notizia. Era tutto egoismo e brutalità: naturale che io volessi evitarlo».
Q. Poi Vinicio ti ritrova nelle catacombe insieme agli altri cristiani, ascolta le parole di Pietro e Paolo di Tarso, si converte. Tu pensavi che da allora in poi tutto potesse andare per il meglio?
A. «No, quel pazzo di Nerone era capace di tutto. Fosse stato provocato da lui l’incendio di Roma, o fosse stato un caso, ne incolpò noi cristiani. Persecuzioni orribili, tanta povera gente mandata a farsi divorare dalle belve, per il divertimento dei Romani».
Q. E il periodo che tu, principessa, trascorri in carcere. Ti rivediamo solo legata a quel toro inferocito, sulla sabbia del circo.
A. «Quel toro era come Nerone, il male cieco. Io ero svenuta, nemmeno mi accorsi che Ursus lo stava affrontando a mani nude».
Q. Superfluo che ce lo racconti: questo episodio l’abbiamo letto nel romanzo, e rivisto in film famosi. Ursus afferra il toro per le corna e gli torce il collo, impresa da non credersi.
A. «Noi credevamo, e crediamo, alla Provvidenza, alla forza del bene. Anche Ursus, in questo senso, è stato un simbolo. E lo stesso Nerone è crollato come quel toro, sia pure in modo diverso. Vile com’era, l’imperatore si fece uccidere dal liberto Epafrodito. Di sicuro fu più dignitoso il toro, che lottò sino alla fine».
Il matrimonio dopo le persecuzioni nella Roma antica
Figlia di un re nordico, che si è impegnato a non varcare i confini dell’Impero romano, Licia è un ostaggio nelle mani di Nerone. Quando se ne innamora Vinicio, altro protagonista del Quo vadis?, viene sottratta dalla casa di Aulo Plazio, un valoroso generale che la proteggeva. Da questo momento comincia per lei una penosa serie di avventure. Anche Licia ama Vinicio ma, da cristiana, sente di non potersi unire a un pagano. Sarà l’apostolo Pietro a dirle che, dopo la redenzione del guerriero romano, a sua volta convertito alla fede di Cristo, il matrimonio è possibile. Ma prima che i due giovani possano sposarsi, la follia dell’imperatore provocherà incendi, stragi e persecuzioni. Licia viene mandata a morte nel circo, legata sul dorso di un toro, e sarà il gigantesco Ursus a salvarla, consentendole, finalmente, di unirsi a Vinicio.
Retroscena
Il titolo del romanzo e dei film Quo Vadis, in latino, significa “Dove vai?”, e si riferisce all’incontro tra san Pietro e Gesù Cristo sulla via Appia. Secondo gli Atti di Pietro, Pietro, in fuga dalle persecuzioni di Nerone ebbe una visione di Cristo, al quale chiese: “Domine, quo vadis?” (“Signore, dove vai?”). Gesù rispose a lui, “Eo Romam, iterum crucifigi” (“Vado a Roma, per essere crocifisso una seconda volta”). Pietro capì che questo significava che lui stesso doveva tornare a Roma e non sottrarsi alla sua sorte, che era quella di morire come il suo maestro. Pietro, infatti, tornò a Roma e morì crocifisso, ai piedi del Colle Vaticano, dove oggi si trova la Basilica di San Pietro.
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