Il complesso monumentale di San Michele a Ripa Grande, già Ospizio Apostolico, è una delle fabbriche architettoniche più vaste d’Italia e si trova a Roma, precisamente nello storico quartiere Trastevere prospiciente il Lungotevere e il porto fluviale di Ripa Grande. Nato come orfanotrofio per ospitare bambini abbandonati, ospizio per vecchi poveri, carcere minorile e carcere femminile, è oggi sede del Ministero per i beni, le attività culturali e il turismo.
DOVE E’ SITUATO
00153 Roma – Complesso Monumentale di San Michele a Ripa Grande – Coordinate – Latitudine: 41°53’05.55”N; Longitudine: 12°28’30.8″E; Elevazione: 16,28 m
INTRODUZIONE
Nei secoli XVI e XVII mendicità e vagabondaggio hanno costituito in Italia un fenomeno dilagante; la miseria del popolo, che la carità pubblica e quella privata non riuscivano a sollevare, generava anche problemi che oggi chiameremmo di ordine pubblico.
Dalla seconda metà del Cinquecento la crisi economica seguita al Sacco di Roma e alla diminuzione delle entrate provenienti dai paesi protestanti, accentuò drammaticamente i fenomeni della povertà urbana.
Nella città di Roma, in particolare, vagavano torme di miserabili, infittite da immigrati di vario genere che apparivano particolarmente pericolosi: gente senza mestiere, pellegrini arenati nell’Urbe, contadini e braccianti che l’estendersi del latifondo aveva privato della sussistenza. In questa città, oltre che per l’inurbamento, per le ricorrenti alluvioni, le carestie e le epidemie, il problema assistenziale fu particolarmente grave e per contenerlo furono intraprese alcune iniziative e realizzato luoghi di assistenza, definiti complessivamente “luoghi pii”.
La Chiesa, che nello Stato Pontificio gestiva anche il potere civile e amministrativo, fu il primo soggetto che in città istituzionalizzò le attività di sostegno ai poveri, esaltandone ideologicamente il carattere religioso e caritativo, ma anche costituendone le forme segreganti.
Al fine di arginare il fenomeno si costituirono organizzazioni stabili e legalmente riconosciute che si prefiggevano di soccorrere poveri, invalidi, orfani, zitelle, vecchi e bisognosi in genere. Vennero edificate quindi strutture apposite, quali orfanotrofi, carceri, conservatori, ospedali, ospizi, come quello che monsignor Tommaso Odescalchi (nipote del futuro papa Innocenzo XI) istituì nel 1673 a Piazza Margana in Rione Campitelli. Quest’ultimo, denominato Collegio di San Michele dei poveri orfani, fu trasferito nel 1686 a Trastevere divenendo l’Ospizio Apostolico di San Michele, prima concreta iniziativa volta a risolvere la piaga sociale del pauperismo nella città dei papi.
Il nucleo originario della fabbrica fu stabilito nella proprietà Odescalchi immediatamente alle spalle del porto fluviale di Ripa Grande, affinché un nuovo edificio accogliesse gli orfani assistiti dall’opera pia di famiglia, e li indirizzasse ad apprendere un mestiere. A questo scopo il progetto comprendeva un lanificio e botteghe artigiane.
Tra ripensamenti progettuali, ampliamenti e lunghi periodi di interruzione dei lavori, l’ambizioso progetto fu portato a termine soltanto dopo 150 anni, soprattutto attraverso i pontificati di Innocenzo XI (Benedetto Odescalchi, 1676-1689), Innocenzo XII (Antonio Pignatelli, 1691-1700), Clemente XI (Gian Francesco Albani, 1700-1721) e Clemente XII (Lorenzo Corsini, 1730-1740) e su progetto principalmente dell’ architetto Carlo Fontana (1634-1714)
Il Fontana, architetto, ingegnere e scultore, apparteneva ad una nota famiglia di artisti del Canton Ticino (nato a Rancate il 22 aprile 1638) e giovanissimo si era trasferito a Roma, dove aveva lavorato a Palazzo Montecitorio, alla chiesa di Santa Rita in Campitelli, alla chiesa di Santa Maria dei Miracoli, alla Basilica dei Santi XII Apostoli, alla Biblioteca Casanatense.
Al Conservatorio dei Ragazzi seguirono il Carcere dei Ragazzi (1701-1704), il Conservatorio dei Vecchi e delle Vecchie (1708-1713), la Caserma dei Doganieri (1706-1709), la Chiesa della Madonna del Buon Viaggio (1711), la Chiesa Grande (1710-1715). Edifici tutti progettati da Carlo Fontana, alcuni dei quali ultimati da suoi stretti collaboratori, come l’architetto Nicola Michetti (1677-1758) e Filippo De Romanis, che dopo la sua morte nel febbraio del 1714 dettero avvio tra l’altro al Conservatorio delle Zitelle (1719) e alla realizzazione del prospetto sul lato del Tevere e del porto fluviale di Ripa Grande (completato nel 1730) che finì per conferire l’unitarietà formale che oggi vediamo all’insieme architettonicamente discontinuo dei molti edifici che nel corso dei decenni erano stati affiancati.
Il fiorentino Ferdinando Fuga (1699-1781) in qualità di architetto dei Palazzi Pontifici e noto per aver progettato la facciata della basilica di Santa Maria Maggiore, realizzò infine nel biennio 1734-1735 il Carcere Femminile.
A quest’ultima data il complesso si poteva dire completato, nell’aspetto che conosciamo oggi, con le sue dimensioni rilevantissime: 334 metri di lunghezza, 80 di larghezza media tra il fiume Tevere e la via di San Michele, per una superficie di oltre 2 ettari e mezzo (26.720 metri quadrati).
IL CONSERVATORIO DEI RAGAZZI
Il Conservatorio dei Ragazzi, destinato all’accoglienza dei giovani orfani, fu edificato tra il 1686 ed il 1689 e si compone di un corpo di fabbrica a quattro piani affacciato da un lato sul porto fluviale di Ripa Grande, e dall’altro su un cortile a pianta quadrata fiancheggiato da due ali basse che racchiudono al centro una fontana in travertino, adornata dei simboli araldici Pignatelli.
La facciata interna si apre sul cortile con una loggia porticata che nella seconda metà dell’Ottocento, assieme ad altri sei sale attigue, fu decorata ad affresco e a tempera, spesso con motivi “a grottesca”, dagli stessi giovani ospiti del Conservatorio e dai loro insegnanti.
IL CARCERE DEI RAGAZZI
Anche con l’intento di sottrarre i giovani condannati alla diseducativa promiscuità delle carceri per adulti, e con il coraggioso proposito di recuperarli moralmente avviandoli al lavoro, nel settembre del 1701 papa Clemente XI incaricò Carlo Fontana di progettare una Casa di Correzione per giovani traviati.
Al carcere erano ammessi i ragazzi che, avendo commesso dei reati, risultavano troppo giovani per essere mandati alle galee, cioè a quelle imbarcazioni il cui equipaggio era in gran parte formato da condannati.
Con la realizzazione del Carcere di Correzione Maschile si affermò l’innovativa concezione di stampo illuminista che anziché considerare la prigione esclusivamente un luogo di reclusione, ne faceva uno strumento rieducativo.
L’architetto ticinese ideò un edificio di grande rigore formale, considerandolo come un organismo indipendente dal resto del palazzo, progettando un impianto planimetrico di estrema funzionalità a croce, capace di un rapido controllo dei reclusi da parte dei guardiani. Lo schema distributivo annoverava un’aula rettangolare, detta Sala Clementina dal nome del pontefice, larga 42 x 15,55 e alta 14 m, coperta da un soffitto a botte, lunettata e attraversata perpendicolarmente da una grande crociera. Su questo impianto distribuì su tre livelli quattro gruppi di celle.
IL CONSERVATORIO DEI VECCHI E DELLE VECCHIE
Con la bolla Ad Exercitium Pietatis del 1693 papa Innocenzo XII ordinò l’ampliamento dell’edificio del San Michele per ospitare altre tre categorie di persone bisognose: Vecchi, Vecchie e Zitelle.
Tra il 1708 e il 1713 Carlo Fontana realizzò il Conservatorio dei Vecchi, completato nel 1717 da Nicola Michetti che portò a termine l’ala delle donne. La costruzione, adiacente al primo nucleo del Conservatorio dei Ragazzi, si articolava attorno ad un Cortile rettangolare porticato e loggiato al piano superiore sui quattro lati, con vasti saloni a piano terra situati lungo tre dei lati del cortile, fra i quali il refettorio e l’infermeria, mentre ai piani superiori trovavano posto i dormitori, le corsie, le cucine e la spezieria.
Nella seconda metà dell’Ottocento il loggiato è stato decorato da stucchi sulle volte a crociera e da terracotte sulle paraste. Come gli affreschi del contiguo Conservatorio dei Ragazzi, gli autori sono gli allievi delle scuole artigiane ospitati nel’Istituto. Sulle volte appaiono figure allegoriche, putti alati, animali fantastici, girali, incorniciati in medaglioni di varia forma e dimensione.
Dalle formelle in terracotta, perimetrate da modanature in stucco, sporgono in bassorilievo ghirlande di fiori, cornucopie, teste di leone. Sulle lunette, in nicchie ovali sono ritratti di architetti, pittori, scultori e illustri personalità, quali Leonardo, Raffaello, Sangallo, Giotto, Pergolesi.
IL CONSERVATORIO DELLE ZITELLE
L’architetto Nicola Michetti, che alla morte di Carlo Fontana nel 1714 ne proseguì l’opera, realizzò il prospetto seriale sul Lungotevere di Ripa Grande, conferendo all’interminabile e monotona facciata una sufficiente uniformità. Lo stesso Michetti nel 1719 iniziò la costruzione del Conservatorio delle Zitelle, che però fu completato da Nicola Forti (1714-1802) dopo che, con motu proprio del 24 febbraio 1790, Pio VI (1775-1799) ebbe risolta una controversia con le monache di Santa Cecilia. Nel 1797 le giovanette furono trasferite da San Giovanni in Laterano al San Michele e al Conservatorio furono assegnati 4.000 scudi annui.
Con quest’ultimo intervento lo sviluppo architettonico ed il programma decorativo della fabbrica del San Michele può considerarsi concluso, l’edificio aveva assunto le sue straordinarie dimensioni definitive.
LA CHIESA GRANDE
La Chiesa della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo, detta Chiesa Grande, fu ideata nel 1710 da Carlo Fontana (consacrata il 12 settembre 1715) con una pianta a croce greca che rispondeva in maniera perfetta alla rigida organizzazione interna dell’Ospizio, nel quale era escluso qualsiasi contatto tra le quattro diverse categorie di assistiti: Ragazzi, Zitelle, Vecchi e Vecchie.
Il tempio, che pur si costituiva come unico elemento di comunione, rispettava questa regola, ospitando ognuna delle quattro comunità in un settore che coincideva con uno dei quattro bracci della croce, chiuso da alte cancellate.
La Chiesa tuttavia rimase incompiuta per una lunga vertenza sulla proprietà terriera con le vicine monache del monastero di Santa Cecilia: il braccio mancante, destinato alle Zitelle (che ebbero la chiesa nel loro Conservatorio), fu sostituito da un fondale neoclassico, realizzato negli anni 1831-1835 da Luigi Poletti, nel quale fu collocata una monumentale scultura in gesso raffigurante il Salvatore, eseguito e donato dal bolognese Adamo Tadolini (1788-1868), ex allievo dell’Ospizio e accademico di San Luca.
Sugli altari del tempio si conservano alcuni dipinti realizzati dagli allievi dell’Istituto, come Il perdono di San Francesco, copia da Barocci; San Filippo Neri, copia da Maratta. Il San Michele precipita nell’abisso Lucifero, copia da Guido Reni, è stato invece eseguito nel 1818 da Francesco Giangiacomo, professore dell’istituto. Sul primo altare a sinistra trova posto la Trasfigurazione, copia da Raffaello, già in possesso dell’Istituto quando fu posta sull’altare maggiore nel 1715, poi spostata dal Poletti.
Alla Cripta sottostante la chiesa, a cui si poteva accedere anche attraverso una botola posta nel pavimento, era annesso un cimitero.
LE SCUOLE
La caratteristica peculiare e punto di forza dell’Istituto San Michele è stata la sua funzione rieducativa e formativa. Fin dal Seicento vi sono state attive scuole di artigianato, dove i giovani potevano imparare mestieri (sartoria, falegnameria, rilegatoria, produzione di corde e scarpe, etc). A queste si aggiunse il lanificio, sviluppatosi all’interno della Casa di Correzione.
Successivamente si aprirono le scuole di arti liberali, tra cui una stamperia. Gli allievi che mostravano particolari attitudini per le belle arti potevano cimentarsi anche con la pittura, la scultura, l’architettura e la decorazione a bassorilievo.
L’attività che ebbe il maggior successo fu la manifattura degli arazzi, che vide la creazione di prodotti di altissima qualità e la formazione di maestranze altamente qualificate.
Lo Stato Pontificio esercitava una protezione sui prodotti artigianali del San Michele, creando forme di protezione come sulla lavorazione della lana con la quale si tessevano stoffe che ottenne da Clemente XI il monopolio per la vendita del prodotto alla Camera Apostolica e ai soldati.
IL CARCERE DELLE DONNE
Nel 1734 Clemente XII Corsini, sollecitato dalle istanze del canonico Giovan Battista de Rossi (1698-1764), non volendo che “le carcerate per delitti e mancanze segregate rimanessero nelle carceri degli uomini”, fece costruire un edificio destinato ad accogliere esclusivamente donne condannate per delitti comuni e meretrici. La struttura, che si trovava verso Porta Portese, fu disegnata dal noto architetto Ferdinando Fuga, che la terminò nel 1735, ma che iniziò a funzionare soltanto nel 1738.
L’interno, dove le recluse fabbricavano tessuti, annoverava un ambiente rettangolare a tre ordini di celle sovrapposte su un solo lato, con un grande Crocefisso nella parete di fondo; tre grandi finestre davano luce alla prigione.
I REGOLAMENTI
L’organizzazione interna delle quattro comunità ospitate nell’istituto San Michele è descritta dettagliatamente da Giuseppe Vai, prelato e segretario dell’Ospizio, in una relazione del 1778 scritta in occasione della venuta a Roma dell’Imperatore d’Austria Giuseppe II.
All’epoca al San Michele accedevano ragazzi fra i sette e gli undici anni orfani di padre, la cui madre doveva avere almeno tre figli, e potevano rimanere all’istituto fino a venti anni imparando dapprima a leggere e scrivere, per essere poi avviati ad una delle numerose scuole di arti e mestieri, o alle discipline artistiche. Nel primo caso, sotto la guida di esperti maestri artigiani diventavano falegnami, tessitori, librai, vetrai, sarti, etc. e potevano essere utilizzati anche per lavori ordinati da privati, ricevendo un compenso che veniva loro consegnato al momento in cui lasciavano l’Istituto. Nel secondo caso frequentavano le scuole di disegno, pittura, architettura, incisione della medaglia, intaglio dei cammei, tessitura degli arazzi, musica, mosaico, scultura, etc.
Per essere ammessi nell’Ospizio dei Vecchi bisognava avere i seguenti requisiti: essere nati a Roma o ivi residenti da almeno cinque anni; avere compiuto 60 anni di età o essere invalidi (sordi, ciechi, etc.), ma non affetti da malattie contagiose. Davanti al notaio dell’Ospizio dovevano inoltre giurare di essere poveri.
Il regolamento dell’Istituto delle Vecchie era simile a quello dei Vecchi. Anche il vitto era analogo, e così il vestiario, che però le donne dovevano confezionare per conto proprio, ed era rinnovato ogni tre anni.
Nel Conservatorio delle Zitelle venivano accolte orfanelle tra i sette e gli undici anni, sotto la direzione di una priora e due preti, che rigorosamente vigilavano sull’adempimento dei loro doveri e del loro lavoro, che le impegnava per quindici ore e mezzo al giorno.
Le Zitelle venivano dimesse solo in tre casi: al compimento del cinquantesimo anno di età, se si facevano suore, se si sposavano.
LA DECADENZA
L’Istituto San Michele mantenne la propria funzione, oltre che come luogo di ricovero, soprattutto come sede di fiorenti attività artigianali, dalla sua creazione fino all’avvento dell’Unità d’Italia, quando fu interessato da un rapido declino economico, caratterizzato dall’interruzione delle attività assistenziali, non più sostenute dalle prebende papali e dalla conseguente progressiva chiusura dei laboratori e delle scuole d’arte.
Dal 1861, con il passaggio di gestione dalla Chiesa allo Stato Italiano, iniziò la lenta decadenza e presto fu sciolta la comunità dei ragazzi. Continuarono a funzionare l’officina per la lavorazione del marmo, un laboratorio di ebanisteria e una fonderia. L’arazzeria riuscì a sopravvivere fino al 1926.
Nel 1938 gli assistiti vennero trasferiti al nuovo Istituto Romano San Michele a Tormarancia, una zona popolare della città, mentre continuarono a funzionare i due carceri.
Il complesso dei due Carceri e della Caserma dei Doganieri venne unificato e ristrutturato con funzioni di carcere minorile maschile. Dal 1944 intitolato al filosofo e pedagogista Aristide Gabelli (1830-1891), fu attivo fino al 1972, quando i minori detenuti furono trasferiti nella sede di Casal del Marmo.
I resto dell’immobile restò praticamente abbandonato, divenendo rifugio di sfollati durante la guerra, e poi di senza tetto, fino all’inagibilità.
I RESTAURI E NUOVA UTILIZZAZIONE
Formalizzato il decreto di “vincolo” nel 1959, l’immobile, messo in vendita dall’Istituto in avanzato stato di degrado, fu acquistato dallo Stato Italiano nell’agosto del 1969 esercitando il diritto di prelazione.
L’edificio presentava una preoccupante condizione statica e un diffuso degrado causato dall’abbandono e dalle vicende belliche che ne fecero ricovero per gli sfollati altroché dalla scadente qualità dei materiali usati per la costruzione e da forti dissesti delle fondazioni impiantate su sabbie fluviali.
Le lunghe e complesse operazioni di restauro iniziarono nel 1973 e furono affidate principalmente agli architetti della Soprintendenza Francesco De Tommaso e Patrizia Marchetti. Oggi il Complesso del San Michele è una delle sedi del Ministero per i beni, le attività culturali e il turismo, con tre Direzioni Generali: la Direzione Generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee, la Direzione Generale valorizzazione del patrimonio culturale, la Direzione Generale antichità.
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