Tutti ci saremmo chiesti almeno una volta nella vita cos’è davvero l’empatia. È la cosiddetta “capacità di mettersi nei panni dell’altro” o semplicemente la capacità di percepire il vissuto e i sentimenti altrui?
Il termine empathy fu coniato dallo storico e filosofo dell’arte Robert Vicher nel 1873 per indicare la capacità dell’essere umano di immedesimarsi con la natura, e fu molto utilizzato in letteratura e filosofia anche precedentemente a questa creazione seppur in termini differenti quali “sentire dentro” o “lavoro interno”.
Tuttavia, è raro che all’interno delle scuole ci venga insegnata l’empatia. Eppure nelle relazioni sociali (familiari, amicali, sentimentali ecc) che instauriamo nella nostra vita quotidiana e soprattutto nelle professioni e nei rapporti di aiuto; diventa indispensabile conoscerla e saperla utilizzare. Spesso, cambiare la propria modalità di interazione con gli altri potrebbe produrre degli effetti inaspettati e sorprendenti. Insomma, l’empatia è necessaria per relazionarsi con il mondo esterno in maniera ottimale ed è fondamentale per avere un esito positivo nelle relazioni di aiuto. Non a caso, risulta essere anche un’efficace medicina contro le difficoltà linguistiche, le difficoltà di apprendimento, i deficit mentali o particolari condizioni di vulnerabilità che possono presentare alcuni bambini. A tal proposito esistono delle associazioni che si occupano di ippoterapia (terapia a cavallo) che consiste nella promozione della vicinanza e dell’interazione tra il bambino e il cavallo, comunemente ritenuto un animale fortemente empatico.
Vediamo un po’ di aspetti pratici.
Nel momento in cui una persona si trova in una situazione difficile e ci racconta i suoi problemi, siamo soliti confortarla cercando di individuare qualsiasi aspetto positivo, all’interno di quella stessa situazione, che possa farla stare meglio. Uno sbaglio grandissimo. L’empatia non è la consolazione, ma la comprensione. L’empatia consiste semplicemente nel dire all’altro “Non ho idea di ciò che stai passando ma sono felice che tu me l’abbia detto” (Brené Brown).
Ovviamente l’atteggiamento empatico presuppone un rischio di scottatura. Questo avviene perché, nel momento in cui ci immedesimiamo nei panni dell’altro ed entriamo nel suo mondo, automaticamente ci portiamo dietro anche il nostro vissuto, la nostra storia e le nostre emozioni. Affinché la relazione di aiuto abbia buon fine, è necessario essere coscienti di questo rischio e mantenere un atteggiamento contemporaneamente distaccato e presente. Non bisogna mai dimenticare che il compito di chi dona aiuto non è quello di sostituirsi all’altra persona, ma di metterla nuovamente in contatto con le proprie potenzialità e risorse al fine di risolvere la situazione problematica.
Insomma, come si suol dire, nessuno si salva da solo.
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