Intorno al 1930 fu coniato l’aggettivo ermetico per qualificare la poesia che stavano componendo, o avevano già composto, alcuni poeti contemporanei. L’aggettivo voleva essere di contenuto dispregiativo per un modo di poetare che si riteneva incomprensibile, poco chiaro e perciò chiuso ermeticamente alla comprensione dei più. Sotto questa etichetta sono stati raggruppati molti dei poeti moderni, che pure tra loro sono diversi per sensibilità e per il modo con cui vivono ed esprimono il loro sentimento.
È indubbio però che c’è qualcosa che accomuna questo gruppo di poeti: qualcosa di formale ed anche di sostanziale. Il modo di poetare, la tecnica del comporre è identica e si riconosce nel verseggiare libero e sciolto, nei mezzi espressivi ridotti all’essenziale per esprimere il momento lirico e la tensione poetica senza indulgere e neppure introdurre elementi decorativi o descrittivi. Essi perciò rifiutano il discorso legato, cercano la parola carica di significato, ricorrono al simbolo ed all’analogia.
Ma c’è qualcosa anche di sostanziale che permette, per lo meno, di considerarli insieme, pur riconoscendo la personalità diversa di ciascuno. E sono i temi di fondo della poesia ermetica, riconoscibili nell’ansia propria del tempo carico di incertezze, di attese del peggio, di sconforto; nella desolata solitudine dell’uomo; nella incomunicabilità tra due solitudini, quella propria e quella degli altri; nell’abbandono al sentimento e al conforto della poesia. Essi non descrivono gli oggetti, ma li evocano, ce li fanno balzare avanti come tratti dalla zona del sogno e dell’incanto, per mezzo di parole sillabate; indagano la realtà, ma la raggiungono attraverso un simbolo, un’allegoria, una metafora.
È con gli ermetici che trova una maggiore affermazione tra noi il simbolismo francese, non solo, ma anche una sorta di surrealismo che vede la realtà attraverso la propria interiorità: cioè, non per quella che è naturalisticamente, ma per quella che appare, in un determinato momento, nello spirito e nella sensibilità del poeta. Gli ermetici infatti sentono che è impossibile raggiungere la realtà nella sua obiettiva essenza attraverso un processo logico di avvicinamento alla comprensione di essa, perciò la intuiscono soltanto con la sensibilità poetica, scrutandola in se stessi, negli effetti che produce sul loro spirito, ed esprimendola poi con la parola che illumina questa intuizione, che è liirica non logica.
La poesia diventa così uno scrutare se stessi per scrutare anche le cose. Il rapporto uomo-cose, uomo-realtà viene colto attraverso le analogie o somiglianze, attraverso tutto un ricorso al simbolo, attraverso i riflessi soggettivi e le reazioni che si producono nell’intimo del poeta. Di qui nasce anche uno dei tormenti dei poeti ermetici: quello di avvertire la presenza di un mondo diverso da loro, mentre sentono di non poterlo definire.
Da notare come all’interno dell’ermetismo fossero presenti
due categorie di poeti: i cattolici o puristi, dove l’assenza è attesa di una
figura che verrà a salvarci, e i laici o storicisti, più vicina alla realtà
Alla base del movimento, che si rifaceva a grandi poeti del decadentismo francese, come Verlaine, Rimbaud, Mallarmé (ma anche al simbolismo di Giovanni Pascoli e al surrealismo), ricordiamo alcuni dei più grandi poeti: Giuseppe Ungaretti (1888-1970) ed Eugenio Montale (1896-1981) tra i capiscuola, mentre tra gli altri esponenti ricordiamo Salvatore Quasimodo (1901-1968), Mario Luzi (1914-2005) e Alfonso Gatto (1909-1976).
La poesia ermetica resta comunque la poesia più significativa del Novecento, quella che è propria del secolo, quella in cui confluiscono tutti i motivi e le ansie spirituali e che esprime meglio il tormento dei contemporanei, non solo, ma che assomma anche gli elementi letterari e culturali del tempo.
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