Dopo la puntata di «Vieni via con me» di Fazio e Saviano su “fine vita” ed “eutanasia” si potrebbe aprire uno spazio serio di discussione. Purtroppo finirà come al solito, in una bagarre polemica, dove tutto sarà giocato dentro le solite dinamiche astratte, nelle profusioni d’accusa degli uni, e nella pretesa di correttezza degli altri. Il tutto verrà iscritto nell’eterna lotta (falsa) tra cattolici e laici, tra destra e sinistra. L’assunto della trasmissione fondava in un presupposto chiarissimo, ovvero la necessità di intervenire da un punto di vista legislativo sui temi eticamente sensibili e che tale vulnus rappresenta un vuoto del diritto.
Non voglio entrare nel merito della questione per non cadere nella reiterazione della vis polemica ma ritengo invece opportuno allargare l’orizzonte possibile, offrendo una narrazione altra, non certo in contraddizione bensì complementare a quanto testimoniato.
Oggi, nel nostro Paese, esiste un altro diritto non garantito: quello di vivere pur se ammalati e in condizioni limite. Sono migliaia i cittadini italiani che ogni giorno, nonostante malattie rare, patologie sconosciute, chiedono attenzione dalle istituzioni e dalla società civile. Spesso pretendono semplicemente un pieno diritto di cittadinanza. È troppo domandare il rispetto delle loro esistenze? Queste persone non fanno notizia, neppure quanto scendono in piazza, come gli ammalati di SLA (in queste ore), per rivendicare il diritto alla salute e a una vita dignitosa; diritto sancito dalla Costituzione.
Chiedere attenzione per loro, condurre una battaglia in loro difesa, non è forse un’ispirazione progressista? Non potrebbe essere una battaglia condotta in prima persona proprio da Fazio e Saviano, o dai radicali che sui diritti civili si sono sempre spesi con tenacia e forza (penso alle rivendicazioni per i detenuti)?
Ho scritto un libro, uscito in queste settimane per le Edizioni Lindau, Vivi. Storie di uomini e donne più forti della malattia, dove cerco di sostenere i malati e le famiglie coinvolte nella loro battaglia che si combatte tutti i giorni su più fronti, dai problemi legati alla salute e all’assistenza domiciliare dei propri cari, alla questione etica più generale, ma soprattutto, e tristemente, ai problemi inerenti alla burocrazia, per tutti un incubo disumano senza attenuanti.
Esistono malattie fortemente invalidanti, come la LIS (Locked-in Syndrome), non ancora riconosciute come “malattia rare” con tutto l’aggravio che ne consegue. È necessario allargare l’orizzonte, raccontare anche queste storie. Si tratta di una battaglia di civiltà che non deve essere “giocata” in contrapposizione o in polemica con tutte le altre situazioni legate al fine vita.
I malati non vogliono vedere i propri familiari diventare dei martiri, non vogliono pesare sulla sofferenza dei propri cari; attendono spesso un segno, un gesto di comprensione, un aiuto da parte delle Istituzioni, e, perché no, anche dai “media” sempre così attenti alla notizie che scardinano le coscienze. Difendere il loro diritto di cittadinanza non può essere una battaglia di parte, deve riguardare tutti. Credenti e non credenti, destra e sinistra. Dare visibilità anche a loro, non sarebbe “par condicio”, ma servizio pubblico, dovere civile, atto di coerenza.
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