Otto Lilienthal tedesco(1848-1896)
L’unico che davvero ha saputo volare, nella storia dell’umanità sono io. Non parlatemi per favore delle mongolfiere: oggetti più leggeri nell’aria, dove l’uomo è trascinato come un pacco. Guardate invece il mio apparecchio. Sono due grandi ali di cotone incerato, tenute insieme da vimini. Cerco di ottenere il minor carico possibile, questo è chiaro; ma se appoggio le ali a terra ci restano, perché sono più pesanti dell’aria. E poi c’è il peso mio, di uomo normale. Di voli ormai ne ho fatti più di duemila. Ho studiato gli uccelli, come secoli fa aveva fatto un italiano, Leonardo Da Vinci. Ho studiato le correnti, ascensionali e discensionali. Ho calcolato il rapporto fra il peso del mio apparecchio e la forza delle correnti che potevano mantenermi in volo. Poi ho costruito le mie due ali, otto metri buoni di larghezza e ho cominciato a provare. Volavo. Volo planato, dicono, troppo vicino a terra. Che razza di discorsi: sono ali rigide, io non ho la muscolatura di un uccello, né esiste una macchina che possa far alzare ed abbassare le ali alla maniera delle aquile. Ma mi sollevo dei buoni metri da terra, senza ammazzarmi. Duemila volte di seguito; vengono da ogni luogo per vedermi. Hanno paura; e qualche volta ho paura anch’io. Ma volo.
Orville Wright americano (1871-1948)
Era una mattina del dicembre 1903, un giovedì. L’aeroplano che avevamo costruito, io e mio fratello Wilbur, era su una pianura sabbiosa della Carolina del Nord, vicino all’oceano. Una grande ala sopra, un’altra uguale sotto, un motore, due eliche. Per quanto avessimo cercato di mantenerci leggeri, la macchina pesava più di una tonnellata. L’avevamo chiamata Flyer, volatore; ma che potesse volare era solo una speranza. Wilbur ed io avevamo una fabbrica di biciclette. Da ragazzi però nostro padre ci aveva regalato un giocattolo ad elastico che volava; e ci era venuta come un’ossessione. Se bastava una specie di molla a far alzare un pezzo di legno, perché non dovevamo riuscirci noi, con un motore? Il 14 dicembre 1903, provò Wilbur ad avviare Flyer. Niente da fare, il nostro biplano si alzò di qualche metro e rovinò a terra. Tre giorni di lavoro per riparare i danni. Così, il 17, toccò a me. Il motore si avviò bene. La sabbia cominciò a scorrermi sotto, tirai la barra del timone di profondità. L’apparecchio si alzò immediatamente. Andavo su e giù, con pochissima stabilità; ma pur sempre in aria. Un volo da niente. Ma adesso che gli aeroplani vanno a quasi mille chilometri l’ora, so che le distanze si sono annullate per merito nostro, di Wilbur e mio.
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