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L’Infernal Teatro: Galileo Galilei lettore di Dante

Gli universi immaginari della letteratura affascinano quanto più sono coerenti e verosimili. Lo stesso capita con la fantascienza quando costruisce mondi irreali ma convincenti perché dotati di una fisica non contraddittoria. In una storia della verosimiglianza va certamente inclusa la vicenda del giovane Galileo Galilei, incaricato nel 1588 dalla Accademia Fiorentina di risolvere una controversia intorno alla forma dell’Inferno dantesco. Non senza campanilismi, si contrapponevano la ricostruzione del fiorentino Antonio Manetti e quella del lucchese Alessandro Vellutello. Entrambi condividevano l’immagine della voragine conica sormontata da una calotta sferica, ma non senza importanti differenze. Le pareti infernali erano per Manetti sezioni coniche, e cilindriche per Vellutello. Inoltre, il lucchese criticava l’eccessiva sottigliezza della volta proposta dal fiorentino e preferiva un imbuto più piccolo, che garantiva meglio la stabilità del tetto soverchiante.

Galilei affrontò le questioni dicendo ai fiorentini quello che volevano sentirsi dire e prese, infatti, le difese del loro concittadino. Tre punti sono interessanti nel discorso galileiano. Il primo è il riferimento agli scritti di Archimede su sfera, cono e cilindro, la cui prima edizione latina risale alla metà del 1500 e che erano, pertanto, sconosciuti ai commentatori precedenti. Segue poi la dissertazione sulle pareti che devono seguire la verticale del filo a piombo e hanno, quindi, una geometria puntante al centro terrestre, pensato – sono parole di Galilei – come “centro della gravità e dell’universo”. Circa la stabilità della volta manettiana, Galilei crede ingenuamente nella invarianza di scala. Determinate le dimensioni della copertura, conclude che “tal grossezza è suffizientissima” a garantirne la stabilità affermando che cupole simili e “con quella ragione” (cioè in scala) non crollano. Galilei stesso smentirà in seguito l’argomento quando, ormai anziano, discuterà nelle Due Nuove Scienze la non invarianza di scala, mostrando che raddoppiando le dimensioni lineari il peso ottuplica e dunque non può esistere un gigante con le stesse proporzioni umane.

L’autore delle lezioni dantesche è un Galilei inusuale, giovane e cautamente non ancora copernicano ma abilissimo nel mostrarsi informato della più recente letteratura scientifica e ben consapevole che qualcosa di importante sta nel calcolo dei volumi. Come nota Pratesi “Il teorema fondamentale del calcolo integrale è ricordato coi nomi di Torricelli e Barrow: il primo era allievo di Galilei, il secondo è il maestro di Newton”. Aggiungiamo che proprio Newton immaginerà buchi altrettanto danteschi verso il centro della Terra per spiegare lo schiacciamento polare terrestre e la differenza tra la gravità ai poli e all’equatore. In conclusione: inseguendo la coerenza del fantastico si percorre (anche) il cammino che dalle allegorie geometrico-morali di Dante porta ai modelli fisici newtoniani.

L’università di Pisa ha ricordato le lezioni galileiane su Dante durante l’incontro dello scorso 15 febbraio con gli interventi di Alfredo Cottignoli, dantista e già ordinario dell’Università di Bologna, e Riccardo Pratesi (Museo Galilei di Firenze). La registrazione dell’incontro è disponibile sul canale YouTube dell’Università di Pisa. Ulteriori informazioni possono essere trovate sul sito dedicato.

Sergio Giudici – Ricercatore presso il Dipartimento di Fisica “Enrico Fermi” dell’Università di Pisa dove insegna fisica sperimentale e laboratorio di fisica per l’insegnamento. Si è occupato di fisica delle alte energie nell’ambito di alcuni esperimenti al CERN dedicati alla studio della simmetria CP nel sistema dei mesoni K. Dal 2015 si occupa di didattica e storia della fisica anche in qualità di Direttore del Museo degli Strumenti di Fisica (Sistema Museale di Ateneo). Nel 2016 ha pubblicato per Mondadori-Università “Fare il punto: una storia a ritroso della localizzazione dal GPS a Tolomeo”.

da: SIF Società Italiana di Fisica



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