Attorno agli anni venti ebbe inizio il “grande dibattito astronomico” su l’unicità della galassia tra Shapley e Curtis, risolto in favore di quest’ultimo da Hubble con una campagna di misure fatte dall’osservatorio di monte Wilson, in cui si dimostrò la natura extragalattica di una serie di “oggetti” astronomici (altre galassie).
All’epoca del dibattito, Slipher, Wirtz e Lundmark avevano notato come la maggior parte degli spettri galattici mostrasse un “redshift” assimilabile con un generico moto di recessione.
Alla fine degli anni venti Hubble annunciò la legge di recessione cosmica secondo la quale l’universo è pieno di galassie che si allontanano con una velocità proporzionale alla loro distanza.
Le misure di redshift originali effettuate da Slipher furono sostanzialmente confermate nelle valutazioni successive effettuate da Hubble, anche se le misure delle distanze galattiche risultarono nel corso degli anni errate.
Le misurazioni condotte da Hubble si basavano su di un’errata calibrazione della relazione periodo-luminosità di un gruppo di cefeidi determinata da una sovrapposizione di errori sistemistici tra i quali la mancata valutazione dell’assorbimento interstellare.
La conseguenza di tali errori portò ad una sottostima delle distanze rilevate (ad esempio la galassia di Andromeda “M31” fu sottostimata di un valore 2) e comunque le misurazioni effettuate da Hubble erano imprecise e basate su un campione non sufficientemente significativo.
La conclusione a cui giunse Hubble “conclusione di carattere empirico” fu che le galassie sono distribuite uniformante nell’universo e ch recedono ad una velocità v che è proporzionale alla loro distanza d secondo la relazione v = Hd dove H è la costante di proporzionalità di Hubble il cui valore stimato per l’epoca è di 500 Km/sMpc.
In conseguenza alle ripetute revisioni della scala delle distanze e alla luce delle osservazioni eseguite in tempi recenti con l’ausilio del telescopio spaziale il valore oggi attribuito alla costante di Hubble è circa 80 Km/sMpc.
Oggi sappiamo che le galassie sono raggruppate in ammassi separati da enormi vuoti e che i parametri fisici propri del “principio cosmologico” (i parametri temperatura e densità che caratterizzano la distribuzione della materia sono funzione solamente del tempo) sono mediati su ampi volumi in modo da minimizzare qualsiasi fluttuazione “locale”.
La legge di Hubble implica un’espansione dell’universo mantenendo fissi i rapporti relativi alle distanze galattiche ma anche al tempo t = d/v impiegato a percorrere una certa distanza ad una data velocità uguale per tutte le galassie.
Tale conclusione implica che nel passato una gigantesca esplosione “Big bang” abbia dato inizio all’espansione cosmica separando tutte le galassie radunate in un unico punto. Tenendo conto che esiste un’attrazione gravitazionale tra le galassie, da un’analisi più approfondita emerge che nel passato la velocità di recessione era più alta e che la costante H non è affatto costante e che tende a diminuire continuamente.
L’universo deve necessariamente essere più vecchio del nostro sistema solare (età stimata su 4,5 miliardi di anni) ponendo dei limiti precisi alla costante di Hubble.
Esaminando gli ammassi globulari “ottimi indicatori dell’età delle galassie” le cui stelle appartengono alla popolazione II e pertanto formatesi molto presto durante l’evoluzione dell’universo, (per questo tipo di analisi occorre determinare con esattezza quando nel diagramma H-R le stelle abbandonano la sequenza principale) è possibile stimare il limite minimo di età dell’universo non inferiore a 12 miliardi di anni.
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