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L’euro e gli accordi di Bretton Woods

Ormai è più di un anno che su tutte le testate giornalistiche vengono annunciati a grandi lettere gli andamenti economici del mercato internazionale. Sulla bocca di tutti e per tutti i giorni della settimana ci si è chiesti se lo “spread” saliva o scendeva e lo slogan più in voga è stato ”fare sacrifici perché l’Europa ce lo chiede”.

 

Ma forse non ci ricordiamo che a seguito della grande depressione economica del 1929[1], quando ancora era in corso il II conflitto mondiale tutte le nazioni, alleate contro la dittatura hitleriana, stavano elaborando una serie di strategie per scongiurare il ripetersi di una crisi economica di così grandi dimensioni. E gli accordi di Bretton Woods (1944)[2] furono il primo esempio nella storia di un ordine monetario mondiale “totalmente” concordato. L’idea era quella di creare un governo mondiale dei rapporti monetari fra stati nazionali indipendenti. In pratica si trattava di accordi in campo monetario stipulati fra i rappresentanti dei 44 paesi impegnati nella guerra contro il nazifascismo. Dopo un acceso dibattito prolungatosi per tre settimane, i delegati firmarono gli Accordi di Bretton Woods, di cui poca memoria rimane nel nostro percorso scolastico di base.

Cerchiamo allora di percorrere a grandi linee la storia di questi accordi e metterne in evidenza i fatti salienti. Le caratteristiche principali di Bretton Woods erano due. Innanzitutto l’obbligo per ogni paese di adottare una politica monetaria tesa a stabilizzare il tasso di cambio ad un valore fisso rispetto al dollaro, consentendo solo delle lievi oscillazioni delle altre valute; poi, il compito di equilibrare gli squilibri causati dai pagamenti internazionali, compito che fu assegnato al Fondo Monetario Internazionale (o FMI).

Ovviamente il fondamento di quell’accordo era una fiducia comune in un sistema basato sul capitalismo[3], tanto che oltre al FMI il piano istituì la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo[4]. Nel 1947 fu poi firmato il GATT[5] (Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio) che si affiancava all’FMI ed alla Banca mondiale con il compito di liberalizzare il commercio internazionale, che, però, fu sostituito nel 1995 dal WTO[6] (Organizzazione mondiale del commercio).

Ciò che risultò più lungimirante negli accordi di Bretton Woods fu che la comunione di intenti superò di gran lunga le differenze politiche. Infatti, tutti i governi che siglarono gli accordi temevano il ripetersi del caos monetario del periodo tra le due guerre e questo timore fu sufficiente per placare gli animi e superare le divergenze.

Gli accordi di Bretton Woods diedero la speranza di superare la sconfitta completa degli anni ’30, periodo in cui il controllo del mercato dei cambi aveva minato il sistema di pagamenti internazionali su cui era basato il commercio mondiale. I progetti presentati furono quelli di H.D.White, delegato USA (che risultò vincitore) e quello di J.M.Keynes, delegato inglese. Quest’ultimo aveva già proposto nel 1942 la creazione di un’Unione di compensazione internazionale che doveva operare, appunto, come “stanza di compensazione” per le bilance dei pagamenti degli stati membri e come banca per intervenire con aperture di credito a favore dei paesi in temporaneo disavanzo. L’Unione avrebbe avuto una propria unità monetaria, il bancor, che, col tempo, avrebbe potuto sostituire l’oro come strumento della finanza internazionale[7]. Invece con il piano di White, che poi fu prescelto, venne creato, come sopra accenato, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, ma ciò che ebbe l’impatto più forte sulla politica economica mondiale fu che il dollaro venne praticamente accettato come valuta di riferimento per gli scambi[8]. Questo significava che ogni paese doveva stabilire la parità della propria valuta col dollaro, cioè con una moneta appartenente a un’economia molto forte, mentre tanti altri paesi erano appena usciti da una guerra disastrosa. Quasi nessuno Stato aveva dollari in cassa, anzi molti furono costretti a vendere le loro ultime scorte d’oro al Tesoro americano, per ottenere i dollari necessari con cui acquistare materie prime, generi alimentari, impianti industriali…

Tuttavia gli accordi di Bretton Woods favorirono un sistema liberista[9] anche se non previdero un corretto controllo della quantità di dollari emessi, permettendo così agli USA l’emissione incontrollata di moneta, fatto contestato più volte da Francia e Germania, perché in questo modo gli USA esportavano la loro inflazione, impoverendo così il resto del mondo.

Però fino all’inizio degli anni ’70, il sistema fu efficace nel controllare i conflitti economici e nel realizzare gli obiettivi comuni degli stati, sempre con le stesse immutate condizioni che l’avevano generato. Ma in seguito alla guerra del Vietnam, che fece aumentare fortemente la spesa pubblica statunitense, il sistema entrò in crisi: di fronte all’emissione di dollari e al crescente indebitamento degli USA, aumentavano le richieste di conversione delle riserve in oro. Quindi alla fine del 1971, con la dichiarazione unilaterale statunitense di inconvertibilità del dollaro in oro ebbe fine il regime di cambi fissi instaurato dagli accordi[10], che, tuttavia, nel frattempo aveva consentito uno straordinario sviluppo ai paesi che vi avevano aderito.

Pertanto nel 1971 il dollaro fu svalutato e ebbe inizio la fluttuazione dei cambi. Poi nel febbraio del 1973 ogni legame tra dollaro e monete estere venne definitivamente reciso e lo standard aureo fu quindi sostituito da un non sistema di cambi flessibili. L’assenza di un sistema monetario è stata in seguito lievemente mitigata prima dall’introduzione nel 1979 del Sistema monetario europeo (SME) e poi dalla provvidenziale introduzione nel 1999 dell’euro. Ma ormai siamo ai giorni nostri dove circola il fantasma dello spread a valle della crisi cominciata in USA già dal 2008.

 


 

[1] La svalutazione della sterlina nel 1931 e del dollaro nel 1934, dopo il crac del ’29, comportarono una brusca diminuzione del contenuto aureo di queste valute e quindi un aumento significativo del prezzo del metallo.

[2] La conferenza di Bretton Woods si tenne dal 1º al 22 luglio 1944 nell’omonima località nei pressi di Carroll (New Hampshire), per stabilire le regole delle relazioni commerciali e finanziarie tra i principali paesi industrializzati del mondo.

[3] Alla fine della guerra fu il dollaro a divenire la moneta di riferimento per i pagamenti internazionali, mentre l’Unione sovietica e i paesi satelliti si ritirarono dagli accordi. Infatti ogni paese-membro doveva versare al Fondo 1/4 della propria quota di partecipazione in oro, oppure il 10% delle sue riserve d’oro in dollari: questa clausola fece sì che il Fondo diventasse in breve tempo uno dei maggiori possessori d’oro. A queste condizioni l’Urss rinunciò alla proposta di aderire al Fondo.

[4] Detta anche Banca mondiale.

[5] General Agreement on Tariffs and Trade.

[6] World Trade Organization.

[7] Nel 1945 i 2/3 delle riserve auree dei paesi capitalisti (circa 30.000 tonnellate) erano concentrati in fondi centralizzati e di questi ben 18.000 tonnellate erano nelle mani del governo Usa. La concentrazione dell’oro negli Usa, alla fine del 1949, raggiunse il punto di massima: il 70% delle riserve mondiali, cioè circa 22.000 tonnellate.

[8] Nonostante l’inflazione, tipica dei periodi di guerra, il prezzo ufficiale dell’oro in dollari, fissato nel 1934, rimase invariato sino al 1971: questo prezzo era di 35 dollari per oncia (quindi circa 1,1 $ per grammo), corrispondente al contenuto aureo della moneta Usa.

[9] Alla fine della guerra fu il dollaro a divenire la moneta di riferimento per i pagamenti internazionali, mentre l’Unione sovietica e i paesi satelliti si ritirarono dagli accordi.

[10] A Camp David, il presidente statunitense Richard Nixon, annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro.



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