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24th
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Il vetro: l’eterno riciclo

Vorrei partire da questa premessa: la riciclabilita’ totale del vetro permette di ridurre il consumo delle materie prime e quello di energia: da 100 Kg di rottame di vetro si ricavano 100 Kg di prodotto nuovo, mentre occorrono circa 120 Kg di materie prime vergini per avere 100 Kg di prodotto nuovo; utilizzando inoltre l’80% di frammenti vetrosi nella miscela vetrificabile si ottiene un risparmio energetico del 20%.

 

In effetti, potrei chiudere qui l’articolo. Tuttavia è opportuno fare una sintesi per punti su questo prezioso materiale che da secoli ha accompagnato la storia dell’umanità nel suo cammino verso lo sviluppo ed il progresso.

Chi lo ha scoperto?

Nella fase iniziale del suo percorso tecnico scientifico l’uomo si è avvalso, per la costruzione di contenitori ed utensili, di materiali di origine vegetale come il legno, o di origine animale come l’avorio, l’osso ed il corno oppure di origine minerale, come la pietra, l’argilla, i metalli e le loro leghe, arrivando nel 2000 a.C. ad utilizzare il vetro.

Da circa 2 milioni di anni fa fino all’ultima glaciazione (8500 a.C.) l’uomo paleolitico accorgendosi che scheggiando una selce otteneva delle scaglie molto taglienti imparò a realizzare coltelli, seghe ed oggetti simili. Poi nell’età neolitica conquistò l’uso della terracotta modellando l’argilla per realizzare vasi e contenitori. Seguì la scoperta della metallurgia (VII-IV millennio) con l’età del rame, nel 3000 a. C. arrivò la scoperta del bronzo. Intorno all’anno 1000 a.C. arriva l’età del ferro.

Il vetro invece, già esiste in natura, si trova nelle meteoriti cadute sulla terra 5 milioni di anni fa. Quello più comune è l’ossidiana. Ma la storia della tecnologia del vetro si distingue in due grandi fasi quella precedente e quella posteriore all’invenzione della soffiatura nel I secolo a.C.

Il vetro è forse il risultato di una scoperta fortuita (Plinio il Vecchio nel libro della Naturalis Historia). Tuttavia altre testimonianze della più antica lavorazione del vetro ci portano in Mesopotamia dove è stata trovata una sbarra di vetro blu risalente al tardo periodo sargonide (XXIII a.C.). Mentre lo sviluppo in Egitto della produzione del vetro è attestato da piccoli vasi trovati nella tomba del Faraone Tutmosi II circa 1500 a. C.

Nelle tavolette rinvenute nella biblioteca del Palazzo di Ninive, si trova, invece, una descrizione della lavorazione del vetro (XIV-XII a.C.); nella tavoletta si illustra una ricetta per il vetro rosso. Gli ingredienti sono agglomerati di quarzo che fornivano i silicati, mentre le ceneri di una pianta non identificata forniva gli alcali. I due ingredienti venivano triturati e polverizzati poi passati al crogiuolo in proporzioni variabili. I greci ed i romani in alternativa usarono la sabbia di qualità pura proveniente dal fiume Belo sulla costa fenicia (Plinio).

I veneziani nel 1500 usavano i ciottoli del fiume Ticino, perché più puri della sabbia, comunque gli alcali di origine minerali (soda) venivano usati per abbassare la temperatura di fusione. Ma Venezia subì un duro colpo nel mercato del vetro, quando in Inghilterra fu scoperto uno straordinario vetro al piombo con un grande poter di rifrazione della luce nel 1670 circa. Fu così possibile produrre un veto resistente, rafforzato con ossido di piombo per evitare la devetrificazione, cioè la formazione di zone cristalline.

Gli occhiali

E’ noto che l’ottica è quella scienza della fisica in cui si fa grande uso del vetro. Si stima, infatti, che il vetro sia l’elemento fondante di oltre il 90% degli apparati ottici esistenti, e le sue capacità in materia di trasmissione della luce nello spettro visibile, la sua alta omogeneità, la facilità di molatura e lavorazione, l’ampia disponibilità di informazioni cui i progettisti possono attingere sui vetri esistenti spiegano questo dominio. Il costo relativamente accessibile è un altro fattore a favore del vetro, per quanto il costo complessivo dipenda anche dalla qualità del materiale di partenza: bisogna, infatti, adoperare vetri di buona qualità, per evitare di ritrovarsi in seguito con troppi scarti o con complicazioni produttive dovute a risposte non omogenee del materiale lavorato, rotture, bolle, e così via.

Per quanto riguarda il prodotto ottico più comune, possiamo dire che la scoperta degli occhiali è riportata in un passo del monaco domenicano Alessandro Spina (1313 d.C.) il quale aveva visto gli occhiali poco dopo la loro invenzione e li aveva copiati. Infatti, il 25 febbraio 1305 frate Giordano Rivalto durante una predica in S.M. Novella a Firenze, divulga: Non sono più di vent’anni da quando si è trovata l’arte di fare gli occhiali. Ed infatti nel 1317 in Venezia viene registrata una concessione a persona estranea all’arte di produrre occhiali di vetro e venderli in città.

Classificazione dei vetri

Ora, però, prima di proseguire nel nostro escursus sul vetro è utile ricordare la definizione del concetto di rifrazione: è quel fenomeno che avviene quando un fascio di luce, nel passare da un mezzo ad un altro (per esempio dall’aria al vetro), cambia inclinazione. E l’indice di rifrazione ci dice quanto varia l’inclinazione dei raggi (dello specifico mezzo)[1]. Una delle classificazioni più note dei vetri, quella tra crown e flint, si basa proprio su tale indice: si definiscono vetri crown quelli con indice di rifrazione compreso tra 1,4 e 1,53, e flint quelli in cui l’indice varia da 1,53 e 1,65.

Tipicamente i vetri vengono identificati con dei nomi che derivano dalla loro composizione, e nei data sheet dei produttori per ogni vetro si indicano diversi valori, tra cui gli indici appena citati. In particolare, un sistema di denominazione abbastanza diffuso si basa su un numero di sei cifre, di cui le prime tre si riferiscono all’indice di rifrazione e le ultime tre al numero di Abbe [2]. Sfortunatamente, però, ogni produttore usa un proprio sistema di identificazione dei vetri, quindi lo stesso vetro si può chiamare 517624 secondo il sistema delle sei cifre (sistema che, per la cronaca, si chiama MIL-G-174 perché è uno standard militare), BK-7 se prodotto dalla Schott, BSC-7 se prodotto dalla Hoya, e così via.

Tornando per un istante alla classificazione tra crown e flint citata più sopra, precisiamola: i vetri crown sono quelli poco dispersivi, tipicamente con numero di Abbe superiore a 50, ed i flint quelli più dispersivi, con numero di Abbe inferiore a 50.

Come è fatto?

Già abbiamo accennato ai componenti principali del vetro ma aiutiamoci, anche, con l’enciclopedia Zanichelli. “Vetro: denominazione generica di una sostanza omogenea e compatta che presenta una struttura amorfa e non cristallina, per cui può essere considerata un liquido con viscosità elevatissima; correntemente, materiale costituito da silicati vari di sodio, potassio, calcio, piombo (…)”. La sostanza di partenza è dunque la silice, un composto del silicio, dice ancora l’enciclopedia, e la formula è SiO2, cioè silicio più ossigeno. Ed il silicio è un elemento chimico il quale, c’informa ancora la Zanichelli, costituisce oltre un quarto della crosta terrestre.

Il vetro è riciclabile al 100% per sempre. Una bottiglia o un barattolo, se rifusi nel forno di una vetreria, infatti, diventano una nuova bottiglia o barattolo, con le stesse qualita’ degli originali, caratteristica, questa, del tutto peculiare del vetro. La storia infinita di questo materiale è scritta dentro il suo modello di produzione: produzione a circuito chiuso.

Ma non è tutto….

Oggi l’ultima frontiera è la scoperta di un gruppo di ricercatori dell’università di Milano-Bicocca: il “super-vetro”, un vetro in grado di emettere luce ultravioletta quando viene attraversato da una corrente elettrica. Il risultato, pubblicato su una delle più importanti riviste scientifiche americane, Nature Communications, è stato ottenuto in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology, MIT, e i Laboratori Nazionali di Los Alamos (USA), ed è stata possibile solo grazie agli enormi passi avanti avutisi negli ultimi anni nello studio delle nanotecnologie.

Con le nanotecnologie già possiamo avere il “Vetro termo-cromico” per regolare il flusso luminoso, ma anche il “Vetro foto-cromico” la cui trasparenza può essere regolata per via elettronica, ad esempio per la climatizzazione degli uffici del futuro.

Tuttavia, con questa tecnologia, già si realizzano i parabrezza che possono diventare resistenti ai graffi grazie a rivestimenti a base di nanoparticelle molto dure, prodotti con tecniche sol/gel; il vetro rimane totalmente trasparente in quanto le nanoparticelle sono così piccole che non disperdono la luce. Questo principio è già utilizzato nelle lenti degli occhiali, ma può essere ulteriormente perfezionato. La vernice delle automobili potrebbe avere una struttura a petalo di loto che fa scorrere via lo sporco.

Per ulteriori approfondimenti sui vari aspetti che riguardano la tecnologia del vetro si può far riferimento all’Associazione nazionale degli industriali del vetro e al CoReVe, il Consorzio di recupero vetro.

 

 


[1] L’indice di rifrazione è quel rapporto tra la velocità di propagazione nell’aria, V0, e la velocità di propagazione nel mezzo in questione, che indichiamo con V1 – e che gentilmente ci dovrebbe essere fornita dal produttore del mezzo, altrimenti non abbiamo risolto nulla. L’indice di rifrazione, ovvero il rapporto V0/V1, si indica solitamente con la lettera n; è facile dedurre che l’indice di rifrazione dell’aria è 1 (perché V0/V0=1).

[2] Indice di dispersione cromatica di materiali trasparenti.



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