La chiesa di Santa Marta si trova a Roma, in piazza del Collegio Romano, prospiciente il noto liceo classico E.Q. Visconti, a poca distanza da piazza Venezia.
Coordinate: 41.897837°N – 12.480447°E
La chiesa di Santa Marta
Le origini della chiesa di Santa Marta al Collegio Romano si datano al 1546, quando Ignazio da Loyola concepì l’idea di creare un rifugio che accogliesse le donne penitenti che, pur essendo state sposate in peccato pubblico e per questo “malmaritate”, desiderassero redimersi. L’edificio sorse accanto al Monastero delle Monache Agostiniane, sul lato sud-ovest dell’attuale Piazza del Collegio Romano.
Nel 1570 le Agostiniane acquisirono la fabbrica che trasformarono in convento consacrando la chiesa che dedicarono a Santa Marta “di Bethania”, sorella di Lazzaro e Maria Maddalena.
L’Architettura e le decorazioni
Oggi la facciata della chiesa di Santa Marta che si affaccia sulla piazza del Collegio Romano, rialzata da alcuni gradini e divisa in due ordini da un cornicione molto aggettante, è incastrata tra l’ex-convento ed un palazzo ottocentesco. Il suo assetto è il frutto della commistione tra gli elementi della facciata del Cinquecento e la riprogettazione dell’architetto Carlo Fontana avvenuta nella seconda metà del Seicento (1671-1674).
L’ordine inferiore è infatti da ricondursi alla fase cinquecentesca dell’edificio, scandita da due coppie di lesene tagliate da un fregio dorico. Tra due finestre, al centro, è il portale dorico sormontato da un timpano poggiante su due colonne in peperino rivestito di stucco. Il timpano è molto aggettante ed è movimentato dall’alternarsi della decorazione delle metope in cui alle rosette si affiancano la croce astile e candeliere; acquamonili, turibolo, aspersorio e secchiello, calice, croce astile e candeliere.
Il Fontana è intervenuto principalmente sull’ordine superiore, alzandolo anche per coprire la sopraelevazione del tetto dovuta all’inserimento di un nuovo soffitto a volta nell’interno. Egli ne mantiene alcune parti, come le lesene, ma sostituisce nella preesistente cornice marmorea a listelli la grande finestra centrale ovale in asse con il portale con una finestra rettangolare, inserisce un nuovo coronamento alzando il timpano triangolare con un attico che ne asseconda la forma, e modulando i nuovi elementi intorno allo spazio triangolare con un affresco, attribuito a Giovan Battista Gaulli detto Baciccia, realizzato in concomitanza con la facciata, rappresentante il Padre Eterno.
Ma il progetto del Fontana non ci giunge intatto poiché l’aspetto esterno della chiesa e stato sostanzialmente alterato nell’Ottocento. Alcuni documenti fotografici, infatti, registrano che l’architetto aveva inserito degli affreschi anche nelle due finestre ai lati dell’Eterno con le figure intere di due Santi, forse S. Marta e S. Agostino, oggi scomparsi e sostituiti da altre due finestre che fiancheggiano quella centrale. Anche nell’ordine inferiore le attuali finestre ai lati del portale sostituiscono delle nicchie, eliminate per fornire più luce all’interno sempre dopo la indemaniazione della chiesa.
Queste modifiche furono motivate non solo dal cambiamento della destinazione d’uso dell’edificio dopo la sconsacrazione, ma anche dalla costruzione a destra di quest’ultimo, sempre del XIX sec., di un palazzo che ha ostruito le finestre da quel lato della chiesa ed ha portato alla necessità di individuare nuove fonti di luce.
L’intervento decisivo del Fontana non riguardò solo l’esterno, ma sopratutto l’interno, che oggi possiamo visitare ripristinato dal restauro svoltosi tra il 1961 ed il 1965[1]. Durante il restauro furono ricostruite, tra l’altro, varie parti della decorazione a stucco, il soffitto ed il pavimento in cotto, quest’ultimo sostituito di nuovo nel 1996, con un paramento in marmo bianco e nero a motivi geometrici.
A partire dal 1668 le suore iniziano una serie di interventi per allargare il convento, reso insalubre a causa di un alto muro sul lato occidentale dell’edificio che impediva l’accesso della luce, ma soprattutto dal sovraffollamento che esigeva nuovi spazi per il folto gruppo di Agostiniane, arrivate a quel tempo almeno a settantaquattro. Nel “Discorso sopra la nuova Fabbrica che si fa per ampliare la N.ra Clausura” le monache presentano un piano di acquisizione delle case e dei terreni nell’isolato che viene compiuto nel 1670, sotto il governo della badessa Vittoria Scorci, che finanzia l’impresa anche con parte del proprio patrimonio privato[2].
Una volta avviato l’ampliamento dei locali di clausura le suore si dedicarono anche alla chiesa, che divenne l’opera più imponente nell’ambito della ristrutturazione.
La paternità del progetto e la direzione dei lavori sono da attribuirsi sempre al Fontana perché non sono conosciuti documenti che smentiscano il suo ruolo di architetto per le Agostiniane a partire dal 1671, mentre un’iscrizione un tempo situata sulla controfacciata, al di sopra del portale, il cui testo ci è riportato dal Forcella, indica la fine dei lavori nell’anno 1674:
TEMPLUM PIE CONSTRUCTUM DECEBAT MAGNIFICENTIA ANNO DOMINI MDCLXXIV[3]
Fontana modificò la pianta originaria inserendo lungo i lati nell’aula absidata sei cappelle poco profonde, tre per lato, fiancheggiate da pilastri a fascio con addossate lesene e semicolonne e terminanti con capitelli dorati corinzi. Sui capitelli poggiano archi e, al di sopra di un cornicione listato, lunette nelle quali si aprono finestre, coronate dalla copertura della volta a botte unghiata.
Le cappelle si aprono sulla navata per mezzo di archivolti retti da morbide volute in bianco e oro, mentre le pareti laterali sono completamente coperte da affreschi con motivi fitomorfi che richiamano tessuti ricamati, finti festoni in stucco o finte porte di comunicazione (tra le cappelle) e pannelli con intrighi di racemi contenuti da cornici in stucco dorato unite dal motivo della valva di conchiglia.
Ma vera causa dei lavori radicali all’interno della chiesa, che portarono al suo totale rinnovamento strutturale e decorativo, furono le rovinose condizioni della volta, che minacciava di crollare da un momento all’altro, tanto da impedire lo svolgimento della messa[4]. Ad offrire i fondi necessari per la riparazione della volta e la sua decorazione fu la sorella Maria Scolastica Colleoni utilizzando la rendita ereditata da suo fratello D. Gio. Pietro Colleoni morto il 2 marzo 1664[5].
È incerto il grado di partecipazione della sorella Maria Scolastica alle decisioni che hanno riguardato il progetto decorativo, ma il suo ruolo sembra essere stato attivo. Alcuni pagamenti, infatti, sono stati effettuati direttamente da Maria Scolastica e certe misure e stime indicano che ha ordinato essa stessa i lavori[6].
La volta è costituita da tre tondi allineati lungo l’asse longitudinale, ognuno contornato da quattro spicchi triangolari separati da cornici trasversali. Si tratta di una geniale soluzione illusionistica che simula la presenza di tre cupolette su pennacchi, rappresentati dagli spicchi triangolari.
Lo spazio triangolare tra i pennacchi è poi occupato da grandi valve di conchiglie dorate rivolte simmetricamente verso il basso o verso l’alto e poggianti sulle cornici delle finestre, tre per lato, che si aprono nella parte alta delle pareti della navata. Anche le cornici di queste ultime, poste alternativamente alle estremità della navata, assecondano la linea curva del soffitto in un movimento elastico che le piega verso l’esterno. E’ da notare, a proposito di queste finestre, che quelle dal lato destro sono false, chiuse sicuramente con la costruzione dell’edificio vicino.
Tornando agli affreschi della volta, unica parte dipinta dell’interno ancora in loco, troviamo un tondo centrale dipinto da Giovan Battista Gaulli (1639-1709) con la Gloria della Santa, e due tondi laterali con scene tratte dalla vita: S. Marta che vince il drago e S. Marta che resuscita un annegato attribuiti a Girolamo Troppa (1637-post 1706) ma su disegno del Gaulli. Le quattro vele intorno alla Gloria della Santa, sono dipinte direttamente dal Baciccia, ed ospitano: l’Innocenza, che stringe al petto un agnellino, la Gloria che rivolge il viso verso la scena del tondo elevando, con un gesto eloquente, la corona e la tuba, la Purezza, o Castità, affiancata da un unicorno e con una corona di fiori nella mano; la Penitenza, rappresentata come la Maddalena, con i lunghi capelli incorniciati dalla corona di spine e la croce di legno stretta nella palmo. Le allegorie sono anche un chiaro riferimento agli attributi della Santa: la Castità e l’Innocenza come simboli di verginità mentre la Gloria si riferisce alla scena rappresentata, la Maddalena ricorda che le due parti della vita mistica, l’attiva e la contemplativa, devono sempre compenetrarsi.
Il Coro di Santa Marta
Attraversata la porta che si apre nel centro dell’abside si entra in un locale dalle dimensioni identiche a quelle della chiesa, sulle cui pareti sopravvivono ancora degli affreschi recuperati nel restauro del 1965, che ha visto anche la sistemazione del locale con il rifacimento del pavimento in cotto, la tinteggiatura delle pareti[7].
Gli affreschi sono riconducibili ad un ciclo unitario realizzato forse dopo l’acquisizione nel 1561 da parte delle Monache Agostiniane delle strutture dell’istituzione intitolata a Santa Maria delle Grazie.
L’ambiente era utilizzato come coro dell’attigua chiesa consacrata nel 1570 dalle monache ed il ciclo che occupa ormai solo una parte delle pareti probabilmente ricopriva tutti i lati.
E’ interessante notare come questa decorazione rappresenti probabilmente la prima fase degli interventi decorativi degli edifici delle monache Agostiniane, che avrebbero appunto finanziato il ciclo del Cinquecento e poi, circa cento anni dopo, la ristrutturazione Seicentesca, mettendo involontariamente a confronto l’abisso stilistico e l’evoluzione dell’arte romana dalla maniera al barocco.
Partendo dalla parete di fondo incontriamo tre lunette con scene della vita di Maria: l’Annunciazione, la Madonna del Latte; la Visitazione. Le scene sono contenute da una cornice ad arco con decorazioni geometriche e fitoformi.
Sopra le tre lunette corrispondono altrettante vele triangolari rappresentanti: Dio Padre, il cielo stellato e lo Spirito Santo. Nella parete d’accesso, in controfacciata, la Crocefissione nella sovrastante lunetta e nella vela un Angelo seduto con la Corona e la lancia. Al centro del soffitto, all’interno di una cornice dipinta a greche, l’Ascensione.
I dipinti sono spesso lacunosi e mal conservati, hanno sofferto molto per restauri successivi che hanno compreso probabilmente ridipinture, sono inoltre poco studiati e non hanno ricevuto, ad oggi, un’attribuzione ma solo una generica individuazione stilistica come produzione di ambito romano e un inquadramento cronologico che li data tra il 1590 ed il 1610[8].
Al centro della volta, all’interno di una finta cornice rettangolare, più simile ad un quadro che ad un affresco realizzato confrontandosi con un’architettura, Cristo ascende tra lo stupore della Madonna e degli Apostoli, che guardano in cielo con gesti sorpresi.
I Restauri della Soprintendenza
Alla fine del Settecento la chiesa di Santa Marta e l’attiguo Coro delle monache mantenevano praticamente intatto il ricco aspetto e apparato barocco. Tuttavia nella seconda fase della dominazione francese (1799) la fabbrica rischiò di essere sostituita da un mercato coperto. Con l’incameramento da parte dello Stato italiano dei beni degli ordini religiosi, nel 1873 la chiesa e il monastero delle Agostiniane passano alle dipendenze del Ministero della Guerra diventando Caserma Pagliari (1873). La ex chiesa, in particolare, viene adibita a magazzino militare. Alla fine dell’Ottocento il Ministero della Guerra decide dapprima di effettuare pesanti lavori di trasformazione nell’ex edificio di culto, poi di demolirlo. L’esistenza di affreschi e stucchi policromi di valore artistico impongono però un coinvolgimento del Ministero della Pubblica Istruzione che non concede l’assenso alla demolizione, ipotizzando una soluzione capace di conciliare le esigenze del funzionamento della caserma con quelle della conservazione del patrimonio artistico.
Con la legge n. 648 del 30 dicembre 1906 l’ex chiesa e il convento vengono ceduti dal Ministero della Guerra a quello dell’Interno per realizzarvi la Regia Questura. L’anno successivo iniziano i pesanti adattamenti per adattarvi l’archivio della Questura Centrale.
Nel 1948 l’immobile viene ceduto dalla Questura al Provveditorato Generale dello Stato che lo utilizza come deposito per gli stampati.
Finalmente la Soprintendenza ai Monumenti del Lazio, nel maggio 1953, sottopone la ex chiesa a provvedimento di tutela (vincolo) ai sensi della legge n. 1089 del 1939.
Nel dicembre 1962 iniziano a cura della Soprintendenza (9) i lavori di restauro della chiesa che si estenderanno anche all’attiguo coro delle monache. Il progettista dell’intervento che si proponeva di restituire l’immagine originaria, compatibilmente con le alterazioni subite, fu l’architetto Aldo Grillo con la collaborazione del prof. Luigi Salerno. Il 4 gennaio 1966 la chiesa restaurata viene inaugurata dal prof. Bruno Molajoli, Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti.
Nel 1984 la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Lazio attiva una seconda fase di interventi conservativi, soprattutto per eliminare l’umidità ascendente dal terreno e le infiltrazioni meteoriche dal tetto. Questi ultimi restauri sono stati progettati e diretti per gli interventi di carattere architettonico (10) dall’arch. Pier Luigi Porzio (11); e dalla dott.ssa Rosalba Cantone e, successivamente, dalla dott.ssa Simona Antellini per gli interventi di carattere storico artistico.
Terminati gli interventi di restauro, l’ex chiesa di Santa Marta, il 31 luglio 1996 viene consegnata dalla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali che la utilizza per ospitare attività culturali.
NOTE
[1] Sala di Santa Marta, in Notizie dei Restauri, Roma 1966, p. 1.
[2] Archivio di Stato di Roma, Ordini Religiosi Femminili, Camerale III, vol. 3833, Entrate e Uscite (Anni 1669-1675), fol. 175.
[3] V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma, vol. X Roma, 1877, p. 170, nr. 275.
[4] Archivio Segreto Vaticano, Santa Marta, n. 206, tomo II, n. II.
[5] La rendita derivava da vari luoghi di montagna, censi e cinque case o stanze in case, ammontava annualmente a 343,50 scudi.
[6] Archivio Segreto Vaticano, Santa Marta, n. 206, tomo VI, n. II.
[7] Sala di Santa Marta, op.cit, p.1.
[8] S. Zizzi, schede OA, SBAS Roma, Roma 2002; G. PIMPINELLA, Note sull’iconografia di Santa Marta al Collegio Romano, in MdiR monumenti di Roma, Quaderni della Soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio e per il patrimonio storico-artistico e demoetnoantropologico di Roma, 2/2003, pp. 123-132.
9. La Soprintendenza ai Monumenti del Lazio in quell’anno è diretta dal prof. Carlo Ceschi, al quale succederà il prof. Riccardo Pacini, sotto la cui direzione nel 1966 verranno terminati i lavori di restauro.
10. La Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Lazio era diretta dall’arch. Gianfranco Ruggeri e successivamente dall’arch. Francesco Zurli
11. P.L. PORZIO, Usi impropri e minacce di distruzione: S. Marta tra fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, in R. LUCIANI, A.M. CAMPOFREDANO, F. ASTOLFI, “Santa Marta al Collegio Romano”, Roma 2003, pp. 69-75; P.L. PORZIO, S. Marta al Collegio Romano, Il recupero di un monumento tra distruzioni e restauri, in MdiR monumenti di Roma, Quaderni della Soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio e per il patrimonio storico-artistico e demoetnoantropologico di Roma, 2/2003, pp.9-18.
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