Una scena così non s’era mai vista in tutta la plurisecolare storia della Chiesa maronita. Che una donna chiedesse conto al patriarca delle sue parole, che lo costringesse a giustificarsi, era già una situazione fuori da ogni protocollo. Ma quel gesto, poi! La discussione verteva sulle controverse dichiarazioni di mons. Bechara
Rai a proposito di Hezbollah e del presidente siriano Bashar el Assad, troppo distanti da quelle del suo predecessore Nasrallah Sfeir. Durante una visita in Francia in un’intervista televisiva aveva invitato a portare pazienza nei confronti del leader siriano, da mesi oggetto di crescenti proteste popolari represse senza pietà, e a credere alla sua volontà di riformare il sistema. E aveva giustificato la pertinacia di Hezbollah nel restare l’unico partito del Libano dotato di un braccio armato. Posizioni inedite per un patriarca maronita libanese, che Rai aveva cercato poi di annacquare protestando tagli delle sue dichiarazioni e citazioni fuori dal loro contesto. Ma che nella sostanza aveva ribadito ogni volta che gliene era stata data l’occasione. Compreso in quell’incontro privato con due donne – una delle quali era Joyce Tayan Gemayel, moglie dell’ex presidente Amin Gemayel e madre di Pierre, il ministro dell’Industria assassinato nel novembre 2006 – nella sede del patriarcato a Bkirki. Alle loro rimostranze aveva replicato: «Io ho detto: “Come si può trovare una soluzione per le armi di Hezbollah?”. Hezbollah tiene le sue armi perché c’è il problema dei palestinesi e di risoluzioni ONU che non hanno trovato applicazione, ci sono territori libanesi come le fattorie di Shebaa occupati da Israele. Datemi voi una soluzione. Come si può chiedere a Hezbollah di rinunciare alle armi mentre c’è sempre il problema palestinese?». È stato a quel punto che la signora bionda che fronteggiava il patriarca non ha potuto più sopportare quello che sentiva dire. Incerta sulle gambe, bella di una bellezza martoriata, ha fatto un passo avanti e ha preso nella mano destra la croce pettorale del vescovo. Con un gesto deciso, quasi rabbioso. Ma anche solenne, sacrale. Così un testimone racconta quello che è accaduto: «Gli ha detto: “Sono i siriani che vogliono mantenere l’incertezza attorno allo status delle fattorie di Shebaa, sono loro che non firmano un trattato ufficiale in sede ONU per rinunciare ai loro diritti e riconoscerle come territorio libanese. Perché legare la sorte del Libano a quella delle fattorie? Il problema dei palestinesi, dite. E voi volete legare il destino del Libano a una risoluzione dell’ONU votata nel 1949 e che non è stata applicata fino a oggi? E mi chiedete come si può obbligare Hezbollah a cedere le sue armi?”. Ha preso dentro alla sua unica mano la croce episcopale che Rai porta al collo, e gli ha detto: “Io, quando parlavo in tv contro la presenza militare siriana nel nostro paese, non avevo alcun potere, solo la fede! E credevo in Dio e pregavo perché avvenisse un miracolo, perché lasciassero il paese. E il miracolo è accaduto, 35 mila soldati siriani hanno lasciato il suolo libanese. Non ho nessuna formula per voi, ma come Dio ci ha aiutato a liberarci della presenza militare siriana, così ci aiuterà a liberarci delle armi di Hezbollah! E questa croce che portate al collo, è lei che ha fatto il miracolo, non sta a me dare la soluzione per il miracolo”».
L’unica autobomba libanese contro una donna
La donna che ha parlato in questo modo al suo patriarca è May Chidiac, giornalista conduttrice della LBC, Lebanese Broadcasting Corporation, il principale network televisivo libanese. Per anni ha animato il più importante talk show politico e condotto il telegiornale. Senza peli sulla lingua, puntando il dito contro l’occupazione siriana del Libano prima e contro le responsabilità siriane nell’omicidio di Rafic Hariri – il premier che voleva restituire al Libano la piena indipendenza – poi. Finché un giorno qualcuno ha messo un chilo e mezzo di esplosivo dentro alla sua auto e l’ha collegato al sistema di accensione, mentre lei era in chiesa a pregare. Inginocchiata per l’ultima volta nella sua vita. Quand’è tornata al veicolo e ha cercato di ripartire l’esplosione le ha strappato un braccio e una gamba, le ha incendiato i vestiti e i capelli, le ha causato fratture in tutto il corpo. Era il 25 settembre 2005. Ha lottato tre giorni fra la vita e la morte, mentre i medici amputavano, estraevano schegge, riducevano le fratture, cucivano le ferite, prelevavano tessuto cutaneo da una parte e lo trapiantavano dall’altra per cancellare le ustioni. È sopravvissuta. Il 1° dicembre è partita per la Francia, destinazione un centro specializzato per le protesi. Il 25 luglio 2006, dieci mesi esatti dopo l’attentato, è tornata in tv con una nuova trasmissione intitolata «Con audacia». Quel giorno è cominciata la sua seconda vita pubblica, non meno turbolenta della prima. Premi giornalistici internazionali a ripetizione (il Premio della francofonia per la libertà di espressione, il Premio mondiale della libertà di stampa Guillermo Cano assegnato dall’UNESCO, il Premio per il coraggio nel giornalismo della Fondazione internazionale dei media delle donne, l’inserimento del suo nome nell’elenco degli Eroi della libertà di stampa mondiale dell’International Press Institute) e legione d’onore della Repubblica francese, ma anche rottura per ragioni politiche, professionali e personali con la LBC, con tanto di psicodramma in diretta televisiva. Creazione della Fondazione May Chidiac per la libertà di parola e dell’Istituto per i media della Fondazione May Chidiac, nomina nell’Alto comitato per la pace e il dialogo fra le culture dell’UNESCO, ma anche polemiche a ripetizione con le istituzioni libanesi, fino al drammatico faccia a faccia con il patriarca Bechara Rai.
Estratto da: “Tribolati ma non schiacciati – Storie di persecuzione, fede e speranza”
Edizioni Lindau | Collana «I Draghi» | pp. 144 (+ inserto fotografico) |
14,50 € | ISBN 978-88-6708-014-4
Rodolfo Casadei, Premio Ucsi nel 2005 e Premio Borsa di Studio Oriana Fallaci nel 2008, è inviato speciale del settimanale «Tempi», autore di reportage nelle terre del martirio cristiano e di libri su tematiche africane e di politica internazionale.
L’INDICE
7 Prefazione, mons. Louis Sako
11 Introduzione, Rodolfo Casadei
17 1. Adam e gli altri martiri di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso
Adam, Gesù Bambino crocefisso, 17
E i feriti di Baghdad giunsero al Policlinico Gemelli, 19
Il racconto dei sopravvissuti, 22
Come vennero uccisi padre Wassim e padre Tahir, 24
«Viva la Croce!», 26
Shahad, zia di Adam, 29
E Hussein il terrorista chiese perdono, 32
35 2. Aspettando di rincontrare Alfred
Gli scomparsi della «casa bianca» di Juba, 35
Sud Sudan indipendente: un po’di storia, 37
Il ruolo della Chiesa nell’indipendenza, 38
Juba: vietato fotografare, 40
Cristiani imborghesiti e testimoni del martirio, 43
L’incubo degli interrogatori notturni, 46
«Vuoi uscire di qui? L’unica via è l’Islam», 48
La catena di montaggio delle sevizie, 50
Arrestato a causa della beatificazione di suor Bakhita, 52
Paulina e le altre vedove, 56
59 3. May Chidiac, la «Martire vivente»
La donna che sfidò il Patriarca di Beirut, 59
L’unica autobomba libanese contro una donna, 61
Che fare con gli Assad, profezia o machiavellismo?, 62
Colpire una donna perché donna: la valenza politica della bellezza, 65
«Non voglio protesi, voglio la bellezza», 68
Corpo a corpo con Dio, 69
L’uomo che voleva «bere il sangue» di May, 72
«Nel paradiso di Hezbollah per le donne non è previsto nulla», 74
77 4. I resistenti di Mosul, Kirkuk e Piana di Ninive
L’esodo cristiano dall’Iraq prosegue, ma c’è chi ritorna, 77
I primi visitatori del nuovo arcivescovo di Mosul, 78
L’arcivescovo martire di una città martire, 81
E l’arcivescovo che si camuffa per dire Messa, 83
«Per non avere paura di morire bisogna sapere come vivere», 85
Cristiani iracheni controcorrente, 86
Via dalla tranquilla, criticabile Olanda, 88
Una vocazione monastica contro tutto e contro tutti, 89
Kirkuk, dove il dialogo fra cristiani e musulmani funziona, 91
Cristiani rapiti che rifiutano di convertirsi all’Islam, 92
L’unico studente cristiano dell’Università di Tikrit, 94
97 5. Prigioniero di Cristo
Il capo dei rapitori era sicuro:
«Questo qui diventerà musulmano», 97
«Dio non concede a tutti la Grazia del martirio», 98
Le discussioni teologiche con i rapitori, 100
Il drammatico commiato, 102
105 6. I mujaheddin di Cristo
La strana storia dei ribelli iraniani di Camp Ashraf, 105
Fra una protesta e uno sciopero della fame, in 300 scoprono il Vangelo, 106
«Dio abitava nella chiesa-tenda», 108
L’incubo settario e kafkiano del MEK, 110
«Gesù ha sacrificato se stesso anziché sacrificare le persone per obiettivi politici», 112
115 7. Diavolo Kony non può divorare le anime
La controversa provocazione di Invisible Children, 115
Le potenze delle tenebre all’assalto dei missionari, 116
Le vittime cristiane del Lord’s Resistance Army, 118
Dove sbagliano gli autori del video più cliccato del mondo, 120
Margaret. «Ecco io faccio una cosa nuova, non ve ne accorgete?», 122
Rachele e le sue figlie, 127
La certezza che il cuore di ogni uomo è buono, 130
Una scuola diversa dalle altre, 132
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