Nel 1901[i], nella rubrica “Rivista” del “Nuovo Cimento” nella quale si danno brevi recensioni o semplicemente si segnalano i titoli di articoli comparsi su riviste straniere quali “Philosophical Magazine”, “Annales”, “Comptes Rendus”, alcune righe sono dedicate alla nota di lord Rayleig intitolata “Osservazioni sulla legge della radiazione completa”,
da noi commentata nel capitolo precedente: in esse si riferisce come Rayleigh, utilizzando l’equipartizione dell’energia, sia giunto a una formula della densità spettrale diversa da quella di Wien. La formula di Rayleigh viene riportata direttamente con il fattore di abbattimento esponenziale introdotto a posteriori allo scopo di riprodurre i dati sperimentali alle alte frequenze.
L’anno successivo, nella stessa rubrica viene pubblicato un breve sunto[ii] della memoria di Planck del gennaio 1901 intitolata “Sulla legge di distribuzione dell’energia nello spettro normale”. Dopo la premessa: «Non riuscendo la legge di Wien di universale applicazione, l’Autore intraprende qui di modificare la propria teoria elettromagnetica dell’irraggiamento, colla quale aveva già dedotta codesta legge», si prosegue citando integralmente alcune righe dell’introduzione dell’articolo di Planck, senza tuttavia minimamente menzionare che la nuova distribuzione spettrale è dedotta discretizzando l’energia meccanica degli oscillatori in elementi ; in proposito va ricordato tuttavia che neppure Planck, nell’introduzione del proprio articolo, menziona questo passaggio della procedura seguita.
Nei volumi 2 (1901), 5 e 6 (1903) del Nuovo Cimento, sempre nella rubrica “Rivista” si segnalano i titoli di quattro articoli di Planck pubblicati sugli Annalen; nel volume 13 (1907), nella rubrica “Letteratura fisica”, sono elencati titoli di articoli, tra i quali, nel settore Calore-Teoria meccanica del calore, figura “Einstein, A., Die Planck’sche Theorie der Strahlung und die Theorie der specifischen Warme, Ann. d. Phys. J 22, 128, 1607”. [sic].
Nel volume 16 (1908) del Nuovo Cimento si comincia a cogliere il sorgere dell’interesse per la distribuzione spettrale della radiazione in equilibrio termico: esso si apre con il testo della conferenza tenuta da Lorentz al 4° Congresso di Matematici svoltosi a Roma nell’aprile del 1908[iii] [1]. In essa Lorentz – il solo fisico a fornire una lettura del lavoro di Planck in chiave quantica prima di Einstein, pur non condividendo la procedura seguita da Planck – difende la formula classica di Rayleigh e Jeans, ma parla anche della teoria di Planck. In particolare, nella parte del testo che si discosta da quello della conferenza[2], Lorenz sottolinea come le differenze evidenti tra la fisica classica e i risultati sperimentali provano che la teoria dell’equipartizione dell’energia deve essere ampiamente rimaneggiata: “si dovrà introdurre l’ipotesi di particelle irradianti, come i risonatori di Planck, alle quali, per una ragione o per l’altra, non siano applicabili i teoremi della meccanica statistica”.
E’ una conclusione evidentemente conservatrice, che fa ricadere sulla meccanica statistica la causa dell’insuccesso della fisica classica, anche se è sottolineata la necessità di una certa cautela nell’esprimere giudizi al riguardo.
A partire dal vol. 17 (1909) del Nuovo Cimento compare una nuova rubrica “Rivista” nella quale sono raccolti brevi articoli divulgativi a riferire degli sviluppi della Fisica in vari settori di avanguardia; la Redazione si augura che la rubrica possa risultare utile a destare nei lettori “il desiderio di studiare più a fondo gli argomenti appena sfiorati”[iv].
Uno di questi articoli[v], “Recenti progressi nello studio delle radiazioni di temperatura”, di A. Amerio, è suddiviso in due sezioni, incentrate rispettivamente sui concetti fondamentali dell’irradiazione termica e su alcune ricerche in campo strumentale. Nella prima, in particolare, l’autore sostiene – confermando in ciò indirettamente la tesi storiografica di Kuhn che abbiamo ampiamente illustrato nel primo capitolo – che Planck dimostrò la propria legge partendo da considerazioni di natura elettromagnetica, e ne sottolinea l’estrema solidità teorica; tuttavia non si fa alcun cenno alla quantizzazione dell’energia degli oscillatori, che pure rappresenta il presupposto della formula di Planck e che come tale è ricordata da Lorentz nella conferenza del 1908 citata dallo stesso Amerio.
Decisamente più approfondita è invece la disamina di O.M. Corbino nell’articolo “L’ipotesi atomistica dell’energia raggiante”[vi]: l’autore sottolinea anzitutto che l’ipotesi dei “frammenti” di energia è stata introdotta da Planck per la necessità di giustificare a posteriori un processo discutibile dal punto di vista della deduzione teorica, pur esprimendo benissimo i risultati sperimentali sulla distribuzione dell’energia nello spettro del corpo nero. In particolare «la deduzione teorica del Planck include una ipotesi arbitraria, introdotta quasi come anticipo provvisorio di calcolo e dalla quale trae appunto origine l’idea della costituzione atomistica dell’energia. Se quella ipotesi arbitraria è eliminata, allora, come ha dimostrato Einstein, anche la teoria del Planck conduce alla formula di Jeans…».
Corbino passa poi a illustrare l’origine dell’ipotesi “arbitraria” nella teoria di Planck, sottolineando come il fisico tedesco sia stato in un certa qual maniera “obbligato” a dividere l’energia totale in un numero finito di parti uguali e distribuirle in modo discreto tra tutti i risonatori presenti. Corbino osserva in proposito che si tratta senza dubbio di un artificio di calcolo, ma necessario, e conclude che Planck ha intravisto senz’altro la porta delle proprie deduzioni, ma che è stato merito precipuo di Einstein “averne posto bene in luce il significato”.
Un articolo di V. Polara, “Sul potere emissivo dei corpi neri”[vii], mette ampiamente in luce l’arretratezza che caratterizza il mondo scientifico italiano in quegli anni: l’autore, infatti, propone una deduzione della distribuzione spettrale scegliendo come punto di partenza una formula proposta dal fisico russo V.A. Michelson[viii][3] un quarto di secolo prima, priva di solide basi fisiche, e giungendo a trovare una formula simile a quella di Wien, che è da Polara giudicata ancora la più vicina ai risultati sperimentali, nonostante la formula di Planck abbia ormai ricevuto, in tal senso, conferme molto stringenti. Del resto anche A. Amerio, ancora nel 1911[ix], in un articolo che si occupa dei “Recenti progressi nello studio delle radiazioni di temperatura”, si limita a un fugace cenno all’emissione del corpo nero, che, secondo lui, “segue bene la legge di Wien”.
Nel 1912, ancora una volta nella rubrica “Rivista” del Nuovo Cimento, si riporta il testo di una conferenza tenuta da O.M. Corbino alla Società Italiana di Fisica sulla “Teoria dei quanti e le sue applicazioni all’ottica e alla termodinamica”[x]. In apertura l’autore sottolinea di non avere pretese innovative né in senso teorico né in senso concettuale, ma di aspirare soltanto a dare un contributo quanto più possibile divulgativo; egli passa poi ad evidenziare in che modo sia possibile risolvere la dipendenza del calore specifico dalla temperatura introducendo “l’idea della costituzione granulare dell’energia che si era presentata al Planck”, ma, il che è ancora più significativo, “come fu fatto da Einstein”. L’affermazione di Corbino è dunque rilevante in quanto sottolinea come Einstein sia stato il primo fisico a evidenziare la portata rivoluzionaria del metodo di calcolo adoperato da Planck. Nel medesimo articolo, Corbino passa a occuparsi della teoria dell’irraggiamento di Planck: innanzitutto mostra come il teorema di equipartizione porti a conclusioni assurde, quali quelle di Rayleigh e Jeans, di contro al rigore delle conclusioni che si evincono dalla legge di Planck, che implicano altresì la necessità di un’energia che proceda “per scatti”.
In chiusura dell’articolo, tuttavia, Corbino svolge alcune considerazioni “sull’ineluttabilità” della teoria dei quanti, il cui contenuto di verità intrinseca sarebbe estremamente dubbio, nonostante l’accordo con i dati sperimentali; pertanto il celebre fisico italiano si augura che si possa trovare, in un prossimo futuro, una via per “riuscire a liberare l’edificio mirabile della Fisica teorica dall’ospite nuovo così fastidioso ma così necessario”.
Altrettanta diffidenza mostra A. R. Occhialini, padre del più famoso Giuseppe, in un Rapporto presentato alla Società Italiana di Fisica nel 1913 sul tema della “Oscillazioni interatomiche”[xi], su cui avremo occasione di tornare anche nel seguito. Occhialini, pur riconoscendo che l’ipotesi di Planck è stata feconda sia per la teoria della radiazione in equilibrio termico, sia per quella del calore specifico, sostiene che essa rimane pur tuttavia “un semplice artifizio di calcolo”; in particolare lo “preoccupa” il fatto che gli elementi di energia non si presentino come fissi, ma la loro entità vari al variare della frequenza propria di oscillazione, cosa che ne rende estremamente difficoltosa la concezione. Ciò spiega, peraltro, il motivo per cui la quantizzazione del momento angolare, dove il quanto è costante e definito, operata da Nicholson e Bohr e ripresa da Sommerfeld, verrà accettata con maggiore facilità dalla comunità scientifica internazionale
Le pagine del Nuovo Cimento, a questo punto, inaugurano un lungo silenzio sull’argomento della distribuzione spettrale delle radiazione termica, silenzio interrotto soltanto nel 1926 con la pubblicazione di un articolo di G. Gianfranceschi[xii], che si occupa della “Distribuzione dell’energia nello spettro normale”. E’ estremamente indicativo dell’atteggiamento della comunità scientifica italiana, a distanza di quasi un quarto di secolo dalla formulazione dell’ipotesi di Planck, l’accoglimento nel proprio organo ufficiale questo articolo nel quale l’autore dichiara del tutto inaccettabile la discontinuità quantica, per quanto anacronistica a noi possa apparire questa sua preclusione.
Sempre nello stesso anno il Nuovo Cimento pubblica un articolo a firma di G. Polvani, che fornisce un’ampia bibliografia[xiii] sull’ “Introduzione dell’ipotesi dei quanta nella fisica” e conclude auspicandosi che il dubbio instillato dalla nuova ipotesi serva a pervenire allo scopo ultimo della fisica poiché, per dirla con Galileo, “è manifesto […] che il dubitare […] è padre dell’invenzione, facendo strada allo scoprimento del vero”.
[1] Le ultime quattro pagine del testo pubblicato su Nuovo Cimento (vedi nota n.4) si discostano dal testo della conferenza per tener conto di alcune obiezioni di Wien.
[2] Esplicitamente segnalata da Lorentz in un nota.
[3] Anche Wien nel costruire la propria formula spettrale semiempirica si era ispirato al lavoro di Michelson.
[i] Nuovo Cimento, 1, 387, 1901
[ii] Nuovo Cimento, 3, 306, 1902
[iii] Nuovo Cimento, Le partage de l’ènergie entre la matière pondérable et l’ether, 16, pp. 5 – 34, 1908
[iv] Nuovo Cimento, 17, pp. 241 – 242, 1909
[v] Nuovo Cimento, 17, pp. 247 – 256, 1909
[vi] Nuovo Cimento, 17, pp. 256 – 264, 1909
[vii] Nuovo Cimento, 18, pp. 329 – 334, 1910
[viii] Phil. Mag., 125, 425, 1888
[ix] Nuovo Cimento, 2, pp. 397 – 403, 1911
[x] Nuovo Cimento, 3, pp. 368 – 387, 1912
[xi] Nuovo Cimento, 5, pp. 452 – 470, 1913
[xii] Nuovo Cimento, 3, pp. 256 – 266, 1926
[xiii] Nuovo Cimento, 3, pp. LXXXIII – CV, 1926 (la “Rivista” ha la numerazione delle pagine in numeri romani)
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