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18th
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Comunicazione e linguaggio

Forse non ci abbiamo mai riflettuto abbastanza! Ma comunicare è uno dei modi indiretti di agire sull’ambiente. Infatti la comunicazione invita gli altri o induce gli altri a fare le cose che noi desideriamo, agendo sulle loro rappresentazioni e i loro stati mentali.

In altri termini, possiamo dire che l’azione umana è guidata da scopi che sono rappresentazioni di stati futuri ritenuti desiderati, ma molto spesso questi scopi possono essere raggiunti solo tramite la cooperazione di altre persone, pertanto è necessario creare le giuste rappresentazioni nella mente dell’interlocutore comunicando intenzionalmente con lui. Se lo scopo è convincere un’altra persona della bontà di una certa cosa, attraverso la comunicazione intenzionale si possono cambiare le rappresentazioni relative a determinate convinzioni, alla bontà o meno di una certa azione, all’opportunità di una determinata cosa e, infine, influenzare il comportamento di una persona. Però per raggiungere quest’obiettivo è necessario possedere alcune qualità. Per esempio, bisogna essere in grado di gestire perfettamente un codice (tipicamente si tratta di un codice linguistico, ma potrebbe essere anche di altra natura). Inoltre dobbiamo sapere come poter agire sulla mente altrui e modificare le convinzioni altrui cioè conoscere la “teoria della mente” ed, infine, sono necessarie le capacità strumentali per produrre/comprendere i messaggi.

Nel caso del linguaggio verbale bisogna avere una certa capacità di parlare, potere esprimere delle capacità motorie per produrre un messaggio verbale nonché sono necessarie le capacità sensoriali per udire i messaggi e conseguentemente comprenderli. A tal proposito, in psicologia, si parla di 3 caratteristiche e, cioè, il codice linguistico, l’atto linguistico e le tipologie degli atti linguistici.

Più in dettaglio per codice linguistico s’intende quella capacità che ci permette di rappresentare e comunicare le nostre idee sul mondo. Parliamo di un codice o meglio di un sistema linguistico in quanto alla produzione di messaggi linguistici contribuiscono diverse capacità che lavorano in modo integrato ed unitario. Questo significa che bisogna conoscere e avere la fonologia o le capacità fonologiche (bisogna conoscere e riconoscere i suoni della propria lingua e sapere quali suoni sono appropriati nella lingua che parliamo), la morfologia (le parole si declinano, i verbi si coniugano). La morfologia serve anche per generare parole (per es. il suffisso “–bile” serve per indicare ciò che è in grado di essere o fare qualcosa; amabile, leggibile, sostenibile,…). Poi bisogna padroneggiare il lessico (cioè tutto ciò che riguarda la conoscenza parole e del loro significato, per comprendere una frase devo comprendere prima il significato delle parole) ed infine la sintassi e la pragmatica; quest’ultima ci dice come saper usare il linguaggio nel contesto, quindi riguarda l’uso del linguaggio.

Tutte queste capacità insieme producono un messaggio comprensibile e corretto. In particolare essere abili comunicatori vuol dire conoscere le regole della pragmatica e saper usare le parole. La pragmatica è sapere usare il linguaggio per compiere atti linguistici o azioni comunicative, ossia come si diceva in premessa il concetto di comunicazione è in sé una vera e propria forma di azione[1].

Per quanto riguarda l’atto linguistico, possiamo pensare che ogni azione sociale compiuta attraverso il linguaggio può essere distinta in:

  • un contenuto proposizionale (ciò che si dice);
  • un’intenzione comunicativa (ciò che si intende);
  • un effetto prodotto sull’interlocutore.

Dicendo una frase, per esempio come: “Passami quel bicchiere!” il contenuto proposizionale è composto dalle parole, l’intenzione comunicativa è quella di una richiesta e l’effetto prodotto sull’interlocutore sarà quello di indurlo a fare ciò che si richiede.

Infine, le tipologie di atti linguistici si possono classificare in atti assertivi perché descrivono la realtà; invece quelli “verdettivi” esprimono giudizi e valutazioni (sono introdotti o sottintesi da verbi quali: ritengo, valuto, riconosco colpevole,…) del parlante su un’azione o un’idea; poi ci sono gli atti esercitivi, che esprimono quegli atti legati all’esercizio del potere (ordino, chiedo, nomino,…) a patto che siano rispettate le giuste relazioni di potere tra colui che compie l’atto e colui che ne è destinatario.

Abbiamo anche gli atti commissivi, impegnano chi parla ad una certa condotta (prometto, minaccio, mi propongo,…) e gli atti comportativi, che esprimono le reazioni al comportamento o all’atteggiamento di altre persone (per esempio lo scusarsi, il ringraziare,…). Un’altra tipologia di atti linguistici sono quelli espositivi che sono atti metacomunicativi e riguardano la chiarificazione di ragioni, argomenti e comunicazioni (ora ti spiego, ora ti comunico,…) essendo atti metacomunicativi il verbo può essere sottinteso e può essere solo il tono della voce a segnalarlo.

Oggi nel villaggio globale, dove le informazioni viaggiano alla velocità della luce da un capo all’altro del mondo, poter gestire la propria comunicazione con un linguaggio appropriato è una qualità molto importante, uno strumento necessario per il “bene comune”. Infatti, lì dove non ci si intende incominciano a serpeggiare dubbi, sospetti e fraintendimenti. Non saper comunicare è una forma di ignoranza non più tollerabile. E’ proprio da questo tipo di ignoranza che nascono odio e paura dell’altro, odio e paura che sono i germi della divisione e della guerra. Pertanto, il linguaggio che si esprime attraverso il parlare ha un potere immenso. Attraverso tutte le proprietà descritte sinteticamente il linguaggio ha la possibilità di scrutare le intenzioni, mutare i cuori verso un atteggiamento piuttosto che un altro. Saper pesare ogni nostra parola, ogni nostra espressione ha un impatto nell’ambiente circostante. Imparare l’arte di parlare è un mestiere che dura tutta la vita!

 


 

[1] In “Atti linguistici”(1969), J.R. Searle (Professore di filosofia all’Università della California, a Berkeley) sviluppa l’analisi del suo maestro J.L.Austin (1952) dell’intenzione comunicativa. L’oggetto dello studio sono quelli che Austin ha definito atti illocutivi, cioè gli atti che consistono nel dire qualcosa. Per fare un esempio, esaminiamo le seguenti frasi: a) Sam è un fumatore, b) Sam fuma ogni tanto? c) Sam, fuma ogni tanto! d) Vorrei che Sam fumasse ogni tanto. Queste frasi hanno tutte lo stesso “contenuto proposizionale”, eppure differiscono nella loro “forza illocutiva”. Da questo punto di vista le possiamo definire, rispettivamente: a) Un’affermazione, b) Una domanda c) Un ordine, d) L’espressione di un desiderio.



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