Ogni nostra Regione ha un suo insieme di lingue proprie ed intime che DEVONO essere preservate. Il Dialetto discende da tempi antichi. Concentriamo la nostra attenzione sulle lingue che, prima della conquista della nostra penisola da parte di Roma, erano parlate nelle regioni della nostra penisola, e di cui alcune derivazioni ancora rimangono nei dialetti locali. I principali di essi erano:
Ligure in Piemonte e Liguria;
Gallico in Lombardia ed Emilia;
Venetico nel Veneto e Venezia Giulia;
Etrusco in Toscana e parte della Campania;
Umbro in Umbria;
Latino nel Lazio (Latium);
Osco in Campania, Basilicata, Puglia e Calabria;
Siculo in Sicilia.
Possiamo ancora ricordare il fenicio o punito che era parlato in Sardegna, sostituendosi al cosiddetto paleosardo (sardo antico) a seguito della colonizzazione fenicia del XIV-XIII secolo a. C., mentre non possiamo non dare particolare risalto al greco che, per le colonie della Magna Grecia formatesi nel IX-VIII secolo a. C., si era diffuso lungo le zone costiere pugliesi, calabre e siciliane, persistendovi anche secoli dopo la conquista romana e tuttora in alcune isole linguistiche. Questi dialetti seguirono naturalmente gli eventi delle popolazioni che li parlavano: col passar dei secoli con esse si spostarono o sparirono come l’etrusco, l’osco, il gallico, il ligure, oppure si diffusero ed affermarono come il latino. Abbiamo detto col passar dei secoli e infatti bisogna notare che ancora nel III e II secolo a. C. quasi tutti tali dialetti erano normalmente parlati e solo al tempo di Augusto, cioè all’inizio della nostra era, si può dire che fossero scomparsi o ridotti, senza importanza, a limitatissime zone.
Influenza delle varie lingue sul latino
Saremmo indotti a pensare, conoscendo i sistemi di conquista degli antichi popoli, che anche i Romani usassero imporre ai vinti, con le loro leggi, la propria lingua. La diffusione del latino, sia in Italia sia poi in tutte le altre province dell’impero, non avvenne invece in pochi anni per imposizione del vincitore sul vinto, ma fu un graduale, lento fenomeno di reciproca assimilazione. Più che non alla conquista vera e propria dobbiamo darne il merito alla politica di colonizzazione romana: la distribuzione delle terre ai soldati veterani, quale premio per il lungo servizio da loro prestato in guerra, oltre a garantire una certa sicurezza politica alle nuove province, lasciava sul posto migliaia di soldati-agricoltori che parlavano il latino, o perché era la loro lingua-madre o per averla imparata ed usata per tanti anni sotto il servizio militare. L’amministrazione locale, il commercio, i rapporti umani venivano quindi svolti in latino, ed anche la popolazione locale, in successive fasi, trovò più comodo abbandonare la lingua natia per adottare la nuova.
Abbiamo già visto, nell’introduzione a questo studio, come la lingua del popolo, e poi di conseguenza quella letteraria, tenda ad assimilare parole ed espressioni dalla parlata delle popolazioni vicine e soprattutto dei conquistatori. Per il medesimo fenomeno, anche la lingua di questi ultimi normalmente assorbe da quella del paese conquistato un certo numero di vocaboli, particolarmente quelli che si riferiscono a piante, forme del suolo, animali, usi e costumi tipicamente locali.
Lo stesso fenomeno, che i filologi chiamano sostrato (cioè, letteralmente, ciò che sta sotto), avvenne naturalmente anche quando la lingua latina si diffuse nelle regioni assoggettate, prendendo il sopravvento su quella primitiva. Specialmente dall’osco, dall’umbro, dall’etrusco, dal gallico, dal celtico molte sono state le parole importate nella lingua latina e da questa successivamente trasmesse al nostro italiano.
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