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Vietato “non toccare” – museo tattile statale omero di Ancona

Il professor Aldo Grassini, fondatore e direttore del Museo Tattile Statale Omero di Ancona, riprende, ridimensionandolo, il concetto di arti visive: non basta vedere per fare un’esperienza estetica. In conseguenza di ciò forse è davvero errato parlare di mere arti visive. Semplicemente esistono delle arti che escludono gli altri sensi dalla propria percezione, ma sono solo la pittura e la fotografia. In tutte le altre arti la vista o non ha alcun ruolo (la musica, la poesia) o ha un ruolo associato a quello degli altri sensi e non per forza quello della vista è il ruolo predominante. Il tatto rappresenta la via alternativa più diretta alla percezione estetica del bello in campo artistico, anche se spesso tale senso è messo in secondo piano e poco utilizzato, soprattutto dai vedenti. Grassini afferma: “Vedere l’arte è un punto di vista accanto ad altri. Rispettiamoli tutti e se possibile, cerchiamo anche di integrarli e creeremo qualcosa d’autenticamente nuovo.”

Proprio a partire dallo sviluppo di questo concetto di arte multisensoriale, in Italia sono stati creati due musei che fanno di questo credo la loro base fondante, sia per i dotati di vista che possono unire all’esperienza visiva quella tattile e quella proveniente dagli altri sensi, sia per i non vedenti che hanno in questo modo possibilità di scoperta e conoscenza dei maggiori capolavori artistici del nostro Paese e non solo. I due musei in questione sono: il Museo Tattile Statale Omero di Ancona e il Museo Tattile Anteros di Bologna, quest’ultimo legato all’Istituto per l’educazione dei non vedenti “Francesco Cavazza”. La metodologia scelta da entrambi è quella di un approccio plurisensoriale che incentivi un rapporto creativo e totale con l’arte mediante la tattilità. L’unica regola ferrea vigente in entrambi questi luoghi è: “Vietato NON toccare!”

    Il Museo anconetano è stato inaugurato il 29 maggio 1993. La struttura è stata pensata e promossa dall’UIC (Unione Italiana Ciechi) e realizzata dal Comune di Ancona grazie ai generosi finanziamenti della Regione Marche. Nel 1999, con la Legge n. 452, per la sua valenza educativa unica, è stato riconosciuto del Comune come Museo Statale. Attualmente è l’unica struttura italiana di questa portata e la quarta in Europa che sia stata progettata con la specifica finalità di limitare quanto più possibile il gap culturale tra vedenti e non. Dal 2012 il Museo ha sede in un’ala dell’antica Mole Vanvitelliana di Ancona. Questa struttura, conosciuta anche come Lazzaretto, è simbolo della città. Progettata nel Settecento dall’architetto Luigi Vanvitelli, per volere del papa Clemente XII. Grazie alla sua particolare architettura pentagonale e alla sua ubicazione, nel canale Mandracchio, divenne una fortificazione difensiva nei pressi del porto. Attualmente, oltre al Museo Omero, ospita diverse iniziative ed eventi culturali della città.

Destinato prevalentemente ai minorati della vista, risulta comunque anche un utile strumento didattico per chi della vista normalmente dotato. Al suo interno hanno trovato stabile dimora circa 200 opere tra riproduzioni di celebri sculture, architetture in scala e opere originali di arte contemporanea. Tutto risulta a portata di mano.

Per quanto riguarda la scultura, inizialmente, è stata privilegiata dagli ideatori la figura umana secondo un piano di lettura non solo fisico e naturale ma anche psicologico: la lettura dei sentimenti e degli stati d’animo. Si susseguono calchi in gesso di sculture di tutti i tempi, da opere greche a quelle romane, gotiche, rinascimentali e neoclassiche. Nella maggior parte dei casi queste riproduzioni rimangono fedeli alle dimensioni degli originali.

Per l’architettura risultano molto suggestive le riproduzioni in scala di grandissimi edifici come il Partenone, il Pantheon, la Basilica di San Pietro e così via. Per la maggior parte i modelli sono in legno, materiale resistente all’usura e al contempo gradevole al tatto e sono realizzati con dovizia di particolari. La dimensione in scala non è sempre la stessa e viene scelta volta per volta in base all’architettura da riprodurre: non troppo grande poiché risulterebbe problematica l’esplorazione tattile; non troppo piccola perché sarebbe difficile riprodurne i dettagli più minuti. Heinrich Wolfflin in apertura del suo scritto Psicologia dell’architettura (1946), si domanda come sia possibile che le forme architettoniche possano esprimere qualcosa di spirituale. La risposta a questo suo quesito passa proprio attraverso l’esperienza fisica che si fa dell’architettura stessa:

“[…] forme fisiche possono risultare caratteristiche solo nella misura in cui noi stessi possediamo un corpo. Se fossimo delle identità puramente ottiche, il giudizio estetico del mondo fisico ci sarebbe precluso. In quanto uomini dotati di un corpo, che ci insegna cosa sia il peso, la contrazione, la forza ecc., collezioniamo esperienze che ci permettono di percepire le caratteristiche di altre forme.”

Inoltre Wolfflin ci ricorda che:

“Goethe a volte dice che l’effetto di uno spazio bello si deve poter provare anche attraversandolo ad occhi chiusi.[…] l’impressione architettonica, lungi dall’essere una sorta di spettacolo per l’occhio, si basa essenzialmente su di un sentimento direttamente fisico.”

Oltre a Wolfflin, anche l’architetto finlandese Juhani Pallasmaa nella sua opera Gli occhi della pelle (1936),titolo di per sé già emblematico, dopo una severa critica ad un mondo dominato dalla vista, ci ricorda che l’esperienza architettonica, quella vera, è quella multisensoriale e che la tattilità ne è l’essenza più autentica:

“Ogni esperienza architettonica tattile è multisensoriale; la qualità dello spazio, della materia e della scala sono misurate a un tempo dall’occhio, dall’orecchio, dal naso, dalla pelle, dalla lingua, dallo scheletro e dai muscoli. L’architettura rafforza l’esperienza esistenziale, il senso dell’essere al mondo, e questa è essenzialmente un’esperienza rafforzata dal sé. Piuttosto che la mera visione, o i classici cinque sensi, l’architettura coinvolge diversi regni di esperienza sensoriale che interagiscono e si fondono gli uni con gli altri.”

Durante la visita il fruitore non vedente ha anche l’opportunità di usufruire, oltre che dell’accompagnamento di personale specializzato, di uno strumento tecnologicamente molto avanzato: il walk assistant, installato nel 1998/1999, che ha il compito di guidare il visitatore lungo il percorso museale insieme ad un bastone elettrico che trasmette segnali sonori quando si avvicina all’oggetto esposto. Questa tecnologia permette quindi al fruitore di progredire lungo il percorso in totale autonomia. Dall’inizio dell’attività di ricerca su questa nuova tecnologia, in Italia, sono stati attivati diversi percorsi elettronici per sperimentarla. Quello del Museo Omero, però, è il primo esempio installato in maniera permanente e in un ambiente chiuso. A ciò si unisce la presenza indispensabile accanto alle singole riproduzioni e opere di testi in Braille che spiegano il capolavoro che si andrà ad esplorare tattilmente. Inoltre, il Museo prevede la distribuzione di audioguide ideate al medesimo scopo di accompagnamento.

Anche per i dotati della vista è possibile visitare le sale in modo diverso dal solito, sfruttando non tanto la vista quanto il tatto. È infatti possibile, nonché fortemente consigliato dallo staff museale, immergersi nella visita bendati. In questo modo anche il vedente riuscirà a “vedere” con un organo diverso dagli occhi e avrà un’esperienza diversa e complementare a quella visiva a cui è solito fare affidamento per conoscere l’arte. Toccare le opere, accarezzarle, è un esercizio di tattilità che ci dispone a interessanti conquiste sul piano cognitivo ed emozionale.

È attivo inoltre, all’interno del Museo, un servizio di educazione artistica ed estetica per non vedenti ed ipovedenti con lo scopo di offrire loro un’esperienza tattile e laboratoriale della storia dell’arte, con particolare riferimento alla scultura e all’architettura. Gli obiettivi sono in particolare: insegnare ai non vedenti a vedere con entrambe le mani (cosa per nulla scontata); insegnare a confrontarsi con quei canoni estetici sconosciuti a chi è privo di qualsiasi educazione alla fruizione dell’arte; insegnare ad interpretare tattilmente i disegni a rilievo; insegnare a comprendere le spiegazioni verbali e il materiale scritto descrivente un’opera d’arte. Tutto questo sarà particolarmente utile al visitatore quando si troverà a conoscere l’arte in loco e non in musei appositamente costituiti.

Di recente è stato creato all’interno della struttura anche un Centro di documentazione e ricerca che ha lo scopo di documentare le attività didattiche svolte nel Museo.

Di particolare interesse risulta anche l’impostazione del sito internet del Museo in quanto esso prevede tre versioni dello stesso: una per normodotati, con testi, immagini ed elementi grafici; una versione per ipovedenti prettamente testuale; una per ciechi principalmente vocale.

Tutte le attività proposte da questo Museo hanno la caratteristica fondante di essere inclusive, ovvero di mettere al centro la persona con le sue molteplici caratteristiche, e di favorire la partecipazione di tutti. Si pone così in una totale ottica di apertura e riconoscimento dell’eterogeneità che diviene normalità. Metodologicamente parlando, il fruitore viene coinvolto in prima persona, chiamato a mettersi in gioco, a reinventarsi. Con ciò, la visita diviene anche momento di partecipazione, socializzazione e creatività. Da questa prospettiva emerge nettamente la visione dell’arte del neuroscienziato Vittorio Gallese, il quale ha sempre definito l’arte partendo dalla sua dimensione sociale e vedendone in ciò il suo fine ultimo.



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1 Comment

  1. Martino Michela

    Interessante articolo volto a mettere in evidenza anche la sensibilità’ di persone apparentemente “diverse” da noi ma forse fondamentalmente molto più’ sensibili e profonde.

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