In Italia l’ipotesi euristica dei quanti di luce formulata da Einstein nel 1905 è illustrata per la prima volta da O. M. Corbino nel 1909 nell’articolo “L’ipotesi atomistica dell’energia raggiante”, da noi citato in precedenza. In esso l’Autore ricorda che Einstein ha messo in evidenza la struttura “granulare” della luce, come lui la definisce, dimostrando che l’entropia della radiazione in equilibrio termico in una cavità è analoga a quella di un gas perfetto costituito da un numero discreto di molecole che non interagiscono[*];
in particolare, egli osserva che la teoria della ripartizione discontinua dell’energia è in contrasto con la nozione corrente di etere inteso come continuo, pur se si vede quasi costretto a riconoscere che “alcuni particolari del fenomeno della ionizzazione di un gas per effetto dei raggi X[†] […] suggeriscono una concezione simile, che cioè l’onda luminosa abbia qualche cosa come di punteggiato, e non sia continua nel senso geometrico della parola”. Corbino passa poi a prendere in considerazione le conseguenze più interessanti dell’ipotesi di Einstein, tra cui le leggi dell’effetto fotoelettrico e della fotoionizzazione e la spiegazione di alcuni fenomeni fotochimici e spettroscopici. Al fondo di tutto ciò si registra comunque un certo scetticismo, motivato in particolare dalla considerazione che: «l’ampiezza vibratoria deve rimanere costante per qualche tempo, durante il quale niente viene ceduto all’etere, e a un certo punto, determinato non si sa bene da che[‡], bruscamente l’elementarquanta salterebbe dallo ione all’etere»: in una simile indeterminatezza, Corbino ritiene pertanto ingiustificato un rivolgimento teorico come l’accettazione dell’ipotesi dei quanti inevitabilmente comporterebbe.
Nel 1913 A. Occhialini[§] fa cenno alla questione dei quanti di luce, ricordando che Planck stesso rifiuta l’introduzione dell’elemento di luce, soprattutto perché metterebbe in crisi le teorie elettromagnetiche della luce pure ampiamente confermate a livello sperimentale: in questo modo Occhialini non fa che sottolineare il vero punto dolente dell’ipotesi di Einstein.
Nel 1922, in occasione del conferimento del Premio Nobel per la fisica relativo all’anno precedente ad Albert Einstein, il Nuovo Cimento pubblica una monografia sul “Fenomeno fotoelettrico”[1], corredata di un’ampia bibliografia, a cura di Eugenia Tedeschi. In essa l’autrice illustra i tentativi di trovare un’interpretazione fisica del fenomeno fotoelettrico, soffermandosi soprattutto sulle teorie di Einstein, Thomson e Richardson. Dall’ipotesi di Einstein, per la Tedeschi, discende direttamente la legge dell’effetto fotoelettrico , verificata in seguito da Millikan, anche se quest’ultimo ha comunque sempre sostenuto l’inaccoglibilità della teoria di Einstein, perché in contrasto con i risultati della elettrodinamica di Maxwell. Oltre a ciò, l’autrice si sofferma sui tentativi di Thomson e di Richardson per giungere alla formula di Einstein senza utilizzare l’ipotesi dei quanti di luce – tentativi su cui ci siamo soffermati peraltro ampiamente nel capitolo precedente. In particolare, riprendendo un’affermazione di Richardson, la Tedeschi commenta: “Ecco così confermata in altro modo l’equazione di Einstein, senza ammettere una struttura granulare dell’energia raggiante (a meno che non la si voglia vedere implicita nella formula di Wien adottata per la densità dell’energia raggiante)”, senza accorgersi che il nocciolo della questione è racchiuso proprio nella frase “confinata” tra parentesi.
Ciò detto, l’autrice conclude il proprio articolo parlando della perdurante oscurità teorica sul fenomeno fotoelettrico.
L’ultimo articolo in ordine di tempo a occuparsi della questione dei quanti di luce è pubblicato nel 1926 a firma di Enrico Fermi, e si intitola “Argomenti pro e contro la ipotesi dei quanti di luce”[2]: neppure questo giovane intraprendentissimo fisico si pronuncia pienamente a favore della teoria dei quanti di luce, che non rende conto dei fenomeni interferenziali; per quanto la teoria sia da lui enunciata in termini estremamente precisi ed espliciti. In conclusione, Fermi dichiara l’insufficienza sia della teoria dei quanti sia di quella ondulatoria, e osserva che “si capisce naturalmente come tale dualismo tra teoria ondulatoria e teoria dei quanti di luce non possa essere altro che un adattamento provvisorio”.
Ma, in considerazione del ruolo cruciale occupato da Enrico Fermi nel mondo scientifico italiano, ci occuperemo più da vicino del suo ruolo nella diffusione della fisica quantistica in Italia in un prossimo articolo.
[*] “I criteri su cui si può fondare la ricerca della legge di ripartizione dell’energia nello spazio racchiuso da un involucro conducono […] a una legge statistica, come per la distribuzione dell’energia complessiva di un gas tra le molecole, in numero discreto, da cui il gas è costituito”.
[†] Qui Corbino si riferisce in particolare al fatto messo in evidenza da J.J. Thomson che i raggi X conservano la capacità di ionizzare anche quando la loro intensità è bassissima.
[‡] La “spontaneità” dell’emissione (che ha luogo senza una causa manifesta), già affrontata nel caso di fenomeni radioattivi (v.M.G. Iannello e F. Sebastiani, La legge esponenziale del decadimento radioattivo, Physis, 29, 771, 1992) è uno degli aspetti più sconcertanti della nuova fisica.
[§] Nel già citato articolo sulle “Oscillazioni interatomiche”
[1] Nuovo Cimento, 23, pp. 133 – 173, 1922
[2] Nuovo Cimento, 3, pp. XLVIII-LIV, 1926
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