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Intervista a Tommaso Aniello d’Amalfi

Tommaso Aniello d’Amalfi, detto Masaniello, è nato a Napoli nel 1620. Dopo aver capeggiato la rivolta scoppiata a Napoli nel 1647 contro il malgoverno spagnolo, fu nominato “capitano generale”. Fu ucciso all’età di 27 anni, non si sa con certezza da chi. Negli ultimi tempi si era abbandonato a stranezze e ad atti di violenza. Si è sempre dichiarato fedele al popolo e alla monarchia spagnola.

-Hai trascinato il popolo napoletano alla rivolta: per ambizioni personali o per consapevolezza politica?
«La politica non so che cosa sia. La mia ambizione era di sollevare il capo dal fango e dall’umiliazione: io e la gente del popolo come me, da sempre sfruttata dai nobili e dai potenti».

-Com’è che un garzone di pescivendolo come te, in carcere più volte per contrabbando, può diventare un agitatore politico?
«Basta avere coraggio e dignità. Ho capitanato la protesta contro nobili e speculatori per una gabella imposta sulla frutta. Il governo spagnolo che schiacciava Napoli era già in crisi. Il viceré scappò. Era il 7 luglio 1647. Senza che me ne accorgessi, diventai un capo».

– Le tasse furono eliminate. Ma presto il popolo ti abbandonò. Perché?
«Non il popolo, soltanto pochi traditori prezzolati dal viceré».

– Qualcuno insinua che sei diventato matto. È vero?
«Qualche stravaganza l’ho fatta: sono sempre stato un po’ allegro. Però pazzo, no. Il fatto è che di politica non sapevo niente e mi hanno usato come un burattino».

-Chi ti ha ucciso?
«Non lo so, e nemmeno mi interessa. Mi hanno fatto solenni funerali e la rivolta è dilagata nelle altre province».

-Vuoi dire che la tua ribellione non è stata vana?
«Sono diventato un eroe popolare, simbolo di libertà, nel mio secolo e dopo».

 

«Non mi dite di far questo e poi quest’ altro: io tengo una capa sola».
( Tommaso Aniello d’Amalfi)



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