Intervista a Claudio Tomaello
(vedi trailer di presentazione e alcuni commenti qui e qui)
L’ho visto a Teatro cimentarsi nella recitazione di fiabe, con quel suo modo di esibirsi assai originale e senza effetti speciali. Racconto appassionato e poi interpretazione archetipica, straniante e affascinante, ma semplice ed essenziale. Claudio Tomaello non è solo un narratore teatrale, ma anche un saggio esploratore di paesaggi interiori, di linguaggi simbolici della psiche, di strade della fiaba. E poi è tanto altro ancora come emerge dalle sue stesse parole.
In quale momento della tua vita hai deciso di occuparti di Fiabe?
«Io, all’inizio, non ho deciso niente, sono loro che mi sono venute incontro. Hanno scelto un giorno d’estate del 2006, in Finlandia. Mi trovavo in mezzo a un bosco, tra laghi e pini, con lo zaino, una mappa e la voglia di scoprire il Nord. Era da tanto che avevo sognato quel viaggio in solitaria e, quel giorno, stavo raggiungendo il Circolo Polare. Mentre camminavo, mi venne in mente una fiaba che avevo ascoltato da poco e iniziai a raccontarla. Non era un problema il fatto che fossi solo, da subito infatti mi fu chiaro che ero io il pubblico e che quella fiaba, in realtà, mi stava dicendo: “Claudio, questo devi fare nella vita: raccontare storie”. Io subito opposi resistenza (in fondo, non avevo mai fatto niente del genere e non avevo la più pallida idea del modo in cui avrei potuto), però sentii nitidamente che quella fiaba stava versando acqua viva sul seme della mia vocazione e allora decisi: avrei fatto di tutto per permettere a quel seme di germogliare».
Oltre che di Fiabe, ti occupi di Psicosintesi. Quale filo comune collega questi due tuoi interessi?
«La Psicosintesi è una corrente psicologica, che si ispira ai principi della psicologia umanistica, tesa allo sviluppo armonico della personalità, come totalità bio-psico-spirituale, ed a favorire un contatto con i livelli superiori della psiche. Io l’ho incontrata una ventina d’anni fa, in uno dei momenti più bui della mia vita: tutto era andato a rotoli – l’amore, il lavoro, la casa – e io non sapevo come ripartire. Un terapeuta formato in Psicosintesi mi ha dato un aiuto fondamentale e questo approccio mi è piaciuto così tanto che ho poi fatto il percorso triennale per diventare counselor.
Durante gli anni di formazione non era ancora sbocciato in me il desiderio di diventare narratore, ma la Psicosintesi senz’altro è stata un humus importante perchè mi ha fatto scoprire il mondo degli archetipi che è esattamente quello che vive nelle fiabe».
Nella tradizione russa, “Ivan lo scemo” è il figlio minore, come il figlio del mugnaio che, nella Fiaba “Il gatto con gli stivali”, eredita il gatto. Qual è il ruolo del figlio minore nella Fiaba?
«È un ruolo archetipico. E benedetto.
Tipicamente i primi due fratelli sono saccenti, ovvero credono di sapere, e questo è l’atteggiamento peggiore che ci possa essere in un cammino di crescita: se credo di sapere già, non farò mai spazio a qualcosa di nuovo. Il terzo fratello, invece, è sempre il più misero, il più povero, quello spesso considerato più stupido. Ma è puro di cuore e gentile d’animo e alla fine sarà proprio lui l’eroe.
Questa è la benedizione che ci donano le fiabe: ogni volta che ci sentiamo come il terzo fratello, deboli, impauriti, falliti, le fiabe ci vengono incontro dicendoci: “Bene!, allora vuol dire che hai tutte le carte in regola per diventare l’eroe della tua vita!”».
Ti consideri un essere libero?
«No, mi considero in cammino verso la libertà. Sono ancora pieno di condizionamenti, ma ho imparato a vederli come dei passaggi necessari per avere accesso a parti di me via via più profonde. Mi è sempre più chiaro che libertà non è fare ciò che si vuole, ma è un cammino verso se stessi che richiede una grande disciplina.
Bisogna qui fare una distinzione importante: la vera libertà per me è quella dell’Io e non quella delle altre mie parti. Noi, infatti, siamo molteplici: dentro di noi, oltre all’Io, ci sono altre parti che la Psicosintesi chiama sub-personalità (per esempio la sub-personalità giudicante, quella depressa, quella isterica, ecc.). Ogni sub-personalità ha dei propri desideri, spesso contrapposti a quelli delle altre e questo dà luogo ai conflitti interiori che viviamo.
Libertà è far sì che il Re del nostro Regno interiore sia l’Io e non una sub-personalità. La libertà, quindi, implica un percorso interiore di liberazione dai propri condizionamenti: è un viaggio a volte duro, che richiede una disciplina amorevole verso se stessi, ma è anche il viaggio più bello che ognuno di noi possa compiere».
Secondo Saint Germain “IO SONO DIO”: nel passato, nel presente o nel futuro?
«Per collegarmi alla domanda precedente, “Io sono Dio” se prima “Io sono Io”, ovvero se riesco ad essere pienamente sovrano del mio Regno interiore; allora avrò a disposizione anche tutte le mie facoltà divine.
Per il momento siamo nel “già, ma non ancora”, siamo già divini ma non ancora pienamente. Siamo un dio in divenire, un Io in crescita, ma abbiamo già la meravigliosa possibilità di vivere la nostra divinità: accade quando per amore creiamo qualcosa di nuovo; in quel momento siamo già “dei”.
Siamo come una goccia d’acqua: eravamo nel Mare, siamo evaporati in nuvole, precipitati in pioggia, corsi in rivoli di torrente, per ritornare al Mare. L’inizio e la fine del percorso – il Passato e il Futuro – coincidono, senza però essere uguali. Il viaggio, infatti, – ovvero la somma dei singoli momenti presenti – permette alla goccia d’acqua di fare un grande cambiamento: diventare sempre più consapevole di se stessa. E allora il Mare finale sarà diverso da quello iniziale perchè sarà un Mare di gocce coscienti».
Credi nella Legge di Causa – Effetto o sei piuttosto orientato al futuro?
«Nel capovolgimento di prospettiva che il Mondo Spirituale sempre si diverte ad attuare rispetto ai nostri processi mentali, mi piace pensare che la Causa di ciò che viviamo sia nel futuro: siamo chiamati a diventare divini e quindi il Mondo Spirituale, dal futuro, ci invia le esperienze che ci servono per crescere in quella direzione. Poi, ovviamente, siamo anche il risultato delle nostre azioni passate. Queste due visioni non le sento in contraddizione, anzi, le vedo incontrarsi nel momento presente: in esso dal futuro mi arriva un evento che, grazie a ciò che ho imparato dal passato, posso vivere per diventare sempre più me stesso».
Cosa ci spinge a partire per realizzare un Sogno?
«Partiamo per amore o per dolore; perchè il Sogno che abbiamo dentro è troppo bello e grande e vuole uscire oppure perchè la crisi
che attraversiamo è così nera che non abbiamo più nulla da perdere. Nella fiaba “I musicanti di Brema”, l’asino segue il suo sogno di entrare a far parte di una banda musicale dopo che il suo padrone voleva accopparlo perchè ormai era diventato troppo vecchio per lavorare. Allora fugge, si ritrova in mezzo alla strada e lì, improvvisamente, si ricorda del sogno che aveva sempre avuto da piccolo. E decide di seguirlo. Anche se è un sogno folle, egli parte. E, alla fine, lo realizzerà, pure se in una forma diversa: incontrerà un cane, un gatto e un gallo come compagni di viaggio e, insieme a loro, farà un grande concerto per far fuggire dei briganti.
Adoro questa fiaba perchè ci mostra due aspetti fondamentali. Il primo è che se seguiamo il nostro sogno, non saremo soli; il secondo è la consapevolezza di non attaccarci alla “forma” del Sogno, perchè essa potrà cambiare (anzi, è normale che cambi), ma la sua essenza resterà immutata.
Se mi guardo indietro, uno dei miei Sogni è sempre stato quello di comunicare a tante persone la bellezza di vivere secondo i valori dello Spirito; da bambino pensavo di realizzarlo diventando un supereroe che salvava il mondo riportandovi giustizia e amore, da adolescente diventando un calciatore famoso che, durante le interviste nel dopo partita, trasmetteva valori di pace e fratellanza. Quello che sono diventanto, invece è un narratore teatrale che racconta storie di liberazione dagli incantesimi: la forma del Sogno è cambiata ma l’essenza no».
Quanto sono importanti le “relazioni” in ambito Fiabesco?
«Nelle fiabe l’eroe non fa mai tutto da solo, viene sempre sostenuto da una rete di relazioni più o meno importanti che lo aiutano nell’impresa. Anche gli “ostacolatori”, in fondo, fanno parte di questa rete in quanto grazie allo scontro con loro l’eroe scopre in sè forze che all’inizio non pensava di possedere.
Le grandi fiabe concordano su un punto: se parti, l’aiuto arriva sempre. Tipicamente giunge in una forma inattesa (un rospo, una vecchia, ecc.), ma non può non arrivare. E lo stesso può accadere anche nella nostra vita: se facciamo la nostra strada, l’aiuto arriva sempre. E l’aiuto passa sempre attraverso una nuova relazione».
Quando ti sei appassionato alla lingua ebraica?
«Dopo un viaggio in India. So che suona strano, ma è andata così. Nel 2007 feci un bellissimo trekking nella parte himalayana dell’India: paesaggi sterminati, incontaminati e meravigliosi, che ti aprivano alla contemplazione. Visitai diversi monasteri buddisti, restando affascinato dalla fede che si sentiva vibrare in quei monaci, tanto che mi nacque il desiderio profondo di trovare anch’io una simile connessione con il Divino. Solo che mi fu immediatamente chiaro che io non ero in grado di seguire la loro via: aveva concetti e modalità troppo distanti da me. Quindi quando tornai a casa, cercai un modo a me consono, chiedendomi: quali sono le mie radici? Le radici del mio mondo in quale terra affondano? In questo modo sono arrivato alla lingua ebraica.
Ricordo che trovai in libreria un volume di Annick de Souzenelle (un’autrice che non ringrazierò mai abbastanza per tutto ciò che mi ha donato attraverso i suoi libri) che parlava di quella lingua. Sfogliandolo vidi molti segni strani e non ci capii quasi niente, ma la sensazione che avevo dentro di me era chiara: quei segni avevano tante cose da raccontarmi».
Perché la narrazione biblica è così importante per te?
«Io amo le storie e la Bibbia, in fondo, è una collezione di storie. Le chiavi per entrare in esse sono più complesse di quelle che valgono per il mondo delle fiabe ma poi i messaggi che trovi sono altrettanto potenti e meravigliosi.
Le lettere ebraiche sono delle ballerine, stando di fronte ad esse assisto a danze sempre nuove. Una di quelle che amo di più è legata al nome “Adam”. Questo termine, secondo una certa visione, non si riferirebbe tanto al primo uomo quando ad ognuno di noi, Adamo è il nome di ogni essere umano. Al centro di questo nome troviamo la lettera “d” che rappresenta una porta: quindi compito di ogni essere umano è quello di attraversare porte, passare da un livello di coscienza ad un’altro, da un’esperienza a un’altra. E se riusciamo ad aprire quella porta, ovvero se in termini di lettere togliamo dal nome “Adam” la lettera “d”, ciò che resta è un termine di significa “madre”. Quindi, compito di ogni uomo è quello di attraversare porte e, facendolo, accorgersi di essere madre, ovvero di essere chiamato a creare per amore».
Come ti è venuto in mente di associare la Biodanza di Paolo Bressan alla Fiaba?
«Non l’ho pensato a priori, è stata la Vita ad anticiparmi con i suoi accadimenti. Essa mi ha fatto conoscere Paolo tre anni fa. Quando ho incrociato il suo sguardo ho percepito chiaramente che avevo ritrovato un Antico Fratello, compagno di altre vite. Ed entrambi abbiamo sentito il desiderio di fare qualcosa insieme. Così è stato naturale provare ad unire i nostri due linguaggi – le fiabe e la biodanza – che sono apparentemente molto lontani ma che abbiamo scoperto essere perfettamente complementari: il pensare e il sentire, stimolati dalle fiabe, si incarnano nel corpo grazie alla danza, con risultati che ci lasciano ogni volta stupiti e meravigliati per la potenza e la bellezza di ciò che questo connubio crea in chi lo vive».
Come è nato l’incontro con Stefano Bonato con il quale conduci degli Spettacoli Teatrali di narrazione e musica?
«La storia del nostro incontro ha caratteristiche da fiaba: abbiamo vissuto per vent’anni nella stessa cittadina, a 500 metri di distanza, senza mai vederci. Poi, circa 7 anni fa, un caro amico che avevamo in comune ha insistito così tanto per farci conoscere (convinto com’era che la mia voce e la chitarra di Stefano erano destinate a trovarsi) che, pur di accontentarlo, abbiamo organizzato l’incontro. E da lì è nato un connubio umano e artistico molto profondo, che mi ha permesso di imparare tanto e di creare e mettere in scena diversi spettacoli di narrazione teatrale (vedi qui il sito di riferimento). La musica di Stefano non è un semplice accompagnamento ma diventa a tutti gli effetti un soggetto narrante delle storie, che sono quindi tessute di parole e musica».
Quando ti sei avvicinato a Rudolf Steiner, cosa ti ha attratto del suo mondo?
«Una serie di circostanze hanno fatto sì che mi avvicinassi alla Scienza dello Spirito di Rudolf Steiner. Da un lato il percorso di formazione di mia moglie, che è insegnante, e dall’altro l’incontro con Fausto Carotenuto, fondatore di Coscienzeinrete. Fausto è stato uno degli incontri più importanti della mia vita, grazie a lui ho acquisito strumenti per rendere la Spiritualità concreta e attuabile nella quotidianità; la mia mente ha trovato un senso, il mio cuore un abbraccio caloroso e la mia volontà una forza che non credeva di avere».
Cosa narrano i racconti: concetti o gesti?
«Io sono una persona mentale e, in passato, ho lavorato molto sui concetti: mi affascinavano ma, allo stesso tempo, mi rendevo conto che faticavo a renderli concreti, era come se restassero sospesi in aria. Poi ho incontrato le fiabe e l’ebraico biblico; entrambe queste realtà si fondano sui gesti. Le fiabe non spiegano concetti ma raccontano gesti; allo stesso modo le lettere ebraiche non sono mentali ma richiamano parti del corpo, oggetti fisici.
Finchè il nostro pensare non ha raggiunto una matura consapevolezza, un concetto è per sua natura sfuggente; un gesto invece è concreto e tutti ne abbiamo avuto esperienza. Il miracolo che accade è che, se partiamo dai gesti, essi poi ci svelano dei concetti, incarnandoli e, quindi, rendendoli più concreti e comprensibili. Io posso passare ore a filosofeggiare sul concetto di amore, ma posso anche partire dal gesto di un bacio, sentirlo nel mio corpo, starci in compagnia: a poco a poco quel gesto mi rivelerà aspetti importanti del concetto di amore.
Quando scrivo un nuovo testo, tipicamente ho all’inizio la tentazione di partire dai concetti ma, altrettanto tipicamente, mi areno. Se invece lascio spazio ai gesti che mi vengono in mente, non devo far altro che seguirli e vedere dove mi portano: sono essi che scrivono la storia e, se mi fido, alla fine mi porteranno in terre interiori dove ci sono concetti che altrimenti non avrei trovato».
La felicità che si raggiunge nella Fiaba è lo scopo stesso della Fiaba o una sua conseguenza?
«Grazie a una breve storia che ho incontrato qualche anno fa e che racconto in un video (vedi video), ho compreso una verità per me fondamentale: lo scopo della mia vita non è la felicità. Io sono al mondo per far fruttare i talenti che mi sono stati donati e per diventare sempre più capace di amare consapevolmente. Se oriento la mia vita in tal modo, ecco che inevitabilmente accade il miracolo della felicità. E quindi la felicità non è l’obiettivo della vita ma la conseguenza di averla vissuta appieno. Le fiabe risuonano con tale andamento: il risultato finale (“… e vissero felici e contenti”) non era lo scopo dell’eroe ma è la naturale conseguenza del suo viaggio, la naturale conseguenza dell’aver fatto la propria strada».
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