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L’oblio e i suoi sette peccati capitali

Tutti noi ci imbattiamo quotidianamente in una qualche forma di dimenticanza, nostra o degli altri, con conseguenze più o meno importanti sulla qualità della vita.

E’ noto che il tempo cancella le tracce, come affermato già da Ebbinghaus[1] nel 1885, che descrisse la relazione tra il trascorrere del tempo e perdita delle informazioni in memoria; in altri termini il fattore più ovvio che determina l’oblio è il passare del tempo (curva dell’oblio).

L’oblio è definito come dimenticanza assoluta e duratura, tanto che bagnandosi nel fiume dell’oblio, il mitico Lete, si perdeva la memoria. Cosicchè l’oblio è considerato dall’opinione comune come semplice perdita di informazioni e, come tale, un fatto tendenzialmente negativo perché associato al deterioramento della mente.

L’oblio è l’aspetto complementare della ritenzione. Quanto più quest’ultima è profonda tanto più l’informazione è resistente all’oblio. Gli esperimenti hanno mostrato che la ritenzione cala rapidamente all’inizio e, molto lentamente dopo le prime 9 ore. Oggi, è generalmente riconosciuto che il decremento che si osserva nella curva dell’oblio di Ebbinghaus è troppo rapido, probabilmente la causa è da ricercarsi nel fato che lo scienziato usava un solo soggetto, se stesso, e che, quindi, doveva essere sottoposto a uno sforzo notevole per apprendere migliaia di sillabe senza senso necessarie per condurre l’esperimento.

Tuttavia, questa curva, non descrive come le persone dimenticano in tutte le circostanze. Ci sono grandi variazioni nella quantità e nella qualità dell’oblio.

Molto dipende dal tipo di informazione che si deve ricordare, dal tempo impiegato per apprenderla e dalle condizioni di recupero. Molto dipende anche dalla motivazione personale.

Studi recenti suggeriscono che l’oblio che si osserva con il passare del tempo, viene meglio descritto matematicamente da una funzione potenza, cioè il tasso di oblio diminuisce con il passare del tempo.

Secondo la teoria dei livelli di elaborazione dell’informazione, l’elaborazione profonda porta ad una codifica più ricca che a sua volta dovrebbe portare ad una migliore ritenzione.

La strategia più comune per immagazzinare l’informazione:

– è la ripetizione o reiterazione come ripetere un numero di telefono per ricordarlo;

– o la rielaborazione della struttura (reiterazione elaborativa) per integrare l’informazione nuova con conoscenze pregresse.

Per esempio:

per ricordare la serie di cifre 4 5 8 9 1 8 7 0, anziché ripetere cifra per cifra, è possibile ricodifcare la serie così: 45 (guerra mondiale), 89 (muro di Berlino), 1870 (Porta Pia):

–        nel primo caso la reiterazione non porterà ad una ritenzione a lungo termine,

–        nel secondo caso la reiterazione elaborativa ci permetterà di ricordare questi numeri per molto tempo.

Dagli studiosi, però, sono state sviluppate molte teorie che cercano di descrivere le possibili cause dell’oblio, per esempio:

–         per mancata reiterazione;

–         per eccessiva velocità con cui le informazioni si susseguono le une alle altre (la mente nel gestire un notevole afflusso d’informazioni compie un’ottimizzazione organizzando gli input ma lo fa così velocemente che, dovendosi adattare prima possibile al flusso, non imprime in profondità le informazioni stesse);

–         per interferenze tra informazioni che presentano similitudini; meccanismo che può essere retroattivo quando nuove informazioni cancellano le vecchie oppure proattivo quando le informazioni acquisite ostacolano la ritenzione di altre riferibili agli stessi “oggetti”;

–         per “cognizione distribuita” (Norman[2] 1988 – Hutchins 1995.) Ad un livello debole l’oblio può essere considerato come la semplice cessione delle conoscenze ad un altro organismo o entità. In questo caso le conoscenze non sono cancellate ma si incarica un altro sistema di assumersi l’onere della loro gestione. Si tratta, appunto, dell’approccio “distributed cognition” che analizza e prospetta situazioni in cui le conoscenze sono patrimonio sia dell’artefatto sia dell’operatore;

–         per meccanismo di difesa (ambito puramente psicoanalitico).

Inoltre sono stati enucleati diversi gradi di oblio a seconda del tipo di conoscenze cioè “conoscenze dichiarative” per cui l’oblio è spesso necessario e “conoscenze procedurali”.

Infine si parla anche di oblio proattivo (Bowker[3], 2000) quello che discrimina due forme:

a) clearence (ostacolo nel recupero di informazioni obsolete) e

b) erasure (cioè la mente fa una selezione nell’acquisizione e nel mantenimento di informazioni nel presente.) Si parla cioè di Dissonanza Cognitiva (altro modo di riferirsi oblio proattivo) ovvero il rifiuto “automatico” di informazioni contrastanti con il proprio sapere.

Secondo le attuali conoscenze, l’oblio può risultare negativo quando vi è una modifica inconsapevole di conoscenze valide o quando vi è un fallimento nel recupero dell’informazione o più semplicemente quando viene cancellata un’informazione ancora valida. Ma vi è anche un oblio positivo quando ciò che è stato acquisito interferisce con nuove conoscenze più adeguate o più valide, oppure ciò che sappiamo è diventato inutile e/o necessità di troppe risorse cognitive di mantenimento.

In questo breve escursus sull’oblio, è utile ricordare che esiste anche un’altra interpretazione del concetto di dimenticanza; infatti, ci sono studiosi che credono che non ci sia alcuna prova convincente che l’oblio esista davvero.

Sebbene, le prove sperimentali a nostra disposizione sembrino indicare esattamente il contrario, questi studiosi sono convinti che la traccia dell’informazione non sia persa, ma solo temporaneamente inaccessibile.

Addirittura alcuni scienziati ritengono che una larga parte dell’informazione, come ad esempio le regole aritmetiche o le capacità motorie, venga conservata in modo permanente in un ipotetico sistema di memoria denominato “permastore”, magazzino permanente.

Questa visione dell’oblio differisce in modo sostanziale da quella avanzata dalla teoria del decadimento e dell’interferenza, in quanto sostiene che tutti i nostri ricordi permangono nella memoria a lungo termine (LTM), e che l’oblio non è altro che un fallimento, spesso solo temporaneo, nel recupero. Le tracce di memoria quindi sarebbero disponibili, ma temporaneamente non accessibili.

L’accessibilità dell’informazione dipende dalla presenza nell’ambiente, nel contesto di recupero, di appropriati suggerimenti (cue), che riattivano il ricordo.

Dopo gli studi di Tulving[4] e Pearlstone del 1966, molte altre ricerche hanno dimostrato che le informazioni non sono semplicemente ricordate o dimenticate. Informazioni temporaneamente non rievocabili possono essere facilmente ricordate in momenti successivi, in relazione a modificazione del contesto ambientale.

Un fenomeno comune nella vita quotidiana si riferisce ai casi in cui non riusciamo a recuperare un’informazione, per es. il nome di qualcuno o il titolo di un film o l’autore di un libro. Eppure, noi sappiamo di possedere quell’informazione, l’abbiamo sulla punta della lingua. A riprova del fatto che essa è disponibile ma temporaneamente non accessibile. In moti casi, il contesto di recupero si rivela fondamentale. Ricordiamo che questo è alla base del meccanismo di elaborazione appropriata al trasferimento.

Data l’evidente rilevanza che questi fallimenti hanno nella vita quotidiana, non deve sorprendere che abbiano attratto l’attenzione degli studiosi per decenni. Ciò nonostante, a tutt’oggi ci sono stati pochissimi tentativi di sistematizzare, di classificare, i modi in cui la “memoria perde colpi”.

Recentemente, 2001, Schachter[5] ha suggerito di suddividere i diversi fallimenti di memoria in 7 errori fondamentali.

I primi sono la transitorietà, la distrazione ed il blocco mentale. Sono errori che rientrano proprio nella categoria dell’oblio.

Invece altri tre come l’erronea attribuzione, la suggestionabilità e la distorsione (bias) rientrano nella categoria delle distorsioni.

Mentre l’ultimo errore definito da Schachter è la “persistenza” e si riferisce a ricordi patologici ad informazioni o eventi che la persona non può dimenticare, anche volendo.

Queste 7 cadute di memoria si riscontrano frequentemente nella vita quotidiana. Tuttavia, per quanto disturbanti siano, non dovrebbero essere viste come errori di madre natura, o come buchi nel nostro sistema mnestico, infatti, paradossalmente questi “errori” della memoria possono servire per comprendere meglio, per opposizione, il corretto funzionamento dei sistemi di memoria.

 


[1] psicologo tedesco, 1850-1907

[2] Psicologo ed ingegnere statunitense

[3] Professore in University of East Anglia, UK

[4] Neuroscienziato cognitivo estone, 1927, University of Toronto

[5] psicologo statunitense, (1922 – 1997)

 

 



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