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Il ruolo dell’energia nel mondo moderno

Il Novecento ha rappresentato una svolta decisiva nel rapporto tra uomo e natura per quanto concerne l’utilizzo di forme energetiche presenti in natura, con radicali cambiamenti dell’ambiente nonché del modo di vivere dell’uomo stesso.

Se si considera il nostro pianeta come una macchina termica a energia solare con un’efficienza molto modesta (viene convertito un millesimo del flusso solare entrante per le innumerevoli trasformazioni che modificano il nostro mondo), vengono conseguentemente desunti i limiti di disponibilità energetica in cui si muovono tutti gli organismi naturali che vivendo si mantengono in equilibrio con il sistema Terra. Ovviamente tutti gli organismi tranne uno l’uomo, che servendosi di “convertitori di energia extracorporei” è in grado di disporre di potenze energetiche di vari ordini di grandezza superiori a quelle naturali; processare quantità enormi di energia solare “fossile” immagazzinata nel corso di millenni di anni nei giacimenti di carbone, petrolio, gas naturale.

Il problema nasce dalla capacità innaturale di manomissione dell’ambiente naturale che l’uomo ha acquistato e dal consumo di quantità di energia sempre più grande, senza adeguati poteri di controllo possono tramutarsi in fenomeni di natura autodistruttiva.

I consumi energetici soprattutto nel XX secolo hanno avuto una rapida crescita, basti pensare che agli inizi del 1900 i consumi mondiali misurati in “tep” (energia equivalente contenuta in una tonnellata di petrolio) si aggirava intorno al miliardo mentre ad oggi sono aumentati di circa un ordine di grandezza.

Per avere un’idea delle grandezze in gioco basti pensare che alla fine del 1900 i consumi energetici di un anno erano equivalenti a circa un terzo di tutta l’energia consumata dal 1850 al 1950.

Per comprendere le ragioni di una simile esplosione dei consumi energetici occorre partire dagli ultimi decenni del 1800 dove regnava incontrastato come fonte primaria di energia il carbone. Grande protagonista della rivoluzione industriale cominciò ad essere insidiato dal sorgere di una nuova fonte di energia primaria, il petrolio e, venire progressivamente messo in un secondo piano anche dall’affermarsi di altre forme di energia quale l’elettricità.

Tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 la percentuale di energia coperta dal carbone subì un decremento modesto per effetto del moderato accrescersi dei consumi di petrolio (tutte le macchine a vapore nelle fabbriche erano alimentate a carbone, nonché i mezzi di trasporto, navi e treni). Fino al 1950 i rapporti di produzione carbone petrolio in termini di miliardi di chilowattora equivalenti, erano circa due ad uno. Nei decenni successivi tale rapporto si sarebbe rovesciato (un’inversione di tendenza c’è stata attorno agli anni Settanta del Novecento dopo la grande crisi dei prezzi petroliferi i consumi del carbone avevano ripreso a salire).

La rapida crescita dei consumi di petrolio a partire dalla fine del 1800 fu determinata sia dall’uso crescente nell’impiego dell’illuminazione nelle campagne nonché nelle regioni meno sviluppate sprovviste di impianti di distribuzione di gas illuminante, sia dall’invenzione del motore a scoppio e Diesel con i quali vennero creati mezzi di trasporto che offriva grandi vantaggi rispetto alle macchine a vapore.

Come detto precedentemente a partire dal 1970 il fabbisogno di energia derivante dal carbone era sceso al 28% mentre quello del petrolio era salito al 50%.

Una successiva crisi petrolifera si ebbe con la guerra Iran Iraq (forte aumento dei prezzi de greggio) e la situazione critica determinatasi nell’area medio-orientale hanno determinato il corso dei prezzi del greggio in essere che sfugge al controllo dei criteri di razionalità economica ispirati per anni dall’OPEC.

La prima crisi petrolifera dette spazio al timore (per altro immotivato) che la civiltà del petrolio fosse ormai prossima alla fine. Fu allora che si esaminarono fonti energetiche alternative che potessero sostituire il petrolio nel ruolo cardine dell’economia mondiale. La risposta più ovvia fu il nucleare. Sulla base  dei giacimenti di uranio e torio presenti in natura e calcolando la quantità di energia che si può produrre da questi minerali si ha un rapporto assai maggiore rispetto all’energia disponibile da tutte le riserve di petrolio, carbone e gas messe insieme. Il primo reattore nucleare occidentale entrò in funzione nel 1956 in Gran Bretagna, seguito da quello statunitense di Shippingport. Nel decennio successivo le centrali in costruzione ed in funzione si moltiplicarono e la domanda di energia elettrica coperta dal nucleare passo da circa il 2% del 1970 al 18% del 1990.

La crescita pur notevole è comunque lontana dalle previsioni che traguardavano nel nucleare la fonte energetica alternativa al petrolio.

Le ragioni dello scarto previsionale vanno imputate sia alla diffidenza nell’opinione pubblica su tale fonte energetica (vedi installazione delle centrali in luoghi limitrofi a centri abitati), sia alla collocazione dei prodotti di scarto generati nell’esercizio del reattore nucleare.

La crisi del mercato petrolifero degli anni settanta che vide nel nucleare la fonte energetica alternativa  fu promotrice dello sviluppo di un altro combustibile fossile fino allora trascurato, quello rappresentato dai gas naturali i cui giacimenti si trovano spesso associati a quelli del petrolio.

In un quadro energetico generale dove altre fonti alternative sono in fase di perfezionamento (Generatori eolici, centrali geotermoelettriche, fotovoltaico, ecc) la questione energetica ad oggi assume un ruolo critico per le sorti della nostra specie, i consumi tendono ad accrescere, sono stimati incrementi del 60% entro il 2030.

La maggior parte dell’energia prodotta e consumata nel mondo continua ad essere ricavata da fonti non rinnovabili (petrolio, carbone, gas naturale) con forte impatto sull’ambiente, i cui danni derivanti in termini di aumento della temperatura superficiale del pianeta determina progressivi inaridimenti e desertificazione dei suoli.

Questi squilibri sono fattori determinati nelle tensioni politiche che si possono tradurre in possibili conflitti armati, proliferazione del terrorismo e movimenti di carattere migratorio dalle aree più povere del pianeta verso quelle più ricche.



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