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Spazio e tempo: dall’antichità al postmoderno

I filosofi già dal 700[1] stabilirono che il tempo e lo spazio sono due categorie a prescindere dalle quali noi non possiamo pensare, per questo motivo la loro percezione è considerata un dato universale, infatti il tempo ci dà l’idea della interiorità e della successione, mentre lo spazio ci indica la distanza tra noi e gli oggetti dell’ambiente al di fuori di noi. Tuttavia, in base a diverse premesse culturali, può variare il modo in cui il tempo e lo spazio sono percepiti.

Pertanto per approcciare in maniera generale queste due categorie, possiamo cominciare con l’individuare due idee fondamentali del tempo quella del “pensiero cronometrico occidentale” e quella di una sua concezione “puntiforme”[2].

Il pensiero cronometrico si riferisce al tempo visto come un’entità lineare e misurabile. Si tratta di una visione funzionale alla necessità di ottimizzare il proprio tempo e dipende dal tipo di organizzazione economica adottata.

Invece la concezione “puntiforme” che hanno molti popoli è non continua, non omogenea e non frazionabile ed il tempo è espresso solo in riferimento a stati o eventi, per esempio si dice “un sonno” per dire un giorno fa, “un raccolto” per dire un anno fa.

Ma questa è anche una caratteristica della nostra cultura, infatti, nelle campagne fino a non molti anni fa vigeva questa concezione del tempo. Si tratta, pertanto, di tempo ciclico e puntiforme; in altri termini, nelle società tradizionali, il tempo viene scandito attraverso il passare delle stagioni o secondo eventi contingenti (es. il mercato della domenica).

Il tempo quantificabile, invece, si afferma come tale solo quando è messo strettamente in relazione a una precisa logica produttiva: “il tempo è denaro”[3], quando cioè si afferma un certo modo di produrre dei beni e di calcolare l’utile il che avviene nella piena età moderna; allora il tempo che già conosce la misurazione, acquisisce per tutta la società un valore di entità frazionabile e misurabile e la concezione “cronometrica” del tempo tende ad imporsi ovunque grazie all’azione dell’alfabetizzazione e dei “mass media”. Tuttavia, è bene tener presente che molte società rurali, ancora oggi, conservano un doppio regime temporale (puntiforme e quantificabile).

Anche lo spazio ci sembra un’entità omogenea, calcolabile e frazionabile e come il tempo, possiede, presso molti popoli (ma anche per noi) un carattere “affettivo” (Ėmile Durkheim[4]); infatti, spesso, certi luoghi o certi spazi vengono caricati di un significato affettivo molto particolare.

Inoltre lo spazio può avere un valore simbolico con l’assegnazione di ruoli speciali che riflettono gerarchie sociali, religiose, differenze di generi, stati rituali, ecc. (caffè riservati agli uomini, i docenti insegnano da strutture sopraelevate rispetto gli allievi; a mensa, ma anche in diversi luoghi, le donne sono separate dagli uomini).

Tuttavia l’innovazione tecnologica, già a partire dal XIX secolo, rendendo possibile l’esistenza di reti di comunicazioni mondiali, sta comprimendo sempre di più lo spazio e il tempo segnando così la riduzione del mondo ad un’unità complessa, quasi ad una sorta di struttura che connette una congerie di relazioni culturali, politiche ed economiche inesistenti nelle epoche precedenti. Ecco, allora, che il tempo perde il carattere di categoria per divenire funzionale all’attraversamento dello spazio. Ne deriva che, tempo e spazio, nella modernità, sono molto intrecciati l’uno con l’altro, e, per esempio, “sincronizzare i mezzi di trasporto” significa nel contempo dotarsi di una “sincronia sociale”.

In altri termini con i primi mezzi di trasporto meccanici, il tempo necessario per viaggiare smise di essere il tratto distintivo della distanza, ma divenne un attributo della tecnica del viaggiare.  Cioè il tempo divenne una funzione delle potenzialità meccaniche che gli uomini poterono inventare, costruire, possedere, usare e controllare, e non più di capacità umane inevitabilmente limitate.

Oggi, allo stesso modo, il tempo è diventato un fattore indipendente dalle inerti e immutabili dimensioni delle masse terrestri o acquatiche, differenziandosi dallo spazio perché, diversamente da questo, può essere cambiato e manipolato[5] per mezzo dei nuovi sistemi tecnologici.

Allora la modernità, secondo il sociologo Bauman, può essere definita come storia del tempo: «la modernità è il tempo nell’epoca in cui il tempo ha una storia»[6]. Invece, lo spazio, nelle società contemporanee, come già ai tempi della modernità, a causa della globalizzazione subisce una contrazione, ovvero il mondo si “rimpicciolisce”, le distanze vengono ridotte e viene, così, introdotto il concetto di istantaneità come un movimento velocissimo fatto in un tempo brevissimo se non addirittura assente. E il tempo non è più «la strada da fare per conseguire certe cose» e dunque non conferisce più valore allo spazio.

In definitiva la “quasi istantaneità” dell’epoca software inaugura la svalutazione dello spazio[7].

 


 

[1] Newton, Leibniz, Kant, …

[2] Nilsson, Nils Martin Persson, filologo classico svedese (1874-1967); prof. di archeologia classica  e storia dell’arte antica nell’univ. di Lund.

[3] Benjamin Franklin (1706-1790), giornalista, pubblicista, autore, filantropo, abolizionista, scienziato, diplomatico e inventore statunitense. [disse: “Ricorda che il tempo è denaro” (da Advice to Young Tradesman)]

[4] Antropologo, psicologo e filosofo (Bruxelles, 1908 – Parigi, 2009). Tra i suoi contributi alla psicologia scientifica vi è l’applicazione del metodo di indagine strutturalista agli studi antropologici.

[5] Tratto da Modernità liquida, Z. Bauman 2002, Roma – Bari, Editori, Laterza p. 125

[6] Ibidem p. 124

[7] Ibidem pp. 132 – 133



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