Apr
19th
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Solitudine, abbandono, cambiamenti, povertà: giovani quanto spavento!

I ragazzi di oggi non sanno spiccare il volo:

L’educazione a una “sicurezza” che consenta di vivere, di affermarsi e di affrontare con tranquillità le vicende quotidiane e quindi un’educazione all’autonomia e alla fiducia in se stessi e negli altri è molto importante. Ma spesso non è sufficiente. Oggi infatti viviamo in una società in piena trasformazione, che già di per sé crea e alimenta un crescente senso di insicurezza. Si ha paura della solitudine, paura di abbandonarsi a un sentimento, paura di cambiare lavoro, città o abitudini, paura di impegnarsi in un progetto, di mettere al mondo un figlio, di restare senza soldi, di viaggiare da soli. Insomma: paura di vivere. Sembra quasi che siano progressivamente dilatati i tempi della crescita individuale. I giovani maturano più lentamente. Le nuove generazioni, insomma, mostrano più entusiasmo, coraggio e slancio vitale in ambiti come i viaggi o lo sport ma non riescono a spiccare il salto della vita autonoma e indipendente. La paura dell’ignoto sembra più potente del desiderio di esperienze nuove.

Per i genitori, i figli sono creature fragili e indifese:
Fino a qualche decennio fa la società era più gerarchizzata: c’erano classi sociali alte e basse, e la possibilità di passare dall’una all’altra era quasi inesistente. Il destino di un uomo e di una donna ricalcava quello dei genitori; oggi, al contrario, non ci sono più sistemi codificati di essere madre e padre, o moglie e marito: tutto diventa una faticosa, e qualche volta contraddittoria, ricerca personale. Anche per questo senso di instabilità generale un modello educativo molto diffuso oggi è quello “iperprotettivo”. In pratica i genitori si sostituiscono costantemente ai figli, che vengono percepiti come fragili e indifesi. La conseguenza è che i bambini non imparano ad assumersi responsabilità, si abituano al fatto che non possono farcela da soli, crescono diffidenti e bisognosi Ne deriva che la curiosità e il piacere dell’avventura, che sono bisogni primari dell’uomo, sprofondano nell’inconscio rischiando di riemergere più in là come comportamenti autodistruttivi o pericolosi.

Una vita in garanzia? Impossibile:

L’ aumentata insicurezza generale si esprime anche con un bisogno e una continua ricerca di garanzie, che però contribuisce a costruire un circolo vizioso in cui l’ansia alimenta il desiderio di sicurezza e la sicurezza raggiunta attutisce momentaneamente l’ansia ma poi genera a sua volta nuove insicurezze per quello che non riesce a garantire. Lo stesso abuso della parola “sicurezza” in tutti i campi può quindi in realtà sortire l’effetto contrario a quello che vorrebbe, proprio perché amplifica la percezione del pericolo. Qualche esempio di reazione controproducente? La sempre più diffusa “delega all’esperto”: invece che assumersi la responsabilità delle proprie scelte ci si rivolge a un consulente per qualsiasi cosa, anche per ciò che dovrebbe rappresentare una conquista autonoma (l’immagine, la casa, i viaggi, perfino l’anima). Altro esempio è il consumismo: l’acquisto e l’accumulo di “cose” ha un effetto rassicurante perché delle cose, a differenza delle persone, si può fare ciò che si vuole. La paura di essere abbandonati o “usati” frena così la volontà di costruire una relazione, che sia d’amore o di amicizia. Si oscilla così tra la voglia di essere eterni fanciulli e la voglia di stabilità emotiva.

La prudenza non è mai troppa… :

L’insicurezza cronica può associarsi a sintomi fisici (tachicardia, insonnia, disturbi psicosomatici) ma anche sfociare in malattie psicologiche. Un esempio è l’ipocondria: il dubbio di essere ammalati porta a sottoporsi , continuamente a esami e controlli, che invece che rassicurare alimentano la paura. Con un effetto paradossale: a furia di gridare “al lupo al lupo”, l’ipocondriaco viene preso sempre meno sul serio, finendo così con l’essere ignorato quando si ammala davvero. Ma soprattutto, l’insicurezza può tradursi in una ricerca continua di autorassicurazioni che possono condurre a comportamenti bizzarri, come avviene in chi soffre del cosiddetto “disturbo ossessivo compulsivo”. Del resto l’ansia di tenere tutto sotto controllo ha origini antiche: in passato si usava offrire sacrifici animali, e a volte addirittura umani, per assicurarsi la benevolenza del dio. Rispondono allo stesso bisogno ancestrale di garanzia i rituali praticati da chi è ossessionato, per esempio, dalla paura di venire “contaminato” (da batteri, sporcizia o altro) e che adotta, per tenerla sotto controllo, abitudini sempre più complesse (come pulire seguendo regole precise). Questi rituali apparentemente tranquillizzano, ma in realtà, con il tempo, creano nuove paure. Inoltre chi soffre di questo disturbo arriva a passare l’intera giornata a compiere le sue liturgie “rassicuranti”.

La felicità non richiede garanzie:

La continua ricerca della sicurezza non coincide, e anzi è in antitesi, con la ricerca della felicità. La felicità ha più a che fare con le passioni e i desideri che con le certezze, e non richiede garanzie; vale la regola « Se si passa la vita a controllare la vita, si perde di vista la gioia di vivere». Che cosa si può fare? « La prima cosa per vincere l’insicurezza è… concedersela ovvero guardala in faccia invece di negarla e tradurla in sintomi. Accettarla, e accettare anche la sofferenza che ne deriva, tutela dal rischio di adattarsi a qualsiasi situazione per paura di dover affrontare il cambiamento. Inoltre attenua l’ansia di controllare tutto e aiuta a lasciarsi andare. Infine ci protegge dal soffrire inutilmente prima del tempo perché ci ridimensiona e ci riporta ai nostri limiti.

 



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