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Massimiliano Kolbe martire del nostro tempo

Massimiliano Kolbe (Zdunska-Wola, Polonia, 1894 Auschwitz 1941) è il frate francescano compatriota di papa Wojtyla, il quale nell’inferno di un campo di concentramento scambiò la sua vita con la salvezza di una vittima innocente della rappresaglia nazista. È santo dal 1982. Lo si festeggia il 14 agosto, giorno della sua morte. Il padre di Massimiliano, Giulio, è un umile operaio che lavora 10 ore al giorno in una piccola industria tessile. Sua moglie, Maria Dabrowska, l’ha sposato perché è un uomo buono, profondamente devoto. Hanno cinque figli, tutti maschi. Impossibile farli studiare tutti. I quattrini non bastano e sono tempi duri, soprattutto per i cattolici praticanti: i russi invasori hanno chiuso i conventi e perseguitano i credenti. Massimiliano (che, per la verità, si chiamava Raimondo) rivela una buona intelligenza, portata in particolare agli studi scientifici. Ma quando giunge il momento di mandare alle scuole superiori uno dei figli, i genitori scelgono il maggiore, Francesco. Massimiliano deve aiutare la madre a vendere filo e candele. Ma un giorno, mandato ad acquistare una medicina, ne recita correttamente la formula latina. Il farmacista si stupisce, chiede notizie del ragazzino che la sera va scuola dal parroco, e promette di aiutarlo a proseguire gli studi. A Leopoli, nella Galizia che fa parte dell’Impero austro-ungarico in cui il culto cattolico è rispettato, c’è un seminario. Per arrivarci bisogna attraversare clandestinamente la frontiera. Ad accompagnare Massimiliano nella fuga, c’è il fratello Francesco: anche lui ha deciso di diventare sacerdote. Qualche tempo dopo, in seminario arrivano anche i genitori, che hanno adottato la stessa risoluzione: entrambi entreranno in convento, rinunciando al loro amore terreno per l’amore divino. Ottobre 1912. Il novizio Massimiliano viene scelto per frequentare a Roma l’Università Gregoriana. Quando torna in Polonia, s’ammala di tisi. Trascorre tre mesi in sanatorie. E, intanto, studia il russo. Pubblica una rivista che s’intitola Il cavaliere dell’Immacolata. Poi parte missionario per il Giappone, dove si ferma per sei anni, dal 1930 al 1936. Sempre più fragile, afflitto anche da una orma asmatica, Massimiliano va poi in India e quindi rimpatria. Scoppia la guerra. Il 24 settembre 1939, insieme con altri deportati, padre Kolbe attraversa per a prima volta i cancelli di Auschwitz, sormontati dalla perfida insegna: «Il lavoro rende liberi». Non si è ancora arrivati all’errore, ma le condizioni di vita sono già insopportabili. Massimiliano esorta a pregare, passa ai compagni una parte della sua misera razione di pane nero. Esorta tutti a sperare nella liberazione. E, infatti, i tedeschi decidono di rilasciare i prigionieri. Ma non sarà per molto. Massimiliano Kolbe sa bene che la fine si avvicina.

Com’è nata la tua fede in Maria?

Nato in Polonia nel 1894, divenne frate molto giovane. Nonostante la salute maferma lavorò con energia per ravvivare la fede in Polonia e in Giappone attraverso il rinnovamento del culto della Madonna. Durante l’occupazione nazista nascose più di 2.000 ebrei. Com’eri da bambino?

«Non ero né tranquillo, né docile. Anzi. Un giorno mia madre, esasperata, disse: “Figlio mio, ma che cosa mi diventerai?”».

E poi cos’è accaduto?

«Mi è apparsa la Madonna con due corone: quella bianca prometteva purezza, quella rossa annunciava il martirio. Le ho accettate tutt’e due».

E qual era il tuo sogno?

«Di vedere un giorno la statua della Madonna al centro della comunista Mosca, sulla cuspide più alta della Piazza Rossa».

L’estremo sacrificio nel lager

Febbraio 1941, Pawiak, Polonia. Un’auto nera della Gestapo, la polizia nazista, va a prelevare padre Kolbe dal convento. Pochi giorni prima è uscito l’ultimo numero della sua rivista. In un articolo si legge: «Se il bene consiste nell’amore di Dio e in ciò che dall’amore ha origine, il male, nella sua essenza, è negazione dell’amore». Da quelle orrende prigioni a Varsavia. A fine maggio, il frate francescano varca per la seconda volta i cancelli di Auschwitz. Freddo, fame, annullamento della dignità. L’esile sacerdote con la barba che s’imbianca è la vittima preferita di un aguzzino, che lo costringe a trascinare tronchi d’albero pesanti, tra fango e neve, con il respiro strozzato nei polmoni malati. Un giorno, dopo una bastonatura, Kolbe sembra morto: lo trascinano in un fosso, lo coprono di foglie e rami secchi. Ma si riprende. È ricoverato in infermeria e la notte, di nascosto, i compagni di prigione vanno a trovarlo per confessarsi e ottenere l’assoluzione. Padre Kolbe, ancora febbricitante, incita tutti a pregare la Madonna. «Io non uscirò di qui vivo, ma voi si», dice ai compagni più giovani e robusti. Una notte uno di loro fugge. L’indomani, i prigionieri sanno che dieci di loro, ospiti della stessa baracca del fuggiasco, pagheranno con la vita quell’evasione. La sentenza è atroce: morte per fame e per sete, un’agonia che può durare molti giorni. Nomi e numeri vengono segnati. C’è l’appello e uno dei prescelti, invece di seguire il gruppo in silenzio, si lascia vincere dalla disperazione. «Mia moglie! I miei figli, non li rivedrò più!». Sono urla strazianti. Ed ecco un’ombra fragile uscire dai ranghi e piazzarsi davanti al comandante del lager, guardarlo con occhi fermi dietro gli occhiali. È padre Kolbe. Dice: «Desidero prendere il posto di quest’uomo…». C’è uno scambio di frasi. Per la prima volta il capo del campo, Fritsch, si abbassa a parlare con un detenuto. Poi, inspiegabile, il consenso. Con in mano una croce, il frate si avvia verso la baracca 11. Prega anche per i suoi assassini, canta un inno alla Madonna. Viene rinchiuso in una cella, buia e soffocante. Il sole è rovente e la sete, più che la fame, è un tormento insopportabile. Il 14 agosto, solo quattro prigionieri sono ancora vivi. E uno dei quattro è il fragile, malato padre Kolbe. Sopravviverà sino a sera, quando un medico gli inietterà un veleno che pone fine al martirio. L’indomani è portato al forno crematorio. Il 15 agosto, giorno dell’Assunzione, dal camino si alza un filo di fumo.



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