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La tassa sul macinato

Si parla molto di “flat tax” di riduzione delle tasse in questo periodo. E bene ricordare come siano necessari ragionamenti approfonditi su questo tema; ricordiamo il passato!

La situazione finanziaria italiana, alla fine del 1866 e nel 1867, era molto grave e raggiungeva un deficit elevatissimo. Era necessario garantire entrate straordinarie alle casse dello Stato. Per questo motivo il Ministro delle Finanze Ferrara suggerì l’istituzione della tassa sul macinato, già maturata in precedenza da Quintino Sella. Non ne seguirono iniziative concrete per la sua attuazione, tanto che il ministro Ferrara, dal momento che la commissione parlamentare stava esaminando soluzioni diverse, e vistosi accusato di eccessiva benevolenza verso la Chiesa, si dimise dal suo incarico ministeriale nel 1867. Luigi Guglielmo Cambray Digny riprese l’idea di Ferrara e la fece inserire nel programma di governo. Aspri dibattiti parlamentari scaturirono circa l’opportunità di introdurre un simile tributo. Fu contestato, in particolare, che la tassa andava a colpire le classi sociali a basso reddito, e che avrebbe garantito un gettito di scarsa rilevanza. Nel regno d’Italia la tassa fu promulgata per iniziativa di Luigi Menabrea il 7 luglio 1868, entrò in vigore il 1º gennaio del 1869.

La tassa sul macinato, definita la “ tassa della disperazione”, era una tariffa di 2 lire per ogni quintale di grano macinato, d 1 lira per ogni quintale di granturco, di mezza lira per ogni quintale di castagne e legumi secchi. Adibiti alla riscossione erano i mugnai che avevano poi l’ onere di versare al fisco le somme ricavate, calcolate in base ai contatori posti negli impianti di macinazione. La tassa sul macinato causò il rialzo del prezzo delle farine e del pane, colpendo soprattutto le famiglie più povere che si alimentavano in prevalenza di cereali. Però anche i mugnai e i proprietari dei mulini furono danneggiati dal provvedimento del governo: a causa del contatore non potevano più evadere il fisco come in passato. Sono stati infatti proprio questi esponenti della piccola media borghesia rurale a guidare le manifestazioni popolari avversi alla tassa del XIX secolo, riuscendo alla fine a convincere il parlamento a sopprimere il “balzello” (imposta pubblica esosa).



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