Il Romanticismo è un movimento
spirituale estremamente complesso e multiforme che non si presta ad essere
facilmente definito. Le sue componenti sono varie e di natura diversa:
filosofica, religiosa, poetica, artistica, sociale, politica. Esso quindi viene
ad investire tutta la vita dell’uomo e della società e provoca, agli inizi
dell’Ottocento, un mutamento radicale nella civiltà umana, di intensità pari a
quella operata dal Rinascimento. Difficile è stabilire quando nasce il Romanticismo
poiché esso, come tutti i mutamenti spirituali, presenta un lungo processo di
formazione del quale si possono cogliere i sintomi, le manifestazioni parziali
ed infine l’affermazione, non certo fissare una data di inizio. Sintomi
della spiritualità romantica ad esempio, si possono cogliere già nel Tasso
nelle varie scene intime e malinconiche, nel presentarci la debolezza e il
limite dell’uomo. Certe componenti romantiche, almeno come esigenze ed allo
stato embrionale, si possono già ravvisare nella poetica del Seicento e nella
polemica letteraria condotta nel corso del Settecento: stati d’animo romantici
sono nella poesia ossianica e sepolcrale.
Una formulazione di esso nelle sue
caratteristiche fondamentali viene a precisarsi sul finire del Settecento, in
polemica e come reazione al razionalismo ed all’illuminismo. Gli inizi vengono
chiamati col nome di preromanticismo.
In clima preromantico è il Rousseau, che contro
la ragione e la cultura esalta la vita di natura e l‘abbandono al sentimento e
alla fantasia. Critici di fronte al razionalismo e denuncianti l’incapacità di
spiegare tutti i problemi dell’universo e dell’uomo furono i filosofi tedeschi
Kant, Fichte, Schelling ed Hegel.
Le leggi della ragione, meccaniche e rigide, se
potevano essere applicate a spiegare la matematica e la scienza, nelle quali da
premesse seguono necessarie conseguenze, si rivelavano del tutto impotenti a
spiegare i moti dello spirito umano, a risolvere i problemi più vivi e
tormentosi dell’uomo: quali il valore, il significato e le finalità della
vita.
Si avvertì allora che, accanto ed insieme alla
ragione, opera nell’uomo un’altra facoltà, non meno nobile e non meno
necessaria: il sentimento. Attraverso di esso è possibile intuire, se non
spiegare, ciò che sfugge alla ragione. Si capì cioè che non tutto e non sempre,
nelle manifestazioni dell’umano, è possibile spiegare con leggi universali e
conseguenziali. C’è qualcosa che si avverte, si sente, si prova, ma che la
ragione da sola non riesce ad esaurire.
La crisi del razionalismo è anche crisi
dell’illuminismo. Questo, nel suo entusiastico ottimismo, aveva preteso di
instaurare un’era nuova, l’era della felicità per tutti. Ma a questo ideale di
felicità universale si contrapponevano i risultati della rivoluzione francese,
figlia dell’illuminismo, che aveva deificato la ragione umana. Non solo la
rivoluzione non aveva instaurato l’era del benessere, ma aveva compromesso
anche quei promettenti indizi ed inizi di mutamenti politici e sociali che
l’assolutismo illuminato aveva lasciato intravedere.
La ragione era stata impotente nel prevedere lo
sviluppo della storia. Le sue leggi, così matematicamente certe, erano fallite
proprio quando si trattava di realizzare le richieste fondamentali e più
proclamate dell’Illuminismo: la felicità, l’uguaglianza, la libertà, la
fraternità tra gli uomini.
Da qui deriva il rifiuto dei canoni
illuministici, la coscienza dell’incapacità di porre i problemi su di un piano
collettivo e risolverli con ottimistica concordia. Succede un periodo di
sfiducia in cui viene meno ogni speranza ed ogni certezza, un periodo di
instabilità spirituale nel quale predomina lo sconforto e l’inquietudine.
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