Come abbiamo già affermato in precedenza, il libro di Kuhn: Black – Body Theory and the Quantum Discontinuity (1894 – 1912) rappresenta una sorta di pietra miliare nella ricostruzione storica della meccanica quantistica. Si tratta di uno studio ampio, articolato e sistematico che nasce, a detta dello stesso autore, dall’esigenza di dar conto del complesso e talora difficile processo che ha condotto al sorgere della “rivoluzione” destinata a sovvertire la meccanica tradizionale.
Concepito inizialmente come un semplice articolo lo scritto cresce progressivamente sotto la penna di Kuhn, come travolto e quasi forzato dall’esigenza dei temi che l’argomento gli impone di volta in volta di affrontare, dai precedenti storici che portarono Planck a elaborare la propria teoria, alla spiegazione del modo in cui la discontinuità entrò nella fisica.
Si tratta di uno studio interessante, ma niente affatto facile o leggero, dal momento che richiede al lettore un impegno attivo e costante nel seguire un percorso che si snoda attraverso scoperte illuminanti, delusioni, fallimenti e qualche errore. Per la sua ricostruzione Kuhn segue una metodologia di analisi ben precisa, che si può articolare in quattro aspetti fondamentali [1] :
- l’utilità dell’errore per il conseguimento di un risultato scientifico di rilievo ed innovativo;
- la possibilità di giungere ai medesimi risultati partendo da ipotesi diverse;
- l’interpretazione dei risultati solo una volta che siano stati acquisiti;
- il raggiungimento di risultati diversi o addirittura opposti rispetto al programma di ricerca che lo scienziato si era prefissato.
Quella di Kuhn è dunque, per certi versi, un’impostazione ideologica e filosofica oltre che scientifica; ad essa si lega l’esigenza di ricercare quel “principio di coerenza” di cui dicevamo in precedenza. Per Kuhn è tanto più importante ritrovare tale principio, quanto più uno scienziato si allontana nei fatti dalle idee che professa. L’osservazione è valida anche per Planck, dal momento che, proponendo una chiave di lettura di tipo chiaramente rivoluzionario e di rottura con il passato, egli non ne è pienamente consapevole: non solo Planck non coglie il valore rivoluzionario delle proprie ipotesi, ma affronta la questione con un habitus mentale e scientifico di marca chiaramente conservatrice[2] [*], dato da un approccio al problema di tipo tradizionale.
L’analisi di Kuhn è dunque un viaggio alla ricerca dei modi in cui l’innovazione, la scoperta illuminante, si fa largo attraverso la tradizione. Non a caso infatti lo stesso autore, in risposta alle numerose polemiche e ai dibattiti suscitati dal suo libro, puntualizza [3] che sua intenzione e suo obiettivo principale era di reinterpretare il pensiero di Planck e il modo in cui esso si è gradualmente trasformato; la modalità seguita era stata quella di partire dal dato storico – scientifico, rafforzato da riflessioni filosofiche. In tale contesto gli scritti di Planck, dei quali Kuhn si serve con puntualità e abbondanza documentale, hanno il valore di una conferma retrospettiva e di una mappa utile alla ricostruzione delle tappe di avvicinamento progressivo alla quantizzazione da lui ipotizzata in tempi successivi. Essendo principalmente uno storico Kuhn non può infatti considerare la scoperta come un processo istantaneo o individuale: essa è per lui necessariamente un reticolo di collegamenti, di conoscenze che si intersecano e si reinterpretano.
Kuhn introduce, ancora una volta, un approccio sociologico, nel senso che evidenzia il ruolo determinante che il consenso della comunità scientifica ha sul cammino della scienza, ovvero che questo percorso non è libero, bensì condizionato dalle regole che si è data la comunità scientifica stessa. E ciò è tanto più vero quanto più la comunità è forte. Alla luce di tutto ciò, e seguendo da qui in poi il libro di Kuhn come “fil rouge” della nostra ricostruzione storica, possiamo a ragion veduta parlare del “cammino” di Max Planck, inserito in un contesto storico – scientifico preciso ed inoppugnabile.
[*] Nella sua “Autobiografia Scientifica” Planck scrisse : «Considero l’entropia – insieme all’energia – come la più importante proprietà di ogni sistema fisico. Poiché l’entropia massima identifica l’equilibrio finale, tutte le leggi dell’equilibrio fisico e chimico possono essere ricavate dalla conoscenza dell’entropia».
[1] U. Barcaro e R. Mach, Valore didattico e culturale dello studio di Kuhn sul corpo nero, “ Giornale di Fisica ”, XXXIV, (Luglio – Settembre 1993), 3, pp. 193 – 207.
[2] M. Planck, Scientific Autobiography and other papers, trad. da F. Gaynor, Philosophical Library, New York 1949.
[3] T. Kuhn, Revisiting Planck, Hist. Studies in Phys. Sciences, 14 : 2, pp. 231 – 252, 1984.
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