Apr
16th
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Amor mi mosse che mi fa parlare!

 

All’inizio del II canto dell’Inferno, dopo la visione delle tre fiere che simboleggiano la lussuria, l’invidia e l’avarizia e che sbarravano il cammino a Dante, il poeta rimane così atterrito che ormai è deciso a rinunciare ad andare avanti. Si avvicina allora un’ombra, è Virgilio…

A lui Dante rivela tutta la paura che lo aveva assalito e la sua decisione di rinunciare al viaggio nell’aldilà. Ma Virgilio non fa tardare la sua risposta: “…perché tu ti sollevi da questo timore ti spiegherò perché venni da te e intesi la prima volta che mi preoccupai per te”. Inizia, quindi, la spiegazione di quello che è successo a Virgilio prima di incontrarsi con Dante. Il poeta dell’Eneide racconta che venne chiamato da una donna beata e bella. Ella aveva gli occhi più lucenti di una stella e cominciò a rivolgersi a lui con angelica voce: “Oh anima gentile e onesta mantovana (infatti, Virgilio nacque ad Andes vicino Mantova nel 70 a.C.), la cui fama ancora è viva e durerà finché durerà il mondo, (parole con le quali Beatrice vuole ben disporre il poeta Virgilio ad essere benevolo verso la richiesta che gli farà a breve), il mio amico Dante è impedito nel cammino, tanto che è già tornato indietro per paura, e temo che si sia già smarrito perchè sono arrivata troppo tardi a soccorrerlo, dopo che ho udito quello che mi hanno detto di lui in cielo… Ora vai, e con la tua bella arte retorica e con ciò che serva per salvarlo e aiutalo, così che io abbia consolazione. Chi ti fa andare sono io, Beatrice, e vengo dal luogo dove voglio tornare, da dove mi mosse l’amore che mi fa parlare; quando tornerò davanti al mio Signore con lui mi loderò spesso di te.” Con questi “modi e maniere” di porre la richiesta di aiuto, Beatrice, la donna beata e bella, adotta un linguaggio tale che la voce è come una dolce lama che penetra nel profondo dell’anima. Infatti, solo a leggere e rileggere questi versi si apprezza quanto sia bello comunicare con le altre persone esprimendo, nello stesso tempo, delicatezza e tenerezza, incisività e chiarezza di idee, garbo e sapienza. Nei versi della richiesta di aiuto di Beatrice nel II canto dell’Inferno che trascriviamo in calce, ci si bea nel rendersi consapevole come l’uso delle parole dette al momento giusto smuovano i meandri più reconditi del nostro essere risvegliandoci da quel torpore che il mondo delle chat e degli sms sta facendo pericolosamente svanire nel nulla.

 

Lucevan li occhi suoi più che la stella;/ e cominciommi a dir soave e piana,/ con angelica voce, in sua favella:/ “O anima cortese mantoana,/di cui la fama ancor nel mondo dura,/e durerà quanto ‘l mondo lontana,/ l’amico mio, e non de la ventura,/ne la diserta piaggia è impedito/sì nel cammin, che vòlt’è per paura;/ e temo che non sia già sì smarrito,/ch’io mi sia tardi al soccorso levata,/per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito./ Or movi, e con la tua parola ornata,/e con ciò c’ha mestieri al suo campare,/l’aiuta, sì ch’i’ ne sia consolata./ I’ son Beatrice che ti faccio andare;/vegno del loco ove tornar disio:/amor mi mosse, che mi fa parlare./ Quando sarò dinanzi al segnor mio,/di te mi loderò sovente a lui”.



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