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Broca e Wernicke

 

Riprendiamo il discorso iniziato in un altro articolo di questo giornale sul tema “Linguaggio e Comunicazione”. In particolare parliamo oggi del linguaggio. Questo argomento fu oggetto di studi approfonditi fin dalla fine dell’800, ed ebbe un ruolo molto importante, soprattutto per gli studi medici. Si analizzò il fenomeno della “parola”, vista come una funzione naturale del cervello ed i primi risultati fecero emergere che c’era sicuramente un rapporto tra parola, veicolo del pensiero umano, ed il cervello nel quale essa è contenuta.

 

I pionieri di questi studi furono Paul Pierre Broca (Francia 1824-1880) che è stato un antropologo, neurologo e chirurgo francese e Carl Wernicke (Polonia 1848- Germania 1905) che, invece, è stato uno psichiatra e neurologo tedesco.

Tanto fu lo scalpore delle loro scoperte che i loro cognomi danno il nome ad due specifiche aree del cervello.

L’area di Broca è una parte dell’emisfero sinistro del cervello, localizzata nel piede della terza circonvoluzione frontale, la cui funzione è coinvolta nell’elaborazione del linguaggio ed è connessa all’area di Wernicke da un percorso neurale detto fascicolo arcuato; Broca, fu il primo a descriverla nel 1861 dopo aver condotto un’autopsia di un paziente con difficoltà linguistiche.

L’area di Broca è costituita da due zone principali, con diversi ruoli nella comprensione e produzione del linguaggio: la pars triangularis (anteriore) che sembra essere associata all’interpretazione di varie modalità di stimoli e alla programmazione dei condotti verbali e la pars opercularis (posteriore) che è, invece, associata a un unico tipo di stimolo e presiede al coordinamento degli organi coinvolti nella riproduzione della parola (corde vocali, laringe, cavo orale); essa è fisicamente prossima ad aree del cervello dedicate al controllo dei movimenti.

D’altra parte l’area di Wernicke è una zona del lobo temporale del cervello (vedi figura) le cui funzioni sono coinvolte nella comprensione del linguaggio e fa parte della corteccia cerebrale.

Un danno funzionale nella prima zona (dovuto a ictus, ischemia, o altro) può provocare la cosiddetta afasia[1] di Broca, classificata tra le afasie non fluenti. I pazienti colpiti da afasia non fluente possono essere incapaci di comprendere o formulare frasi con una struttura grammaticale complessa. Alcune forme di afasia legate a danni nell’area di Broca possono colpire solo determinate aree del linguaggio, come i verbi o i sostantivi. Nel caso di pazienti sordomuti, può essere inibita la capacità di produrre quei gesti corrispondenti al messaggio che essi vogliono comunicare, pur essendo in grado di muovere mani, dita e braccia come prima.

Invece nei pazienti affetti dall’afasia di Wernicke il linguaggio parlato è scorrevole (fluente), ma il senso logico è mancante. Anche la comprensione del linguaggio appare compromessa.

Sono state classificate vari altri tipi di afasie. Tuttavia in linea di massima le alterazioni comprese nel termine di afasia possono riguardare vari aspetti del linguaggio: la comprensione, la produzione, la ripetizione e la strutturazione.

Il fenomeno, quindi si può manifestare in vari modi: ad esempio può venire meno la capacità di riconoscere una parola o di scegliere la parola adatta. Una parola può essere sostituita con un’altra di significato diverso ma della stessa famiglia (lampada invece di lampadario), oppure può essere usata una parola sbagliata ma dal suono simile a quella giusta (mare invece di male), o una parola completamente diversa e senza alcun legame apparente con quella corretta; il disturbo inoltre può coinvolgere solo il parlato, la capacità di ripetere una frase, la strutturazione di un discorso di senso compiuto, o anche solo la capacità di scrivere. Spesso si accompagna ad altri disturbi, come la disartria[2] o l’aprassia[3], disfonia[4].

Su molti individui affetti da questa patologia è stato osservato che la dimenticanza delle parole segue un ordine ben preciso, senza eccezioni: le prime parole ad essere dimenticate sono i nomi propri, poi i nomi comuni, seguono gli aggettivi e infine i verbi e le preposizioni.

Tuttavia le abilità linguistiche perdute possono, a volte, essere recuperate grazie all’intervento di aree cerebrali adiacenti o interconnesse grazie alle capacità neuroplastiche del sistema nervoso centrale, più evidenti nei bambini e nei soggetti giovani.

 

 


[1] L’afasia (dal greco φασία mutismo) è un’alterazione del linguaggio dovuta a lesioni alle aree del cervello deputate alla sua elaborazione. Non rientrano nelle afasie quindi i disturbi del linguaggio causati da deficit sensoriali primari, da deficit intellettivi, da disturbi psichiatrici o da debolezza dell’apparato muscolo-scheletrico.

[2] Disturbo disfasico caratterizzato dalla difficoltà nell’articolare le parole.

[3] L’aprassia (dal greco a- prefisso di negazione, e praxía fare, quindi incapacità di fare) è un disturbo neuropsicologico del movimento volontario, definito come l’incapacità di compiere gesti coordinati e diretti a un determinato fine, sebbene siano mantenute inalterate la volontà del soggetto e la sua capacità motoria. Come in molte malattie neurologiche, le persone affette da tale disturbo in genere non sanno di esserlo (anosoagnosia).

[4] Disturbi della voce che va dalla raucedine fino all’afonia. In pratica con il termine disfonia si intende la difficoltà nel produrre una voce “fisiologica” indotta da cause che possono essere organiche o funzionali.



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